Rassegna della giurisprudenza di legittimità in materia di diritto penale del lavoro aggiornata al dicembre 2018

Si segnala ai lettori del blog la rassegna della giurisprudenza di legittimità riportante le più significative pronunce a corredo delle fattispecie di reato in materia di lavoro maggiormente frequenti nella pratica giudiziaria di cui lo Studio si occupa, con particolare riferimento alla disciplina della sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro e connessa responsabilità penale dei titolari di posizioni di garanzia; maltrattamenti sul lavoro (c.d. mobbing) e altre condotte vessatorie del datore di lavoro; omissione di versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali e reati commessi nell’ambito del pubblico impiego.

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Responsabilità penale legata alla violazione degli obblighi derivanti da posizione di garanzia in materia di sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro

Datore di lavoro

Cassazione penale , sez. IV , 05/10/2018 , n. 49373

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per escludere la responsabilità del titolare della posizione di garanzia, l’interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente del lavoratore, da solo sufficiente a determinare l’evento, richiede che la condotta del lavoratore si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è “interruttivo” non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare: ciò che peraltro deve escludersi quando il sistema della sicurezza approntato dal datore dì lavoro presenti delle criticità (come nella specie, in cui l’infortunio si era verificato per l’utilizzo di uno strumento di lavoro del tutto improprio e potenzialmente pericoloso).

Cassazione penale , sez. IV , 05/10/2018 , n. 49373

L’interruzione del nesso di condizionamento a causa del comportamento imprudente del lavoratore richiede che la sua condotta si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Il comportamento è dunque interruttivo non perché eccezionale, ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è tenuto a governare. Ne consegue che la responsabilità del lavoratore è esclusa laddove il sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle criticità.

Cassazione penale , sez. IV , 19/07/2018 , n. 43852

In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia eccezionale ed imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Non integra il “comportamento abnorme”, idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale patito dal lavoratore, il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo, che il garante è chiamato a governare.

Cassazione penale, sez. III , 27/04/2018 , n. 30173

Per prevenire infortuni sul lavoro, è obbligo del datore di lavoro analizzare tutti i fattori di pericolo presenti nell’azienda per poi redigere ed aggiornare periodicamente il documento di valutazione dei rischi.

Cassazione penale , sez. IV , 20/04/2018 , n. 43829

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle amministrazioni pubbliche, l’attribuzione della qualità di datore di lavoro a un dirigente o a un funzionario da parte dell’organo di vertice deve essere espressa e accompagnata dal conferimento dei poteri decisionali e di spesa, con la conseguenza che, in mancanza di tale indicazione espressa e del conferimento dei necessari poteri, la qualità di datore di lavoro permane in capo all’organo di direzione politica della singola amministrazione.

Cassazione penale , sez. IV , 28/03/2018 , n. 18409

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell’obbligo ci predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro.

Cassazione penale , sez. IV , 14/03/2018 , n. 26294

In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi ” contra legem”, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.

Cassazione penale , sez. IV , 25/01/2018 , n. 10544

In tema di infortuni sul lavoro, in caso di subappalto, il datore di lavoro dell’impresa affidataria deve verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, la congruenza dei piani operativi di sicurezza (POS) delle imprese esecutrici rispetto al proprio, nonchè l’applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), con la conseguenza che in mancanza di quest’ultimo, egli deve attivarsi richiedendolo immediatamente al committente oppure rifiutandosi di conferire il subappalto.

Cassazione penale, sez. IV, 18/04/2017,  n. 27306

In materia di infortuni sul lavoro, presupposto per l’applicabilità dell’ art. 26 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che detta specifici oneri a carico del datore di lavoro committente, per il caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice ovvero a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda è la effettiva sussistenza di un contratto di appalto o di uno degli altri rapporti contrattuali previsti dalla citata norma. (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ritenuto la responsabilità del titolare dell’azienda per l’infortunio occorso in una fase antecedente all’affidamento dei lavori e dunque prima che egli assumesse il ruolo di committente).

Cassazione penale, sez. IV, 04/04/2017,  n. 27305

In tema di infortuni sul lavoro, al fine di accertare gli obblighi gravanti sul soggetto garante e l’estensione del rischio che il medesimo è tenuto a gestire, anche sotto il profilo della causazione dell’evento, è necessario che il giudice proceda alla valutazione della natura del rapporto di lavoro e della situazione fattuale sottostante. (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ritenuto la responsabilità del titolare dell’azienda per le lesioni riportate dalla persona offesa, a seguito della caduta da una scala utilizzata nell’effettuare la raccolta delle olive, in esecuzione di un contratto di compartecipazione agraria stagionale in quote di prodotto, omettendo di valutare la natura giuridico – fattuale del rapporto contrattuale e gli obblighi da esso derivanti).

