Cumulo delle misure interdittive per il medico che promuove l’acquisto di macchinari venduti dalla società di cui è indirettamente socio da parte l’ospedale in cui svolge la professione.

Si segnala ai lettori la sentenza di legittimità n. 8060/2019 in materia di responsabilità penale degli esercenti le professioni sanitarie, in relazione alla vicenda di un noto professionista investito da diverse misure interdittive inerenti l’esercizio della professione sia nel settore pubblico che privato in ragione di una incolpazione penale per il delitto di corruzione.

La vicenda processuale in sintesi.

Il Tribunale cautelare di Milano respingeva l’appello proposto dall’indagato avverso l’ordinanza con la quale il G.i.p. del medesimo Tribunale aveva rigettato l’istanza di revoca della misura degli arresti domiciliari, applicata all’imputato per il reato di corruzione, e contestualmente accolto l’istanza del PM di sostituzione della misura in atto con applicazione congiunta delle misure interdittive della sospensione dall’esercizio della funzione o servizio pubblico e del divieto temporaneo di esercitare l’attività professionale medica per la durata di 12 mesi.

Dato atto dell’emissione del decreto di giudizio immediato, il Tribunale della Libertà ha ritenuto perdurante sia il pericolo di inquinamento probatorio, in presenza di fonti di prova non esclusivamente documentali, ma anche dichiarative, sia il pericolo di reiterazione alla luce delle allarmanti modalità della condotta.

Il ricorrente, nella qualità di medico esercente attività privata e co-direttore presso un noto istituto milanese nonché professore a contratto per la scuola di specializzazione di ortopedia e traumatologia dell’Università degli studi di Milano era stata raggiunto di indizi di reità, e quindi indagato, per il reato di corruzione in concorso con un noto imprenditore per avere, in situazione di conflitto di interessi ed in violazione dei doveri d’ufficio, favorito l’acquisto da parte dell’ospedale IRCCS (omissis) di Milano di dispositivi medici forniti una srl, di cui il ricorrente e l’imprenditore detenevano il 25% ciascuno delle quote per interposta persona (in ispecie, la moglie del sanitario), ed avere in tal modo assicurato alla società ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti, basati su tecnologia di cui detenevano i brevetti.

Il giudizio di cassazione ed il principio di diritto.

La difesa dell’imputato ha interposto ricorso per cassazione contestando, tra i vari motivi di doglianza, l’applicazione cumulativa delle misure interdittive in ragione di una ingiustificata sovrapposizione della sfera della professione pubblica, nel frattempo cessata, con quella privata svolta dal prevenuto.

Il ricorso è stato rigettato e di seguito si riportano i passaggi più significativi estratti dalla parte motiva del provvedimento di legittimità:

Questa Corte ha affermato che il giudice di merito può ritenere sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie ex art. 274, comma primo, lettera c), cod. proc. pen. anche quando il soggetto in posizione di rapporto organico con la pubblica amministrazione risulti sospeso dal servizio, purché fornisca adeguata e logica motivazione in merito alla mancata rilevanza della sopravvenuta sospensione o cessazione del rapporto, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono ad evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose da parte dell’imputato nella mutata veste di soggetto ormai estraneo all’amministrazione, in situazione, perciò, di concorrente in reato proprio commesso da altri soggetti muniti della qualifica richiesta (Sez. 5, n. 31676 del 04/04/2017, Lonardoni, Rv. 270634).

A tali criteri si è attenuto il Tribunale, rendendo un’articolata e dettagliata motivazione.

