Bancarotta fraudolenta per distrazione: per la prova della condotta materiale e del dolo è sufficiente il cosciente depauperamento dell’impresa.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 9710/2019, depositata il 05.03.2019, di interesse per i temi del nesso di causalità tra operazioni distrattive e fallimento e della colpevolezza nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, dando continuità all’orientamento giurisprudenziale autorevolmente elaborato dalla sentenza a Sezioni Unite n.22474/2016, Passarelli.

 

L’imputazione ed il processo penale in sintesi

La difesa dell’imputato proponeva ricorso innanzi alla Suprema corte contro la pronuncia della Corte di appello di Genova recante la parziale riforma, in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, della sentenza emessa nei confronti del giudicabile resa dal G.u.p. del Tribunale di Savona in esito al giudizio abbreviato.

L’imputato era stato condannato a pena ritenuta di giustizia per due condotte distinte di bancarotta per distrazione, correlate alla gestione di una società di capitali fallita nel 2009, della quale egli era stato amministratore unico. Le distrazioni, in particolare, avevano riguardato:

  • la somma di 10.000,00 euro, oggetto di un finanziamento erogato nel 2005 in favore di altra società, avvenuto (secondo l’ipotesi accusatoria) senza giustificazioni economico/finanziarie;
  • (ii)la locazione di un immobile di cui la fallita godeva in forza di contratto stipulato con l’Autorità Portuale, concesso in comodato d’uso ad una associazione sportiva dilettantistica ad un valore estremamente esiguo e malgrado l’espresso divieto di sublocazione.

Tra i vizi di legittimità denunciati con il ricorso il ricorrente deduceva la non riconducibilità delle suddette operazioni patrimoniali al concetto di distrazioni commesse in pregiudizio delle aspettative dei creditori; l’assenza di prova di un nesso causale tra queste ed il fallimento; l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato richiesto dalla norma incriminatrice.

La Corte di legittimità rigetta il ricorso per le ragioni enunciate nella motivazione che si riporta nella parte qui di interesse:

  1. Sull’elemento psicologico del reato:

La censura afferente la possibile ravvisabilità di una mera colpa in capo al ricorrente, in vero, risulta già chiaramente trattata (e motivatamente disattesa) nella sentenza di primo grado, dove espressamente si legge che «ai fini del dolo è sufficiente che il (omissis) abbia posto in essere il finanziamento con la coscienza di effettuare un atto distrattivo potenzialmente lesivo dell’interesse patrimoniale dei creditori, non essendo necessario alcun intento o previsione specifica di arrecare un pregiudizio economico al patrimonio dell’impresa in maniera tale da provocarne la decozione. Irrilevante è, infatti, che all’epoca si rappresentasse già un possibile fallimento ed agisse al fine di recare pregiudizio ai creditori. In sostanza, in tema di bancarotta per distrazione, per verificare la sussistenza del dolo appare sufficiente accertare che l’atto dispositivo che ha comportato diminuzione patrimoniale sia privo di sinallagma rispondente al fine istituzionale dell’impresa. E detto sinallagma, come si è già rilevato, non è ravvisabile nel caso di specie» (quest’ultimo inciso, in particolare, si ricollega alla circostanza che il finanziamento di 10.000,00 euro in favore della “omissis” non appariva in alcun modo giustificabile sul piano economico: tanto che la somma de qua, non appena richiesta indietro dal curatore, era stata immediatamente restituita).

(…) … nel contempo, ha valore di mera asserzione la tesi che la sublocazione di una parte dei locali ad una associazione sportiva mirasse a consentire alla società poi fallita di ottenere una qualche utilità economica, se è vero – e nessun argomento difensivo mira in concreto a confutare tale assunto – che il canone fu prima pattuito per una cifra irrisoria e poi onorato solo per le primissime mensilità.

  1. Sul nesso eziologico tra i fatti di distrazione ed il fallimento della società:

Quanto ora precisato vale altresì a confutare la decisività dell’orientamento giurisprudenziale cui la difesa del ricorrente ha manifestato di aderire.

(…) La giurisprudenza di questa Sezione, successiva alla sentenza Corvetta, risulta però tornata a sposare l’orientamento precedente, ritenendo che «ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento» (Cass., Sez. V, n. 7545 del 25/10/2012, Lanciotti, Rv 254634; v. anche Cass., Sez. V, n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi). In una quasi coeva decisione, identicamente massimata (Rv 254061) si è precisato che «anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, ad integrare il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non si richiede l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento

Al riguardo vale la pena di rimarcare che il rapporto eziologico fra la condotta vietata e il dissesto della società è richiesto dalla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, nel testo novellato, con esclusivo riferimento alle ipotesi di bancarotta da reato societario, il cui elemento oggettivo – nel modello descrittivo recato dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c., richiamati dalla norma incriminatrice – è del tutto diverso da quello che caratterizza le condotte vietate dall’art. 216 della stessa legge, richiamato invece dal citato art. 223, comma 1» (Cass., Sez. V, n. 232 del 09/10/2012, Sistro). L’elaborazione si è completata con il decisivo avallo del massimo organo di nomofilachia (Cass., Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, secondo cui, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività; sicché, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza. Il quadro di riferimento, sul piano dell’approccio esegetico agli istituti di cui si discute, deve infine tenere conto di ancor più recenti interventi della giurisprudenza di questa Corte, in base ai quali – escludendosi a fortiori la condivisibilità delle argomentazioni sviluppate dall’odierno ricorrente – dovrebbe financo ritenersi che «la dichiarazione di fallimento costituisca, rispetto al reato di bancarotta patrimoniale pre-fallimentare, condizione obiettiva (estrinseca) di punibilità, ai sensi dell’art. 44 cod. pen.» (Cass., Sez. V., n. 19910 dell’08/03/2017, Santoro).

(…) Deve perciò ritenersi che, così come segnalato dai giudici di merito nella fattispecie concreta oggi sub judice, la condotta sanzionata dall’art. 216 legge fall. – e, per le società, dall’art. 223, comma 1 – non sia quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento, bensì – assai prima – quella di depauperamento dell’impresa, consistente nell’averne destinato le risorse ad impieghi estranei all’attività dell’impresa medesima. La rappresentazione e la volontà dell’agente debbono perciò inerire alla deminutio patrimoníi (semmai, occorre la consapevolezza che quell’impoverimento dipenda da iniziative non giustificabili con il fisiologico esercizio dell’attività imprenditoriale): tanto basta per giungere all’affermazione del rilievo penale della condotta, per sanzionare la quale è sì necessario il successivo fallimento, ma non già che questo sia oggetto di rappresentazione e volontà – sia pure in termini di accettazione del rischio di una sua verificazione – da parte dell’autore”.

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Riferimenti normativi

Art. 216 R.D. n. 267/1942. Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale, sez. V, 01/02/2019, n. 8431

Il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con analoga altra dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale.

Cassazione penale , sez. V, 29/01/2019, n. 5882

In tema di bancarotta fraudolenta, la durata delle pene accessorie previste dall’ art. 216, ult. comma, legge fall ., nella formulazione derivata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018 , non necessariamente deve essere parametrata alla stessa durata della pena principale ai sensi dell’ art. 37 cod. pen. , in quanto i principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, posti alla base della decisione di illegittimità costituzionale, non consentono di applicare alcun tipo di automatismo sanzionatorio. (In applicazione del principio la Corte, riconoscendo d’ufficio l’illegalità delle pene accessorie irrogate prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’ art. 216, ult. comma, legge fall ., ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, al fine di consentire al giudice di merito di stabile la durata delle stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità).

Cassazione penale, sez. V, 26/09/2018 , n. 54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Cassazione penale sez. V, 25/06/2018 n. 40100.  

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

Cassazione penale , sez. V , 19/06/2018 , n. 42568

In tema di reati fallimentari, le rettifiche contabili attuate ai sensi della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in materia di condono, anche se effettuate per manipolare le scritture contabili, rendere più difficile l’attività ricostruttiva degli organi fallimentari e nascondere le attività distrattive poste in essere, non possono integrare di per sé una condotta di bancarotta per distrazione, se ad esse non segue un effettivo depauperamento delle garanzie patrimoniali per i creditori.

Cassazione penale sez. V, 05/06/2018 n. 30105.  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perchè, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’”an”, non è determinato anche nel “quantum”. (In motivazione, la Corte ha chiarito che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore).

Cassazione penale sez. III  20/04/2018 n. 33380  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la restituzione da parte dell’amministratore della società emittente fatture per operazioni inesistenti del corrispettivo versato dal simulato acquirente, transitato nel patrimonio della società e restituito decurtato dal compenso pattuito per l’emittente anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina, invero, un incremento dello stesso che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la restituzione costituisce atto ingiustificato idoneo a integrare la condotta di distrazione.

 Cassazione penale sez. V, 27/03/2018 n. 27141  

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado relativa al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, riqualifichi il fatto come bancarotta preferenziale, in quanto l’atto dispositivo tipico di tale fattispecie criminosa costituisce una “species” del più ampio “genus” di sottrazioni di risorse del patrimonio della società, che caratterizza la bancarotta per distrazione.

 Cassazione penale sez. I, 09/03/2018 n. 14783  

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – in guisa di dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento.

 Cassazione penale sez. V, 23/06/2017 n. 38396  

La fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, sicché, per il suo perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l’impresa ancora non versava in condizioni di insolvenza. In quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un effettivo depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la integrità del patrimonio dell’impresa, da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori.

Cassazione penale sez. un.  31/03/2016 n. 22474  

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

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