Cassazione penale, sez. III, 15/03/2017,  n. 18396

La definizione di “lavoratore”, di cui all’art. 2, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ed è definizione più ampia di quelle previste dalla normativa pregressa, che si riferivano invece al “lavoratore subordinato” (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro” (art. 2, comma primo, lett. a, D.Lgs. n. 626 del 1994); ne consegue che, ai fini dell’applicazione delle norme incriminatrici previste nel decreto citato, rileva l’oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell’impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell’imprenditore, a prescindere dal fatto che il “lavoratore” possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo. (Fattispecie di impiego di lavoratori che, pur formalmente titolari di ditte artigianali, prestavano in assenza di autonomia la propria attività alle dipendenze di soggetto imprenditore privo di propri dipendenti).

Cassazione penale, sez. III, 30/03/2017,  n. 35170

È configurabile il reato di cui all’art. 4 della legge n. 628 del 1961 (mancata risposta alla richiesta di notizie da parte dell’Ispettorato del lavoro) anche nel caso di omessa esibizione di specifici documenti richiesti dal predetto Ispettorato da parte del datore di lavoro. (In motivazione, la S.C. ha precisato che l’inclusione dei datori di datori tra i destinatari delle richieste di cui al citato art. 4 non contrasta con il diritto costituzionale di difesa sul presupposto che, in tal modo, si imporrebbe agli stessi un obbligo di possibile autodenuncia quanto ad eventuali mancanze od omissioni, in quanto le suddette richieste rientrano nell’ambito della vigilanza amministrativa demandata all’Ispettorato e, come tali, da un lato assoggettano l’imprenditore allo stesso trattamento riservato a ogni cittadino sottoposto ad atti di controllo amministrativi per fini di interesse generale, e dall’altro risultano carenti del presupposto perché venga in discussione il predetto diritto costituzionale).

Cassazione penale, sez. IV, 01/02/2017,  n. 8118

Nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società per l’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancata manutenzione dei macchinari cui lo stesso era assegnato).

Cassazione penale, sez. III, 17/01/2017,  n. 32358

Incorre in responsabilità penale il sindaco che, nella sua qualità di datore di lavoro, non mette in atto le misure necessarie per verificare che il luogo di lavoro sia sottoposto a regolare manutenzione tecnica per eliminare i difetti in grado di mettere a rischio la sicurezza e la salute dei dipendenti, ovvero non dimostra di avere correttamente delegato il dirigente comunale nel suo ruolo di responsabile. Nel caso di specie, si trattava di una scuola materna comunale e la vicenda si è conclusa con l’ammenda in capo al sindaco che aveva soltanto indicato un altro soggetto responsabile del servizio scuole, senza però dimostrare in giudizio di aver delegato i pieni poteri necessari a far rivestire il ruolo di datore di lavoro al dirigente delegato.

Cassazione penale, sez. III, 17/01/2017, n. 13096

L’art. 18, comma primo, lett. d), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che impone di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 28 dello stesso decreto. (Fattispecie di omessa fornitura di copricapi antinfortunistici all’interno di cantiere dove erano in corso lavori edili che, secondo quanto previsto dall’allegato VIII al decreto n. 81 del 2008, rientrano fra le attività che generalmente comportano la necessità di proteggere il capo e per le quali è quindi necessario l’elmetto protetttivo).

Cassazione penale, sez. IV, 12/01/2017,  n. 18090

In tema di infortuni sul lavoro, ai sensi dell’art. 299, D.Lgs. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicchè l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’imputato per il decesso di un lavoratore perchè assumendo il compito di organizzare e dirigere un sopralluogo, per conto del datore di lavoro, aveva assunto anche l’obbligo di garantire la sicurezza dei partecipi).

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R.S.P.P.

Cassazione penale , sez. IV , 28/03/2018 , n. 18409

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio con la conseguenza che è riconducibile alla sfera gestionale del direttore di stabilimento, con delega in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, la sottoposizione degli impianti a regolare manutenzione, al fine di rilevare ed eliminare eventuali difetti pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del direttore di stabilimento per l’infortunio occorso a un lavoratore che aveva compiuto una pericolosa operazione per supplire a un difetto di funzionamento di un macchinario, di cui il direttore di stabilimento non era a conoscenza, per non avere predisposto e verificato che il servizio di manutenzione ponesse in essere i necessari controlli e lo tenesse costantemente informato sui loro esiti).

Cassazione penale , sez. IV , 10/05/2017 , n. 27516

Non è configurabile la responsabilità penale in capo al responsabile del servizio di prevenzione e protezione (R.S.P.P.) per il reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione antinfortunistica ex art. 590, comma 2, c.p. e aggravato ex art. 61, n.   3, c.p., qualora questo abbia diligentemente valutato e, conseguentemente segnalato, tramite un documento di valutazione rischi (D.V.R.) completo e idoneo, i fattori di rischio presenti in azienda, con ciò adempiendo all’obbligo, sullo stesso gravante in forza della posizione di garante ascrittagli di impedire l’evento (Ipotesi in cui la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza di proscioglimento dal reato di cui all’art. 590, comma 2, c.p. emessa in favore del R.S.P.P., il quale aveva segnalato tramite D.V.R. un rischio per la pericolosità intrinseca delle presse presenti in azienda, aggravato dalla inidoneità dei dispositivi di protezione non conformi alla legge).

