Confisca diretta e per equivalente: la Cassazione precisa la natura e il perimetro applicativo dei due istituti nell’ambito dei reati tributari.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza di legittimità n.6348/2019, depositata l’11.02.2019, in materia di reati tributari che affronta i temi della distinzione fra confisca diretta e per equivalente alla luce dei più recenti approdi giurisprudenziali,  del rapporto tra prescrizione e confisca, la nozione di profitto del reato e l’influenza delle vicende del rapporto tributario sul processo penale.

Il processo di merito in sintesi

Il Tribunale di Teramo, all’esito di rito abbreviato, condannava l’imputata alla pena di giustizia in ordine al reato di cui all’art. 10 ter del d. lgs. 74/2000, perché, quale amministratore di una s.r.l. non versava l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale del 2007, pari a € 257.477,00, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Con la medesima sentenza, veniva altresì disposta la confisca di quanto in sequestro.

La Corte di appello dell’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al reato a lei ascritto, in quanto estinto per intervenuta prescrizione, e revocava parzialmente la confisca dei beni sequestrati, limitatamente ai soli beni immobili, ordinando la restituzione degli stessi in favore dell’imputata e confermando nel resto.

Contro il capo di sentenza contenente il provvedimento ablatorio  proponeva ricorso per cassazione la difesa della giudicabile denunciando vizio di legge e di motivazione impingente la statuizione di secondo grado sulla confisca.

In accoglimento del ricorso, la Suprema corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla confisca, rinviando al collegio di appello per nuovo esame sul punto.

La decisione della Cassazione ed i principi di diritto

Di seguito i passaggi contenuti nella parte motiva della sentenza di legittimità ivi di interesse, capitolati per rendere maggiormente intellegibile il provvedimento.

  1. L’istituto della confisca: natura e funzioni, confisca diretta e per equivalente.

… a seguito dell’introduzione dell’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, anche rispetto ai reati tributari è divenuto applicabile l’istituto della confisca per equivalente di cui all’art. 322 ter cod. pen., originariamente introdotto dall’art. 31 della legge n. 300 del 29 settembre 2000, per il solo delitto di corruzione ex art. 321 cod. pen. Ora la previsione del 2007, che era formulata attraverso la tecnica del richiamo all’art. 322 ter cod. pen., ha trovato autonoma collocazione nell’art. 12 bis del d. Igs. 74/2000 (inserito dall’art. 10 del d.lgs. n. 158/2015), il cui primo comma dispone che “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”. Dunque, come ribadito da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 55482 del 20/07/2017, Rv. 271987), la confisca per equivalente deve essere obbligatoriamente disposta con la sentenza di condanna o di patteggiamento, anche in mancanza di sequestro, senza che ciò comporti alcuna violazione del diritto di difesa, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell’esecuzione qualora si ritenga pregiudicato dai criteri adottati dal Pubblico Ministero nella selezione dei cespiti da confiscare. Deve tuttavia precisarsi che l’applicabilità della confisca per equivalente incontra un limite nell’eventuale declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza 31617 del 26/06/2015, Rv. 264437, ric. Lucci), hanno infatti affermato il principio secondo cui il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell’art. 240 secondo comma n. 1, cod. pen., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell’art. 322 ter cod. pen., la confisca del prezzo o del profitto del reato, sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato.

(…) La logica che coinvolge e giustifica l’obbligatoria confisca del prezzo del reato in base alla generale previsione dettata dall’art. 240, secondo comma, cod. pen., è stata ritenuta non dissimile da quella che ha indotto il legislatore a introdurre previsioni speciali di confisca obbligatoria anche del profitto del reato, venendo in rilievo il comune profilo del lucro desunto dal reato, inteso come vantaggio economico ottenuto in via diretta e immediata dalla commissione del reato, e quindi legato da un rapporto di pertinenzialità diretta con l’illecito penale.