Il Tribunale ha, infatti, rimarcato lo stretto collegamento esistente tra l’attività professionale privata e quella pubblica, svolta all’interno dell’Ospedale (omissis), valorizzando le modalità dei fatti e la spregiudicatezza dimostrata dal ricorrente nel perseguire scopi di profitto, ma, soprattutto, ha attribuito rilievo ai risalenti accordi corruttivi con l’imprenditore (omissis), tali da escludere l’occasionalità della condotta, ed alla perdurante partecipazione nella società (omissis) srl tramite la società costituita ah hoc, (omissis) srl della moglie, quale elemento attestante sia la consapevolezza del conflitto di interessi che la volontà di occultarlo

(…) Su tali coordinate del quadro indiziario il Tribunale ha fondato la prognosi di recidiva, ritenendo concreto ed attuale il pericolo di reiterazione delle condotte anche nel caso di mero esercizio dell’attività privata da parte del ricorrente, individuando nella ripresa dell’attività nello studio associato con la moglie, titolare di quote della società, che commercializza i dispositivi indicati nell’imputazione, un concreto fattore di rischio, essendo stata proprio la proiezione e l’approdo dell’attività privata nel settore pubblico a connotare le condotte del ricorrente per favorire la collocazione dei prodotti brevettati in un mercato più ampio e remunerativo

(…) Gli elementi appena illustrati sono stati, infatti, ritenuti indicativi sia della spregiudicatezza ed intraprendenza del ricorrente che della capacità di avvalersi di terzi per realizzare i propri fini di profitto, cosicché non risulta affatto congetturale il ravvisato pericolo di riproposizione, anche in veste privata, dello stesso schema operativo in altre strutture pubbliche o convenzionate, avvalendosi di colleghi o della società della moglie per promuovere i prodotti brevettati, atteso che, contrariamente all’assunto difensivo, la commercializzazione e l’incremento delle vendite dei presidi sanitari, adottati da strutture pubbliche, costituiva lo scopo dell’attività corruttiva e la partecipazione societaria, ancora attuale, conferisce concretezza alla prognosi negativa formulata. Risulta, pertanto, non manifestamente illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata né incongrua la valutazione espressa sul perdurante rischio di recidiva, nonostante l’interdizione dell’esercizio di funzioni pubbliche, tenuto conto della preponderante rilevanza proprio della poliedrica attività professionale svolta dal ricorrente per la realizzazione di obiettivi illeciti”.

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Riferimenti normativi

Art. 319 c.p. Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di misure interdittive applicate nei confronti dell’esercente professioni sanitarie:

Cassazione penale, sez. IV , 03/05/2018 , n. 27420

In tema di applicazione di misure interdittive all’indagato per omicidio colposo per colpa professionale, il giudice, può desumere l’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato anche dalla condotta tenuta dall’indagato nel caso concreto. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del tribunale per il riesame che, con riferimento alla misura interdittiva della sospensione temporanea dall’esercizio della professione medica, aveva desunto il pericolo di reiterazione del reato dalla manifestata pervicacia dell’indagato nell’applicare la terapia omeopatica, anziché antibiotica, rivelatasi inidonea a evitare la morte di un bambino, in assenza di significativi miglioramenti delle condizioni del paziente, e dalla mancanza di un vaglio critico manifestata dall’indagato dopo il fatto in ordine alla convinzione di una superiorità della medicina omeopatica rispetto a quella tradizionale).

Cassazione penale , sez. VI , 27/01/2016 , n. 6275

È confermata la misura interdittiva della sospensione dai pubblici uffici per sei mesi del direttore sanitario, nonché presidente della commissione ufficio procedimenti disciplinari dell’azienda ospedaliera per omessa assunzione di qualunque iniziativa disciplinare nei confronti del medico che non ha attestato nelle schede operatorie da lui redatte l’attiva partecipazione a due interventi chirurgici di un medico non autorizzato, nonostante le esplicite e specifiche informazioni ricevute.

Cassazione penale, sez. VI, 11/02/2013 , n. 11806

È illegittimo il provvedimento che, per fronteggiare il pericolo di recidiva, applichi la misura del divieto di accesso dell’indagato in alcuni specifici edifici ove egli svolga attività lavorativa pubblica, trattandosi di finalità al cui soddisfacimento sono preordinate le disposizioni dettate in materia di misure interdittive previste dagli art. 289 o 290 c.p.p., che stabiliscono rispettivamente la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio ovvero il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali, astrattamente applicabili nella specie, inerente a condotte addebitate ad un medico in servizio presso ente pubblico.