Cassazione penale, sez. IV, 26/04/2017,  n. 24958

La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. (In motivazione, la Corte ha precisato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale).

Cassazione penale, sez. IV, 26/04/2017,  n. 40718

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è tenuto ad adempiere all’obbligo di valutazione e prevenzione del rischio in conformità alle previsioni normative in materia, formulando specifiche e tassative prescrizioni tecniche vincolanti per tutti i soggetti destinati ad operare nella struttura aziendale e sui macchinari ivi presenti, a prescindere dalle specifiche conoscenze e capacità dei singoli operatori. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del RSSP in ordine al reato di lesioni colpose cagionate a una lavoratrice, per avere omessso di valutare il rischio connesso all’uso di una macchina tritacarne sprovvista della necessaria protezione, anche se al momento della redazione del documento di valutazione dei rischi l’unico possibile utilizzatore della macchina fosse il titolare della ditta, a conoscenza del predetto rischio).

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Coordinatore Sicurezza in fase di Esecuzione.

Cassazione penale , sez. IV , 19/07/2018 , n. 43852

In tema di prevenzione antinfortunistica nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza di più imprese esecutrici, non è idonea ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta dei titolari delle posizioni di garanzia (nella specie il titolare della ditta appaltatrice da cui dipendeva il lavoratore infortunato e il coordinatore per la sicurezza) e l’evento, la condotta dei lavoratori dipendenti da ditta diversa da quella dell’infortunato che, terminata la propria fase di lavorazione, abbiano rimosso i dispositivi antinfortunistici in violazione del piano di sicurezza e coordinamento.

Cassazione penale , sez. IV , 25/01/2018 , n. 10544

In tema di infortuni sul lavoro, il committente, nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche non contemporanea) di più imprese esecutrici, ha l’obbligo: 1) di elaborare il documento unico di valutazione dei rischi di cui all’ art. 26, comma 3, d.lgs n. 81 del 2008 ; 2) di nominare il coordinatore per la progettazione dell’opera di cui agli artt. 89, comma 1, lett. e), e 91 d.lgs n. 81 del 2008 (CSP), deputato a redigere il piano di sicurezzae coordinamento (PSC); 3) di nominare il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f) e 92 d.lgs n. 81 del 2008 (CSE), deputato a verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi.

Cassazione penale , sez. IV , 10/01/2018 , n. 7188

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio, sia per la scelta dell’impresa sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini.

Cassazione penale, sez. IV, 14/09/2017, n. 45862

Il coordinatore della sicurezza è tenuto a verificare l’applicazione da parte delle imprese esecutrici e da parte dei lavoratori autonomi dell’esecuzione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento (Pos) e l’idoneità del medesimo. La Cassazione sottolinea così l’importante ruolo di vigilanza che il coordinatore riveste in materia di sicurezza sul lavoro nei cantieri, che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non il puntuale e stringente controllo momento per momento, che è demandato alle figure operative, ossia al datore di lavoro, al dirigente, al preposto.

Cassazione penale, sez. IV, 14/09/2017,  n. 48951

Le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni; un eventuale concorso di colpa del lavoratore non esclude la responsabilità dell’addetto alla sicurezza del cantiere per aver violato le prescrizioni di sicurezza previste dalla legge.

Cassazione penale, sez. IV, 12/04/2017,  n. 34869

In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio per l’ipotesi in cui i lavori contemplino l’opera, anche non in concomitanza, di più imprese o lavoratori autonomi le cui attività siano suscettibili di sovrapposizione od interferenza, e non il sovrintendere, momento per momento, alla corretta applicazione delle prescrizioni e delle metodiche risultanti dal piano operativo di sicurezza. (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna del coordinatore per la sicurezza dei lavori, per l’infortunio occorso ad un lavoratore di una ditta esterna intento allo smontaggio di pannelli mentre si trovava su un trabatello con ruote, poichè non era stata verificata la ricorrenza di un rischio derivante dalla interferenza di lavorazioni riconducibili a ditte diverse sul luogo di lavoro).

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Preposto

Cassazione penale , sez. IV , 05/10/2018 , n. 49373

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, anche se formalmente ha appaltato a terzi le opere che hanno dato origine all’infortunio.

Cassazione penale , sez. IV , 10/10/2017 , n. 50037

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto.