Si giustifica in tal modo l’attrazione, accanto al prezzo, anche del profitto del reato, all’interno di un nucleo unitario di finalità rispristinatoria dello status quo ante, secondo la medesima prospettiva volta a sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore

(…)Un discorso diverso vale invece per la confisca per equivalente, che assolve una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è pertanto connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la finalità principale delle misure di sicurezza, essendo in definitiva la confisca di valore parametrata al profitto o al prezzo dell’illecito solo da un punto di vista “quantitativo”, per cui la stessa non può che essere disposta solo all’esito di un giudizio di condanna, dovendosi appunto declinare la funzione della misura in chiave marcatamente sanzionatoria.

  1. La confisca nei reati tributari: il denaro quale bene fungibile

Ciò posto, assume dunque particolare rilievo l’individuazione dell’ambito di confiscabilità del profitto nei reati tributari, inteso come qualsivoglia vantaggio patrimoniale conseguito alla consumazione del reato, che può consistere anche in un “risparmio di spesa”, corrispondente cioè al mancato decremento del patrimonio del debitore che non adempie tempestivamente all’obbligazione tributaria (cfr. Sez. Un., n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255036, ric. Adami). Ed invero, premesso che il profitto è confiscabile sia in forma diretta, ai sensi della generale previsione di cui all’art. 240 cod. pen., che per equivalente (Sez. 3, n. 23108 del 23/04/2013, Rv. 255446), è stato affermato che la confisca diretta del profitto di reato è comunque istituto ben distinto dalla confisca per equivalente (Sez. Un., n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258648, ric. Gubert).

(…)A fronte di una pluralità di orientamenti che pervenivano a differenti conclusioni, vi è stato anche in materia l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte (con la già citata sentenza n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264437) che, sviluppando un concetto invero già espresso dalla sentenza n. 10561 del 30/01/2014, ric. Gubert, hanno evidenziato che, ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde, per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo, qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe infatti alcuna ragione d’essere, né sul piano economico né su quello giuridico, la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che conta è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo, per cui a rilevare è la prova della percezione illegittima della somma, non la sua materiale destinazione. Soltanto quindi nelle ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro, sorge la eventualità di dare luogo a una confisca degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o del profitto del reato, giacchè in tal caso si avrebbe quella necessaria novazione soggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore.

Nel solco dei principi elaborati dalle Sezioni Unite, il tema è stato ulteriormente approfondito da due successive pronunce di questa Corte (Sez. 3, n. 28223 del 09/02/2016 non mass. e Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, Rv. 272353), con le quali, applicando a contrario i principi sopra richiamati, si è anche precisato che la natura fungibile del denaro non consente però la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possano in alcun modo derivare dal reato e costituire, pertanto, profitto dell’illecito(…).

In quest’ottica, ipotizzando che il contribuente sia titolare di un rapporto di conto corrente bancario o postale che, alla scadenza del termine per il pagamento dell’imposta, presenti un saldo negativo, è chiaro che il denaro versato successivamente non può essere ritenuto “profitto” del reato, ma unità di misura equivalente al debito tributario scaduto e non onorato. Qualora invece il conto bancario o postale presenti, alla scadenza, saldi attivi, il profitto dell’omesso versamento dell’imposta equivale al correlativo mancato decremento del saldo. In definitiva, la natura fungibile del denaro non è sufficiente in questi casi a qualificare di per sé come “profitto” l’oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilità della somma successivamente sequestrata costituisca essa stessa risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta o che si tratti di liquidità rimasta nella disponibilità del contribuente.

  1. L’applicazione dei principi di diritto al caso di specie.

Orbene, alla stregua di tali premesse condivise ermeneutiche, possono essere ora affrontati i primi due motivi di ricorso. Al riguardo, precisato che la sentenza impugnata, confrontandosi con le censure difensive in punto di responsabilità dell’imputata, ha dichiarato l’estinzione per prescrizione del reato (omesso versamento dell’iva) per cui la (omissis) era stata condannata in primo grado, deve ritenersi innanzitutto corretta la decisione della Corte territoriale di revocare parzialmente la confisca dei beni sequestrati con decreto del G.I.P. di Teramo il (omissis), limitatamente ai beni immobili, risultando questi ultimi inquadrabili nello schema della confisca per equivalente. Alla luce dei principi elaborati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31617 del 2015 (ric. Lucci), non sarebbe stato infatti possibile il mantenimento della confisca in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Viceversa, stante la sostanziale conferma del giudizio di colpevolezza della (omissis), deve ritenersi consentita la sola confisca diretta del profitto del reato.

