Nullo il sequestro preventivo delle quote sociali della società di comodo se non è adeguatamente motivato il necessario collegamento strumentale dei beni ceduti con il patrimonio della società fallita.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 5868/2019 – depositata il 06.02.2019, in materia di bancarotta fraudolenta con specifico riferimento ai principi di legge che informano la materia cautelare reale, nel caso di specie con ordine di sequestro di quote sociali e del patrimonio aziendale appartenenti a persona giuridica estranea al reato in contestazione.

Nell’ambito del giudizio di merito, il Tribunale di Catanzaro, Sezione per il Riesame, confermava il decreto del GIP di Lamezia Terme che aveva disposto il sequestro preventivo, al fine di confisca delle quote sociali e dell’intero compendio aziendale di due società, ritenendo la sussistenza del fumusdei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale con riferimento ad una cessione di beni a corrispettivo irrisorio da parte di una società di persone fallita in favore di un’altra società ritenuta  riconducile all’indagato, già amministratore della società cedente.

Contro l’ordinanza del riesame ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell’indagato deducendo l’illegittimità del provvedimento ablatorio disposto in relazione all’intera società, difettando la necessaria motivazione in ordine all’individuazione dei beni da sottoporre a sequestro.

La Suprema corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio l’impugnata ordinanza per nuovo esame.

Di seguito si riportano i passaggi motivazionali di interesse per il presente commento che richiamano una consolidata giurisprudenza di legittimità dalla quale è stata fatta applicazione anche nel caso di specie:

“”è legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società appartenenti a persona estranea al reato, qualora sussista un nesso di strumentalità tra detti beni ed il reato contestato” (Sez. 2, n. 31914 del 09/07/2015, Cosentino, Rv. 264473), e che “la società “di comodo” e la titolarità delle sue quote in quanto costituiscano lo strumento attraverso il quale il fallito continui a svolgere la propria attività imprenditoriale, non possono in sé e per sé costituire oggetto di sequestro preventivo atteso che nulla vieta che il fallito prosegua fuori del fallimento una precedente attività o che ne intraprenda una nuova, fatte salve, ovviamente, le ragioni dei creditori concorsuali”; con la conseguenza che “ai fini della adozione del sequestro preventivo occorre, infatti, un collegamento strumentale tra reato fallimentare e cosa sequestrata e non tra il reato e la persona” (Sez. 5, n. 3563 del 26/06/2015, Garzia, Rv. 266047)

(…) Nesso che non è dato ricavare da quanto evidenziato nel provvedimento impugnato, che sul punto rende una motivazione apparente, perché del tutto apodittica e congetturale: tale è infatti l’argomentazione spesa dal giudice censurato, nella parte in cui, a dispetto della stessa contestazione che aveva limitato l’operazione distrattiva intercorsa tra le due società alla sola cessione di beni del valore di Euro 109.000,00 a fronte di un corrispettivo irrisorio, ha ritenuto che tutti i beni aziendali della (omissis) S.r.l. fossero provento delle distrazioni operate in danno della P.G. (omissis) S.a.s. sol perché l’amministratore di fatto della fallita si era disfatto, senza lasciare traccia documentale, di imponenti rimanenze di magazzino, secondo quanto riferito dal curatore fallimentare.

E’ evidente l’incedere meramente assertivo del discorso giustificativo del provvedimento impugnato, che avrebbe avuto una sua logica soltanto se avesse dato atto che si era avuto riscontro che i beni in precedenza utilizzati dalla (omissis) erano utilizzati dalla (omissis) e dalla (omissis) s.r.l. per continuare l’attività imprenditoriale di famiglia; in altri termini, la sussistenza del requisito di pertinenzialità sarebbe stata affermata sulla base della presunzione – sfornita di corredo probatorio nel tessuto argomentativo del provvedimento impugnato – che la (omissis)s.r.l. e la (omissis) s.r.l. siano state destinatarie non soltanto della distrazione dei beni strumentali per un valore di € 109.000,00, ma altresì della distrazione delle rimanenze per un valore di € 1.891.863,50 e di €405.000,00”.

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Riferimenti normativi

Art. 216 R.D. n. 267/1942. Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale, sez. V, 26 settembre 2018 , n. 54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Cassazione penale sez. V, 25 giugno 2018 n. 40100.  

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

 Cassazione penale , sez. V , 19 giugno 2018 , n. 42568

In tema di reati fallimentari, le rettifiche contabili attuate ai sensi della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in materia di condono, anche se effettuate per manipolare le scritture contabili, rendere più difficile l’attività ricostruttiva degli organi fallimentari e nascondere le attività distrattive poste in essere, non possono integrare di per sé una condotta di bancarotta per distrazione, se ad esse non segue un effettivo depauperamento delle garanzie patrimoniali per i creditori.

Cassazione penale sez. V, 05 giugno 2018 n. 30105.  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perchè, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’”an”, non è determinato anche nel “quantum”. (In motivazione, la Corte ha chiarito che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore).

Cassazione penale sez. III  20 aprile 2018 n. 33380  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la restituzione da parte dell’amministratore della società emittente fatture per operazioni inesistenti del corrispettivo versato dal simulato acquirente, transitato nel patrimonio della società e restituito decurtato dal compenso pattuito per l’emittente anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina, invero, un incremento dello stesso che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la restituzione costituisce atto ingiustificato idoneo a integrare la condotta di distrazione.

 Cassazione penale sez. V, 27 marzo 2018 n. 27141  

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado relativa al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, riqualifichi il fatto come bancarotta preferenziale, in quanto l’atto dispositivo tipico di tale fattispecie criminosa costituisce una “species” del più ampio “genus” di sottrazioni di risorse del patrimonio della società, che caratterizza la bancarotta per distrazione.

 Cassazione penale sez. I, 09 marzo 2018 n. 14783  

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – in guisa di dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento.

 Cassazione penale sez. V, 23 giugno 2017 n. 38396  

La fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, sicché, per il suo perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l’impresa ancora non versava in condizioni di insolvenza. In quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un effettivo depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la integrità del patrimonio dell’impresa, da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori.

Cassazione penale sez. un.  31 marzo 2016 n. 22474  

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

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