Cassazione penale, sez. IV, 04/04/2017,  n. 22606

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo. (In motivazione la Corte ha precisato che l’impiego di un macchinario di elevata pericolosità, quale la macchina polmone a nastro, privo dei requisiti generali di sicurezza, per la natura della norma prevenzionale violata, rientra nella sfera gestionale riconducibile al vertice societario).

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Medico competente

Cassazione penale , sez. III , 11/05/2018 , n. 30918

La violazione dell’obbligo di nominare il medico competente, previsto dall’art. 18, comma 1, lett. a), del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 8, e sanzionato dall’art. 55, comma 1, lett. d), del medesimo d.lgs., costitutisce un reato permanente e di pericolo astratto per cui la condotta illecita si protrae sino all’adempimento dell’obbligo senza la necessità che ne derivi un danno alla salute o alla sicurezza del lavoratore.

Cassazione penale sez. III  23 novembre 2016 n. 6885  

In tema di sicurezza sul lavoro, la contravvenzione prevista dall’art. 25, comma primo, lett. b) del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, che sanziona l’inosservanza da parte del medico competente dei protocolli definiti in funzione dei rischi specifici dei lavoratori, sottoposti a visita periodica, ha natura di reato permanente e di pericolo astratto, per cui la condotta illecita si protrae sino al momento di ottemperanza dell’obbligo di legge e ai fini della sua configurazione non è necessario che dalla violazione delle prescrizioni derivi un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore.

Cassazione penale sez. III  31 maggio 2016 n. 35425  

Il medico competente incorre nel reato di cui all’art. 25, lett. b), d.lg. n. 81 del 2008 allorché, una volta rilevato uno specifico rischio da sovraccarico biomeccanico in capo ai dipendenti, ometta l’attuazione delle conseguenti misure di sorveglianza sanitaria.

Cassazione penale sez. III  11 dicembre 2012 n. 1856  

Il “medico competente”, secondo la definizione fornita dall’art. 2, lett. h), d.lg. 9 aprile 2008 n. 81, è il medico che, in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’art. 38, “collabora”, secondo quanto previsto dall’art. 29, comma 1, con il datore d lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al d.lg. n. 81 del 2008. Questa attività di collaborazione è stata ora ampliata dall’art. 25 d.lg. n. 81 del 2008, che la estende anche alla programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e all’organizzazione del servizio di primo soccorso, considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Per la violazione degli obblighi di collaborazione, sono previste le sanzioni penali di cui all’art. 58 d.lg. n. 81 del 2008.

Cassazione penale sez. IV  13 luglio 2011 n. 34373  

Ai sensi dell’art. 2087, c.c., nonché dell’art. 18 d.lg. n. 81 del 2008, il datore di lavoro, titolare principale della posizione di garanzia, è tenuto a vigilare sul modo con cui gli altri soggetti (con)titolari della posizione di garanzia assolvono il proprio ruolo (nella fattispecie, il medico competente); ma vanno escluse violazioni cautelari anche di colpa generica da parte del datore di lavoro, vuoi sotto il profilo della scelta del medico competente sia sotto il correlato profilo del “sindacato” sul modo con cui tale professionista procede a svolgere i propri compiti, vuoi sotto il profilo dei generali obblighi prevenzionali nello specifico settore dei rischi acustici.

Cassazione penale sez. III  09 dicembre 2004 n. 1728  

Il controllo sulla salute del lavoratore deve essere imparziale. Il divieto di accertamenti sanitari privati sulle assenze del dipendente per malattia o infortunio comporta, infatti, che le “ispezioni” possono essere fatte solo dai medici del S.s.n. e non dal medico aziendale. E ciò vale anche nelle aziende per le quali è “obbligatoria la sorveglianza sanitaria ed è stato nominato a tal fine un medico competente”, pena la responsabilità del datore di lavoro per violazione dall’art. 5 dello statuto dei lavoratori.

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Responsabilità penale legata a comportamenti vessatori del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori

“Mobbing” (art. 572 c.p. Maltrattamenti contro familiari e conviventi)

Cassazione penale , sez. VI , 07/06/2018 , n. 39920

È  essenziale il requisito della para-famigliarità del rapporto per configurare il reato di maltrattamento in famiglia in ambito lavorativo (nella specie, l’imputato, nella sua qualità di notaio e datore di lavoro della vittima, dipendente dello studio notarile e sua cognata era accusato del reato di maltrattamenti in famiglia in ambito lavorativo).

Cassazione penale , sez. VI , 13/02/2018 , n. 14754

Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte poste in essere dai superiori in grado nei confronti di un appuntato dei Carabinieri).

Cassazione penale , sez. II , 06/12/2017 , n. 7639

Gli atti persecutori realizzati in danno del lavoratore dipendente e finalizzati alla sua emarginazione (c.d. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para -familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudine di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto debole del rapporto in quello che riveste la posizione di supremazia, e come tale, destinatario di obblighi di assistenza verso il primo.