Ribadita la correttezza di tale affermazione, occorre tuttavia verificare se, nel caso di specie, la qualificazione come profitto del reato degli altri beni sequestrati (in particolare del denaro), con conseguente operatività della confisca diretta, sia stata compiuta in coerenza con i canoni interpretativi in precedenza individuati.

Come detto, infatti, per accertare se il denaro costituisce profitto, cioè risparmio di spesa, del reato di omesso versamento (e sia quindi aggredibile in via diretta), è necessario avere riguardo esclusivamente alle disponibilità liquide giacenti sui conti del contribuente al momento della scadenza del termine previsto per il pagamento del debito tributario, avuto riguardo ovviamente non all’identità fisica delle somme, ma al loro valore numerarlo, che potrà essere oggetto di sequestro (e poi di confisca) in via diretta, solo se di segno positivo sia al momento della scadenza del termine per il versamento dell’imposta, che del sequestro, con l’ulteriore conseguenza che il profitto non può essere mai considerato “diretto” per la parte eccedente il saldo alla data della scadenza del termine di pagamento, anche se non corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa.

Orbene, tale verifica è del tutto mancata nella sentenza impugnata, avendo i giudici di appello operato solo un generico richiamo alla nozione di profitto del reato tributario, senza tuttavia alcun riferimento né alla tipologia dei beni mobili sequestrati, nè alla loro consistenza alla scadenza del termine per onorare il debito tributario (27 dicembre 2008) e al successivo momento del sequestro.

  1. Sul sopravvenuto versamento dell’imposta

(…)Ulteriore profilo di criticità del provvedimento impugnato deve essere infine individuato nella parte in cui è stato ritenuto irrilevante il successivo versamento dell’iva non versata nell’anno di imposta contestato (2007).Al riguardo deve infatti evidenziarsi che l’art. 12 bis del d. lgs. 74 del 2000, dopo aver ribadito al comma 1, in una veste più organica rispetto all’originario art. 1 comma 143 della legge n. 244 del 2007, l’applicabilità dell’istituto della confisca per equivalente nell’ambito dei reati tributari, ha introdotto al comma 2 l’ulteriore previsione secondo cui “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”. Non può quindi affermarsi che il sopravvenuto versamento dell’imposta sia privo di rilievo ai fini del mantenimento della confisca, tanto più ove si consideri che la norma sopra indicata non contiene un espresso riferimento agli interessi e alle sanzioni, dovendosi solo precisare che, come già evidenziato da questa Sezione (sentenze n. 28225 del 09/02/2016, Rv. 267334 e n. 5728 del 14/01/2016, Rv. 266037), la previsione di cui all’art. 12 bis d. Igs. n. 74 del 2000 si riferisce alle assunzioni di impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, come l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, la transazione fiscale, l’attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda, procedure queste nelle quali il computo e l’onere di versamento di sanzioni e interessi possono venire anche calibrati diversamente. Né comunque appare pertinente il richiamo della sentenza alla necessità di considerare “la totalità del credito vantato dall’Erario”, contemplando la predetta norma un meccanismo di non operatività della confisca ricollegabile potenzialmente anche a versamenti parziali del debito tributario (“la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario…”). Anche sotto tale aspetto, al di là delle considerazioni in precedenza formulate circa la qualificazione giuridica dei beni eventualmente suscettibili di confisca diretta, la sentenza impugnata non si sottrae pertanto alle censure difensive”.

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Riferimenti normativi

Art. 10-ter. Omesso versamento di IVA 

“E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.

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Giurisprudenza recente in tema di omesso versamento dell’IVA:

Cassazione penale sez. III, 12/12/2018, n.9

Per la configurabilità del reato di omesso versamento IVA in capo al legale rappresentante di un’impresa non rileva quale causa di forza maggiore lo stato di crisi finanziaria imputabile alla precedente gestione laddove l’agente, al momento della nomina, sia consapevole della crisi di liquidità.

