Doppio binario processuale: la Cassazione conferma il difetto di valore probatorio delle presunzioni tributarie all’interno del processo penale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.7241/2019 con cui la III Sezione penale della Cassazione ha confermato l’orientamento già sedimentato da diverse pronunce che nega valore probatorio nel processo penale alle presunzioni tributarie.

Il giudizio di merito in sintesi

La Corte di appello di Catanzaro confermava il provvedimento con cui il Tribunale di Cosenza aveva dichiarato la penale responsabilità dell’imputato, relativamente ai reati di cui agli artt. 4 e 2 del D. Lgs. n. 74/2000: per l’evasione dell’IRES il giudicabile, nella qualità di legale rappresentante di una Srl, avrebbe indicato nelle dichiarazioni dei redditi elementi passivi fittizi ed omesso di indicare elementi attivi reali per un complessivo importo superiore al 10% degli elementi attivi indicati, nonché per essersi avvalso, nella redazione della predetta dichiarazione dei redditi, di fatture relative ad operazioni passive oggettivamente inesistenti.

Il grado di legittimità

Contro la sentenza della Corte distrettuale veniva interposto ricorso per cassazione con il quale   veniva censurata la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sono stati ricondotti a reddito, sulla base di una presunzione tipica del diritto tributario, i prelievi di cassa operati dal ricorrente e nella parte in cui non sono stati considerati provati gli impieghi di essi come costi riferiti al ciclo produttivo della impresa.

Il Supremo Collegio ha accolto il ricorso sul punto, ritenendolo assorbente rispetto gli altri profili di impugnazione, annullando senza rinvio la sentenza resa in grado di appello per intervenuta prescrizione dei reati in contestazione.

Il principio di diritto

Di seguito si riporta il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento:

Per evidenti ragioni di economia processuale ritiene il Collegio di dovere esaminare prioritariamente il quinto fra i motivi di ricorso dedotti dalla difesa del Graziano, riferito all’aver i giudici del merito considerato presuntivamente riferibili a ricavi, non dichiarati, i prelievi di cassa eseguiti dall’imputato.

Tale deduzione, tuttavia, si basa su una presunzione che, nella sua assolutezza risulta essere tipicamente riconducibile al solo diritto tributario e non può estendere il suo campo di azione anche all’accertamento penale dei reati.

Più volte, infatti, questa Corte ha affermato, confermato e ribadito il principio secondo il quale le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal dlgs n. 74 del 2000, potendo solamente essere fondamento di elementi indiziari atti a giustificare l’adozione di misure cautelari reali a carico del soggetto interessato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 giugno 2018, n. 26274). Si tratta, infatti, come in altra occasione è stato precisato da questa Corte con riferimento alle risultanze derivanti dalla presunzioni previste dal diritto tributario (ed il richiamo era proprio alla riconduzione a ricavi o compensi dei prelevamenti operati dal contribuente), di elementi che non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa(Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 luglio 2015, n. 30890; idem 13 febbraio 2013, n. 7078).

Nel caso in esame non risulta che la Corte catanzarese abbia preso in esame, come indicato dalla giurisprudenza di questa Corte, ulteriori elementi di riscontro, essendosi basata esclusivamente, ai fini della affermazione della penale responsabilità del Graziano, sulla esistenza dei predetti prelievi di cassa.

La sentenza impugnata, stante la insufficienza motivazionale e la violazione di legge insita nella utilizzazione in ambito improprio della presunzione tipica del diritto tributario, deve essere annullata, con assorbimento dei restanti motivi di impugnazione”.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di valenza probatoria delle presunzioni tributarie nel processo penale:

Cassazione penale, sez. V, 20/09/2018 , n. 48616

La disposizione di cui all’ art. 52, comma 1, lettera g), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98 ), che preclude all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione della “prima casa” del debitore, trova applicazione esclusivamente nel processo tributario e pertanto impedisce il sequestro preventivo dell’abitazione dell’indagato solo in tale ristretto ambito. (In motivazione la Corte ha precisato che tale previsione non costituisce una regola generale che altrimenti sottrarrebbe a qualsiasi procedura esecutiva civile e a qualsiasi vincolo di natura penale la prima abitazione).

Cassazione penale, sez. III, 10/05/2018 , n. 26274

Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé sole fonte di prova della commissione dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 , hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il “fumus commissi delicti” idoneo, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale. (Fattispecie relativa alla presunzione legale di cui agli artt. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2 del d.P.R. 633 del 1972, in virtù della quale vanno considerati come compensi tutti gli accrediti percepiti nell’anno di imposta di cui non è stata giustificata la provenienza).

Cassazione penale, sez. III, 18/12/2017 , n. 6942

Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. In questa prospettiva, in tema di reati tributati, l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli stessi elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione però che gli stessi siano assunti non con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori, e, siccome dette presunzioni hanno il valore di un indizio, esse, per assurgere a dignità di prova, devono trovare oggettivo riscontro o in distinti elementi di prova ovvero in altre presunzioni, purché siano gravi precise e concordanti.

Cassazione penale, sez. I, 15/06/2017 , n. 53636

Le sentenze pronunciate dai giudici tributari e le determinazioni assunte nel procedimento amministrativo in merito a operazioni commerciali, attestate da documenti contabili di cui in tesi accusatoria si assume la non rispondenza al vero, non contengono accertamenti di fatto vincolanti per la decisione riguardante l’applicazione di misure di prevenzione reali e la formulazione del giudizio di sproporzione tra redditi dichiarati e attività svolte e valore dei beni acquisiti dal proposto, ma, se prodotte dalle parti nel relativo procedimento, sono soggette al libero apprezzamento. Così si è espressa la Cassazione che torna a ribadire l’indipendenza del procedimento penale – e ancor più di quello di prevenzione – dal processo tributario. Per la Corte, in sostanza, le sentenze dei giudici tributari non sono mai vincolanti nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione reali previste dal Codice antimafia ( Dlgs 159/2011 ).

Cassazione penale, sez. III, 02/03/2016 , n. 15899

Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.

Cassazione penale, sez. III, 21/01/2016 , n. 5733

È legittimo il decreto di sequestro preventivo per equivalente disposto sulla base di presunzioni tributarie, potendo la decisione, in sede cautelare, fondarsi sulla sussistenza di elementi di natura meramente indiziaria. Pertanto, deve ritenersi che la presunzione prevista dall’art. 12 d.l. n. 78 del 2009, secondo la quale gli investimenti e le attività finanziarie detenute in Paesi a regime fiscale privilegiato, si presumono, ai soli fini fiscali e salvo prova contraria, costituiti mediante redditi sottratti a tassazione in Italia, costituisca elemento idoneo ad integrare il necessario presupposto del “fumus commissi delicti” del reato di cui all’art. 4 d.lg. n. 74 del 2000, pur in presenza di elementi di segno contrario.

Cassazione penale, sez. III, 14/10/2015 , n. 25451

Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal d.lg. 74 del 2000, hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il “fumus commissi delicti” idoneo, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale.

Cassazione penale, sez. III, 02/10/2014, n. 2006

Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal d.lg. n. 74 del 2000, hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il “fumus commissi delicti” idoneo, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale. (Fattispecie relativa a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato).

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