Cassazione penale , sez. VI , 28/09/2016 , n. 51591

Il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo, a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all’azione di chi ha la posizione di supremazia.

Cassazione penale , sez. VI , 01/06/2016 , n. 26766

Le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, ovvero sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole dei rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (nella specie, relativa ai rapporti tra i gestori di una ricevitoria e una loro dipendente, qualificabili in termini di lavoro subordinato, non ricorreva quel nesso di supremazia -soggezione che ha esposto la parte offesa a situazioni assimilabili a quelle familiari).

Cassazione penale , sez. VI , 26/02/2016 , n. 23358

Le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para -familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia.

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Estorsione (art. 629 c.p.)

Cassazione penale , sez. II , 04/05/2018 , n. 25979

Ai fini dell’integrazione dell’illecito di cui all’art. 648-ter.1 c.p. è necessario che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a provare che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto attuare un impegno finalizzato a occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto sicché rilevano penalmente tutte le condotte di sostituzione che avvengano attraverso le reimmissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzate a conseguire un concreto effetto dissimulatorio che sostanzia il quid pluris che differenzia la condotta di godimento personale, insuscettibile di sanzione, dall’occultamento del profitto illecito, penalmente rilevante.

Cassazione penale , sez. II , 14/02/2017 , n. 11107

Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate.

Cassazione penale , sez. II , 14/04/2016 , n. 18727

Integra il reato di estorsione anche la condotta del datore di lavoro che, anteriormente alla conclusione del contratto, impone al lavoratore ovvero induce il lavoratore ad accettare condizioni contrarie a legge ponendolo nell’alternativa di accettare quanto richiesto ovvero di subire il male minacciato.

Cassazione penale , sez. II , 10/10/2014 , n. 677

Ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11, c.p., il rapporto o contratto di lavoro rientra nell’ambito delle “relazioni di prestazione d’opera”. (Fattispecie in tema di estorsione commessa dal datore di lavoro nei confronti di lavoratori subordinati).

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Reati connessi alla violazione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro

Omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali (art. 2 D.l. 12 settembre 1983 conv. in l. 683/1983, n. 463)

Cassazione penale sez. III, 27/11/2018, n.346

In tema di omesso versamento all’INPS delle ritenute previdenziali ed assistenziali, configurandosi il reato di cui all’art. 2, comma 1-bis del d.l. n. 463 del 1983con il superamento della soglia di euro 10.000 annui indipendentemente dal numero delle mensilità inevase – ben potendo l’illecito penalmente rilevante essere integrato dall’omesso versamento anche di una sola mensilità se di valore superiore a tale importo -, non vi è dubbio tuttavia che allorquando più mensilità concorrano a determinare lo sbarramento prefissato dal legislatore ci si trovi di fronte ad una pluralità di omissioni che possono integrare il “comportamento abituale” ostativo al riconoscimento del beneficio di cui all’art. 131 bis c.p.

Cassazione penale sez. III, 30/05/2018, n.39413

In tema di omissione di versamenti contributivi e applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto deve essere censurata la decisione dei giudici del merito nella parte in cui ha ancorato il diniego della causa di non punibilità alla mera pluralità delle mensilità interessate senza nessuna verifica del momento in cui si è verificato il superamento della soglia di punibilità e neanche dell’effettiva entità dello stesso.

Cassazione penale sez. III, 16/05/2018, n.44529

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, qualora non risulti ritualmente effettuata la comunicazione dell’avviso di accertamento della violazione ed il decreto di citazione non ne contenga l’indicazione dl tutti gli elementi, trattandosi di fattispecie a formazione progressiva che ben può completarsi nel corso del giudizio, il dies a quo del termine di tre mesi previsto al fine di poter effettuare il pagamento delle ritenute omesse al fine di fruire della causa di non punibilità di cui all’art. 2 comma 1 bis, d.l. n. 463 del 1983, convertito in legge n. 638 del 1983, decorre dal momento in cui si sia verificata la conoscenza da parte dell’imputato di tutti gli elementi essenziali del suddetto avviso di accertamento.

Cassazione penale sez. III, 11/05/2018, n.30179

Riguardo al reato di omesso versamento dei contributi previdenziali la sussistenza della particolare tenuità dell’offesa deve essere verificata attraverso una valutazione globale che tenga conto dell’importo complessivo dei contributi non versati e della consistenza del superamento della soglia di punibilità.

Cassazione penale sez. III  06/03/2018 n. 19671  

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 6934  

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’ art. 2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638 , è necessaria la prova del materiale esborso della retribuzione, anche sotto forma di compensi in nero. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione della corte territoriale che aveva desunto, in assenza di elementi di segno contrario, la prova della effettiva corresponsione della retribuzione ai lavoratori dalla presentazione dei modelli DM-10 da parte del datore di lavoro).