Cassazione penale sez. III, 09/11/2018, n.54699

È configurabile il reato di omesso versamento dell’i.v.a. nei confronti di un soggetto che, subentrato nella carica di liquidatore di una società di capitali successivamente alla presentazione della dichiarazione annuale di imposta ma prima della scadenza del termine per il relativo versamento, abbia omesso di compiere le necessarie verifiche sugli ultimi adempimenti fiscali e non abbia versato all’erario le somme dovute in base alla dichiarazione. (Fattispecie nella quale la S.C., nel dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado per il reato di cui all’art. 10-ter d.lg. n. 74/2000, ha ritenuto non rilevante la circostanza che l’iscrizione alla camera di commercio della nomina alla carica di liquidatore della società fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per il versamento dell’imposta).

Cassazione penale sez. III, 08/06/2018, n.39696

È necessario operare un bilanciamento tra l’interesse dell’Erario e l’interesse degli altri creditori: secondo tale impostazione, in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non è configurabile il fumus commissi delicti del reato di omesso versamento dell’IVA nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il versamento del tributo, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d’imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative.

Cassazione penale sez. III  13/03/2018 n. 15172  

La nuova fattispecie di reato di cui all’ art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000 , come modificata dall’ art. 8, d.lgs. n. 158 del 2015 , che ha elevato a Euro 250.000,00 la soglia di punibilità, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell’abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma secondo, cod. pen. (e non il quarto comma dell’ art. 2, cod. pen. ), e 673, comma primo, cod. proc. pen.

Cassazione penale sez. III  23/01/2018 n. 6220  

In tema di omesso versamento dell’ IVA, il reato omissivo previsto dall’ art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate.

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 4750  

In caso di omesso versamento, la confisca va disposta anche se non risultano disponibilità di beni da parte dell’imputato. A ricordarlo è la Cassazione che ha accolto il ricorso della pubblica accusa contro la scelta del Tribunale di condannare l’imputato per violazione dell’ articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 , senza disporre, però, la confisca per insussistenza dei mezzi. Si tratta, infatti di un preciso obbligo di legge che sfugge a qualunque considerazione da parte del giudice, potendo essere colpiti anche beni futuri. L’applicazione di tale confisca, in sostanza, è sottratta alla discrezionalità del giudice.

Cassazione penale sez. IV  17/10/2017 n. 52542  

Non è corretto attribuire prevalenza alla norma penale che sanziona l’omesso versamento dell’IVA rispetto al contrapposto divieto di versamento dell’IVA, imposto da un legittimo ordine del giudice (divieto di eseguire pagamenti per crediti anteriori alla richiesta di ammissione alla procedura concorsuale di concordato), che deriva da precise norme giuridiche aventi pari valore ed efficacia rispetto alla normativa tributaria.

Cassazione penale sez. III  12/04/2017 n. 39503  

Deve essere confermata la condanna per omesso versamento di IVA se l’imputato non dimostra che la crisi finanziaria sia stata imprevedibile, repentina e che egli, da amministratore, abbia fatto tutto quanto nelle sue disponibilità per evitare l’omissione del versamento.

Cassazione penale sez. III  15/02/2017 n. 35786  

Solo l’omologazione, e non anche la semplice ammissione al concordato preventivo – sia pure intervenuta antecedentemente alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta -, può escludere il reato di omesso versamento i.v.a. ex art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000.

Cassazione penale sez. III  15/02/2017 n. 35786  

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rispettivamente in tema di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e dell’IVA, è sufficiente il consapevole inadempimento, da parte del contribuente, dell’obbligazione tributaria così come risultante dalle dichiarazioni annuali dal medesimo presentate, non essendo necessario che egli sia preventivamente messo a conoscenza della pretesa avanzata dagli organi accertatori in sede amministrativa né che detta pretesa abbia un positivo riconoscimento, attesa l’autonomia del procedimento penale dal procedimento e dal processo tributario.

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