Cassazione penale, sez. IV, 03/11/2011, n. 42588

Ai fini dell’applicazione di una misura interdittiva (nella specie sospensione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale nei confronti di un medico accusato di omicidio colposo) il giudice deve esaminare ed apprezzare compiutamente le concrete modalità di commissione del fatto costituente reato e tutti gli altri parametri enunciati nell’art. 133 c.p. che possono evidenziare la personalità del soggetto; occorre, inoltre, considerare il grado della colpa, valutando il grado di difformità della condotta dell’autore rispetto alle regole cautelari violate, al livello di evitabilità dell’evento ed al quantum di esigibilità dell’osservanza della condotta doverosa pretermessa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di reati contro la pubblica amministrazione commessi da professionisti sanitari:

Cassazione penale, sez. VI, 19/06/2018, n. 40908

Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.

Cassazione penale, sez. II, 24/04/2018, n. 25976

Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto”. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.

Cassazione penale, sez. VI, 27/09/2017, n. 48603

Integra la fattispecie di peculato d’uso la condotta del medico addetto al servizio del 118 che si appropria dell’autoambulanza di cui ha la disponibilità in ragione del servizio svolto, facendone un uso personale e momentaneo (nella specie, si è ritenuto sussistente per la pubblica amministrazione il danno patrimoniale relativo al consumo di carburante e all’usura del mezzo e il disservizio legato al reiterato utilizzo di un mezzo funzionale alla tempestiva assistenza ai pazienti in condizioni di emergenza).

Cassazione penale, sez. VI, 15/09/2017, n. 46492

Configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione, di cui all’ art. 318 c.p. ) lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la qualificazione ai sensi degli artt. 319 e 321 c.p. della condotta di un rappresentate farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero in cambio dell’impegno di quest’ultimo a prescrivere a tutti i pazienti un determinato farmaco antitumorale, rilevando che la relativa prescrizione doveva essere il frutto di un meditato apprezzamento del quadro clinico del paziente nonché di una valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla terapia farmacologica).

Cassazione penale, sez. VI, 05/04/2016, n. 19002

Integra l’ipotesi di corruzione e non di truffa la condotta del medico che, in violazione dei suoi doveri di ufficio, accetta, quale medico ginecologo in servizio presso una clinica convenzionata, denaro per concorrere ad affidare un nascituro in via definitiva a terzi, atteso che, nella specie, si trattava di un atto che rientrava tra quelli che l’imputato aveva la concreta possibilità di compiere e che il denaro fu corrisposto consapevolmente non per effetto di un errore indotto da raggiro.

Cassazione penale, sez. II, 27/10/2015, n. 46096

In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 Cost., nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni. (Nella specie, la S.C. ha reputato immune da censure la decisione impugnata che aveva ravvisato, nel comportamento tenuto dai due direttori di unità operativa ospedaliera succedutisi nel tempo, una condotta penalmente rilevante, consistita nel progressivo svuotamento del carico assistenziale del medico referente dell’esecuzione di prestazioni specialistiche).

Cassazione penale, sez. IV, 27/04/2015, n. 22042

Anche il medico di famiglia è responsabile del rilascio del porto d’armi al paziente affetto da turbe psichiche, se omette di annotare il disturbo mentale del paziente nel certificato anamnestico preliminare agli accertamenti di idoneità effettuati da parte dei competenti medici della Asl.

Cassazione penale, sez. VI, 20/01/2015, n. 10130

Non risponde del delitto di omissione di atti d’ufficio il medico che, durante il turno di guardia medica, anziché recarsi di persona a visitare il paziente che denuncia problemi respiratori, si limiti a prescrivere, telefonicamente, la terapia del caso, essendo egli arbitro della scelta di effettuare o meno la visita domiciliare.

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