Cassazione penale sez. fer.  29/08/2017 n. 39882  

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali ex art. 2, comma 1 bis, d.l. n. 463/1983, convertito con modificazioni in l. n. 638/1983, ai fini della verifica circa il superamento o meno della soglia di rilevanza penale, fissata in Euro 10.000 per ciascun anno, deve tenersi conto, nel computo di tale importo, anche della eventuale omissione relativa al mese di dicembre, a nulla rilevando che, con riguardo a tale mese, il termine per la effettuazione del versamento scada nel corso del mese di gennaio dell’anno successivo. La verifica in parola va infatti effettuata secondo il criterio della competenza contributiva, cioè facendo riferimento al periodo intercorrente dalla scadenza del primo versamento dell’anno contributivo dovuto relativo al mese di gennaio (16 febbraio) sino alla scadenza dell’ultimo, relativo al mese di dicembre (16 gennaio dell’anno successivo).

 Cassazione penale sez. fer.  10/08/2017 n. 39332  

Nel caso in cui il datore di lavoro ometta di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali dei suoi lavoratori ha la facoltà, prima della comunicazione della notizia di reato, entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, di definire il contenzioso in sede amministrativa. Per poter esercitare tale facoltà, l’avviso di accertamento inviato dall’INPS al datore di lavoro deve contenere l’indicazione del periodo cui si riferisce l’omesso versamento delle ritenute, il relativo importo, l’indicazione dell’ente presso il quale deve essere effettuato il versamento entro i 3 mesi e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità sopra descritta.

Cassazione penale sez. III  18 /07/2017 n. 39072  

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, tenuto ad adempiere alla diffida inviata ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, è colui che era obbligato al versamento al momento dell’insorgenza del debito contributivo, anche se “medio tempore” abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa, in quanto il predetto adempimento costituisce una causa personale di esclusione della punibilità, sicché vi è tenuto soltanto l’autore del reato. (In motivazione la Corte ha precisato che, in caso di liquidazione o di fallimento, l’obbligato è tenuto a sollecitare il liquidatore o il curatore perché adempia al pagamento nel termine trimestrale decorrente dalla contestazione o della notifica dell’avvenuto accertamento della violazione).

 Cassazione penale sez. III  07/07/ 2017 n. 39464  

Con l’articolo 3, comma 6, del Dlgs 15 gennaio 2016 n. 8, il legislatore, stabilendo che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali di cui all’ articolo 2, comma 1bis, del Dl 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, integra reato ove l’importo sia superiore a quello di 10.000 euro annui, ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività penale, che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo del reato: conseguentemente, l’illecito penale deve ritenersi perfezionato nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di 10.000 euro. Con la conseguenza che le ulteriori successive omissioni, che seguano nei mesi successivi dello stesso anno, non danno luogo, in caso di secondo superamento della soglia, a un ulteriore reato, ma contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell’importo di legge (nella specie, la Corte, accogliendo il ricorso del procuratore generale, ha annullato la decisione del giudice che aveva assolto l’imputato dal reato contestatogli sulla base dell’erroneo assunto che dovesse considerarsi depenalizzato il reato per il solo fatto che le omissioni mensili fossero sotto soglia pur quando nell’arco dell’anno questa fosse stata superata).

 Cassazione penale sez. III  10/04/2017 n. 43811  

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.

 Cassazione penale sez. III  17/01/ 2017 n. 20855  

In materia di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nel caso di versamento soltanto parziale della somma complessivamente dovuta nel termine perentorio di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, non opera la causa di non punibilità del soggetto agente prevista dall’art. 2, comma 1-bis, legge n. 638 del 1983 così come modificato dal D.Lgs. n. 211 del 1994.

 

Cassazione penale sez. III  11/01/2017 n. 22140  

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, al fine di accertare il superamento della soglia di punibilità di euro 10.000 annui (introdotta dall’art. 3, comma sesto, del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8), l’ammontare delle ritenute omesse deve essere determinato in riferimento al momento in cui le obbligazioni rimaste inadempiute sono sorte, a prescindere dal termine di scadenza previsto per il versamento, che rileva esclusivamente ai fini della individuazione del momento consumativo del reato. (Fattispecie in cui la S.C., in applicazione del principio, ha ritenuto che l’omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte nel mese di dicembre 2008 dovesse essere considerato nell’annualità 2008 e non in quella 2009).

Cassazione penale sez. III  11/05/2016 n. 37232  

Alla stregua della nuova formulazione dell’art. 2, comma 1 bis, del d.l. n. 463 del 1983, conv. con modificazioni, in l. n. 638 del 1983, introdotta dall’art. 3, comma 6, d.lg. 15 gennaio 2016 n. 8, il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali deve ritenersi perfezionato (salva la causa di non punibilità costituita dall’eventuale versamento delle somme dovute entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione), all’atto del raggiungimento, nel corso di ciascun anno, della soglia minima fissata in euro 10.000 (tenendosi conto anche delle singole omissioni per cui sia intervenuta prescrizione) senza che l’eventuale, nuovo raggiungimento di tale soglia in conseguenza di ulteriori omissioni che si verifichino nel corso del medesimo anno possa dar luogo ad ulteriori reati, dovendosi in tal caso ravvisare una fattispecie a progressione criminosa in cui le dette ulteriori omissioni si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, come noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno successivo.

 Cassazione penale sez. III  11/05/2016 n. 35589  

In tema di contributi previdenziali ed assistenziali, il reato previsto dall’art. 2, comma primo bis,D.L. 12 settembre 1983 n. 463, conv. in l. 11 novembre 1983, n. 638, di omesso versamento delle ritenute di importo superiore ai 10.000 euro, operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ha una struttura unitaria e la condotta può configurarsi anche attraverso una pluralità di omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento, che possono di per sè anche non costituire reato; ne consegue che la consumazione del delitto può essere istantanea o di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato sino al termine dell’anno in contestazione. (Fattispecie nella quale la S.C. ha escluso la sussistenza del reato in relazione ad omessi versamenti, per un valore complessivo di 21.000 euro, che, però, in ciascuna delle annualità di riferimento, si attestavano ad una soglia inferiore ai 10.000 euro).

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Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.)

Cassazione penale , sez. IV , 27/09/2018 , n. 54024

Nei casi di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera i beni non possono essere confiscati sulla base della norma a carattere sanzionatorio di cui all’art. 600-septies c.p. , ma solo in ragione della specifica previsione di cui all’ art. 603-bis, comma 2. c.p. , e con esclusivo riferimento ai fatti commessi a decorrere dal 4.11.2016, vale a dire dalla data di entrata in vigore di tale ipotesi di confisca, non potendo detta norma sanzionatoria essere applicata retroattivamente, in virtù del noto principio “nulla poena sine lege” di cui all’ art. 25, comma 2, Cost. e di cui all’art. 7 CEDU.

Cassazione penale , sez. V , 16/01/2018 , n. 7891

Il reato di caporalato è configurabile anche in assenza di un profitto, essendo sufficiente l’aver reclutato manodopera posta in condizioni di sfruttamento. Ad affermarlo è la Cassazione che fornisce una stretta interpretazione dell’articolo 603-bis del Cp, che ha introdotto la nuova fattispecie di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, confermando la misura cautelare personale della presentazione presso la polizia giudiziaria per un immigrato indiziato di tale reato. Per la Corte a seguito delle modifiche apportate dalla legge 199/2016 la norma deve essere intesa nel senso che va punito chiunque recluti manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, sul solo presupposto dello stato di bisogno dei lavoratori e senza che sia richiesta, per l’integrazione, una finalità di lucro.

Cassazione penale , sez. V , 12/01/2018 , n. 17939

Ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’ art. 603 – bis c.p. , è sufficiente la sussistenza di anche uno soltanto degli indici dello sfruttamento presenti nella disposizione e l’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori può ricavarsi dalla condizione di clandestinità degli stessi, che li rende disposti a lavorare in condizioni disagevoli.

Cassazione penale , sez. V , 23/11/2016 , n. 6788

In tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il reato di cui all’art. 603 bis, cod. pen., nel testo precedente alla legge di modifica 29 ottobre 2016, n. 199, richiede “l’attività organizzata” di intermediazione come modalità della condotta, che non richiede necessariamente la forma associativa ma deve svolgersi in modo non occasionale, attraverso una strutturazione che comporti l’impiego di mezzi. (In motivazione, la Corte, applicando, perché più favorevole, la formulazione precedente alla novella del reato di cui all’art. 603 bis cod. pen., ha ritenuto sussistente il requisito dell’attività organizzata di intermediazione nei confronti dei due imputati, i quali curavano tutti gli aspetti organizzativi del lavoro in condizioni di sfruttamento di alcuni

Cassazione penale , sez. III , 10/02/2016 , n. 10484

In tema di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del d.lg. n. 8 del 2016 non è più prevista come reato l’ipotesi di intermediazione di manodopera per violazione delle disposizioni in materia di appalto e distacco, di cui all’art. 18, comma 5-bis, d.lg. n. 276 del 2003, mentre continua avere rilevanza la stessa fattispecie ove commessa mediante sfruttamento di minori.

Cassazione penale , sez. V , 18/12/2015 , n. 16735

In tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.) deve ritenersi carente la motivazione sulla base della quale si affermi la configurabilità di detto reato avendo riguardo soltanto agli elementi indicativi dello sfruttamento(quali, nella specie -trattandosi di operai distaccati da altre imprese- un orario di lavoro largamente superiore alla regola delle otto ore giornaliere, la corresponsione di metà della retribuzione dovuta, essendo l’altra metà destinata ai titolari delle imprese distaccanti, il mancato riconoscimento del diritto alle ferie ed alle assenze per malattia), senza che risulti dimostrata la sussistenza anche dell’altro necessario elemento, costituito dall’impiego di violenza, minaccia o intimidazione.

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Violazione degli obblighi in materia di videosorveglianza nei luoghi di lavoro

Cassazione penale , sez. III , 10/04/2018 , n. 38882

La fattispecie incriminatrice di cui all’ art. 4 dello Statuto dei lavoratori è integrata con l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti.

Corte europea diritti dell’uomo sez. III  09 gennaio 2018 n. 1874  

Il datore di lavoro deve avvisare i dipendenti se utilizza strumenti di videosorveglianza, anche quando vuole accertare l’identità dei lavoratori sospettati di furto. Tuttavia, le prove raccolte attraverso le telecamere nascoste possono essere utilizzate in un processo relativo al licenziamento se non sono l’unica prova a carico dei dipendenti. La Corte Europea dei diritti dell’uomo lo stabilisce in una sentenza di condanna alla Spagna per violazione dell’ articolo 8 Cedu , che assicura il diritto al rispetto della vita privata.

Cassazione penale sez. II  30/11/ 2017 n. 4367  

I risultati delle videoriprese effettuate per mezzo di telecamere installate dal datore di lavoro allo scopo di effettuare un controllo, all’interno del luogo di lavoro, a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei dipendenti, sono utilizzabili, ai fini probatori, nel processo penale nei confronti di un imputato che sia un dipendente dell’azienda. In tal caso, infatti, non si rientra nella fattispecie del “controllo a distanza” dell’attività dei lavoratori, vietato in assenza delle garanzie procedurali di cui all’art. 4 st. lav., ma in quella dei c.d. “controlli difensivi” finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale, rispetto ai quali non si giustifica l’esistenza di un divieto probatorio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la condanna per appropriazione indebita inflitta all’imputato sulla base di un quadro probatorio costituito da dichiarazioni testimoniali e videoriprese, ritenute pienamente utilizzabili dal giudice di merito, effettuate da una telecamera installata all’interno del luogo di lavoro).

Cassazione penale sez. III  17/04/ 2012 n. 22611  

L’installazione nel luogo di lavoro di un sistema di videosorveglianza mediante telecamere (cd. controlli a distanza) non costituisce reato, ai sensi del combinato disposto degli art. 4 e 38 l. n. 300/1970, laddove, come nel caso di specie, pur in assenza di autorizzazione sindacale, risulti comprovato l’assenso all’installazione da parte della totalità dei lavoratori dell’azienda.

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Truffa ai danni dello Stato commessa dal pubblico impiegato (art. 640 c.p.)

Cassazione penale , sez. II , 30/11/2018 , n. 3262

La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, che rilevano di per sé – anche a prescindere dal danno economico cagionato all’ente truffato fornendo una prestazione nel complesso inferiore a quella dovuta – in quanto incidono sull’organizzazione dell’ente stesso, modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e ledono gravemente il rapporto fiduciario che deve legare il singolo impiegato all’ente; di tali ultimi elementi è necessario tenere conto anche ai fini della valutazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’ art. 62 c.p. , comma 1, n. 4.

Cassazione penale , sez. V , 18/07/2018 , n. 41426

La falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza in merito alla presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata.

Cassazione penale , sez. II , 16/03/2018 , n. 14975

In tema di truffa aggravata in danno dello Stato, nel caso in cui la condotta consista in ripetute assenze ingiustificate dell’impiegato pubblico dal luogo di lavoro, occorre che queste determinino un danno economicamente apprezzabile, sicché è onere del giudice di merito considerare a tal fine anche l’eventuale ricorrenza di decurtazioni stipendiali conseguenti proprio alla mancata realizzazione della prestazione.

Cassazione penale , sez. III , 27/10/2015 , n. 45698

La falsa attestazione del dipendente pubblico, in ordine alla presenza sul luogo di lavoro accertata mediante alterazione dei cartellini marcatempo, integra, in concorso materiale, i reati di truffa aggravata (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.) e di false attestazioni o certificazioni (art. 55 quinquies d.lg. n. 165 del 2001).

Cassazione penale , sez. II , 19/05/2011 , n. 23785

Commette il delitto di truffa in danno dell’Ente pubblico il dipendente che faccia figurare come dovuto a ragioni di servizio un allontanamento dal posto di lavoro invece arbitrario non rilevando in senso contrario che il superiore gerarchico fosse a conoscenza della mancata autorizzazione all’allontanamento dal servizio (nel caso di specie la S.C. ha accolto il ricorso proposto dal p.m. contro sentenza di merito dichiarativa di non luogo a procedere che aveva ritenuto la mancata integrazione del delitto di truffa).

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