Bancarotta fraudolenta documentale: per la condanna dell’amministratore di diritto è necessaria un’indagine specifica sull’atteggiamento psicologico.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.9856/2019, depositata il 06.03.2019, che nell’ambito dei reati fallimentari affronta il tema della responsabilità penale dell’amministratore di diritto della società fallita e dell’eventuale concorso di quella dell’amministratore di fatto.

La Suprema Corte, richiamando principi giurisprudenziali consolidati in materia, ha sottolineato l’importanza e la necessità di una verifica seria e puntuale, rimessa al giudice del merito, in ordine alla sussistenza del profilo psicologico del reato in capo all’amministratore di diritto circa l’adesione alle condotte fraudolente poste in essere da colui che de factogestisce la società.

 

La vicenda processuale

La Corte d’appello di Genova confermava da un lato la sentenza resa dal G.u.p. del Tribunale di Imperia, che aveva condannato l’imputata, quale amministratrice di diritto, per bancarotta fraudolenta documentale e semplice di una società di capitali, dichiarata fallita nel 2010, e dall’altro, in accoglimento dell’appello del PM, condannava, l’altra imputata tratta a giudizio quale amministratore di fatto per bancarotta fraudolenta documentale, prosciolta dal primo giudice.

Secondo quanto si legge nella sentenza in commento le due imputate – l’una come amministratrice di diritto e l’altra come amministratrice di fatto – avrebbero tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; l’amministratrice di diritto, inoltre, aggravò il dissesto societario omettendo di richiedere il fallimento della società, nonostante questa fosse rimasta inattiva.

Contro la sentenza della Corte territoriale veniva interposto ricorso per cassazione.

La Suprema corte ha accolto il ricorso dell’amministratrice di diritto che ha censurato la regola di giudizio applicata dal giudice del gravame, annullando, per l’effetto la pronuncia impugnata, rinviando per nuovo giudizio alla Corte d’appello.

 

Il principio di diritto

Di seguito si riporta il passaggio motivazionale di interesse:

Secondo l’orientamento che appare preferibile, perché conforme al canore costituzionale della responsabilità personale, l’accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non può costituire, essa sola, fonte di responsabilità, ben potendo presentarsi situazioni in cui l’amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall’amministratore di fatto.Perché possa affermarsi una sua responsabilità per concorso, ex art. 40 cod. pen., occorre – come è già stato rilevato – quantomeno la generica consapevolezza, in capo all’amministratore di diritto, che altri (in genere, l’amministratore di fatto) pongano in essere le condotte descritte dalla norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale (Cassazione penale, sez. V, 24/03/2011, n. 17670).

Per l’affermazione della responsabilità dell’amministratore di diritto si pone comunque la necessità, quindi, di accertare in che modo egli si sia posto, dal punto di vista soggettivo, rispetto al fatto delittuoso, al fine di verificare se vi abbia aderito, anche solo implicitamente. A tal fine assumono rilievo, a titolo esemplificativo, il suo coinvolgimento nelle vicende societarie e nella gestione delle attività sociali, i suoi rapporti con l’amministratore di fatto e con i soci, la conoscenza che egli abbia avuto – o abbia scientemente evitato di avere – dei fatti sociali e, non ultime, le ragioni per cui abbia assunto la carica di amministratore, nonché le utilità che ne abbia eventualmente percepite o gli siano state promesse, siccome potenzialmente indicativi, ognuno di essi, anche solo singolarmente, della partecipazione psicologica ai fatti illeciti di gestione.

Dal punto di vista pratico, poi, non può farsi a meno di distinguere tra la condizione di chi, dietro compenso, si presti a fare da parafulmine rispetto a gestori di fatto del tutto estranei (la cd. testa di legno) e chi, per motivi affettivi o morali, si presti ad assumere la carica di amministratore al fine di consentire lo svolgimento di un’attività imprenditoriale a soggetti che, altrimenti, ne sarebbero impediti. Quanto al primo, è senz’altro condivisibile l’affermazione, contenuta in numerose pronunce di questa Corte, che, allorché si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale(Cass., n. 7332 del 17/1/2015; sez. 5, n. 44826 del 3 t/ 28/5/2014; sez. 5, n. 11938 del 9/2/2010). Quanto al secondo, un’indagine specifica sull’atteggiamento psicologico dell’amministratore di diritto serve ad evitare automatismi sanzionatori contrastanti, per quanto si è detto, col principio della responsabilità penale personale.

Non risulta che la sentenza impugnata si sia attenuta, per Magro Stella, sorella dell’amministratrice di fatto, a questo criterio di giudizio, sicché la sentenza va parzialmente annullata con rinvio per nuovo esame al giudice del merito”.

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Riferimenti normativi

Art. 216 R.D. n. 267/1942. Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale , sez. V , 01 ottobre 2018 , n. 53193

In tema di irregolare tenuta dei libri contabili, nel reato di bancarotta semplice l’illeicità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge, mentre nella fattispecie della bancarotta fraudolenta documentale l’elemento oggettivo della condotta ricomprende tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi anche se non obbligatori.

Cassazione penale, sez. V, 26 settembre 2018 , n. 54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Cassazione penale sez. V, 25 giugno 2018 n. 40100.  

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

 Cassazione penale , sez. V , 19 giugno 2018 , n. 42568

In tema di reati fallimentari, le rettifiche contabili attuate ai sensi della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in materia di condono, anche se effettuate per manipolare le scritture contabili, rendere più difficile l’attività ricostruttiva degli organi fallimentari e nascondere le attività distrattive poste in essere, non possono integrare di per sé una condotta di bancarotta per distrazione, se ad esse non segue un effettivo depauperamento delle garanzie patrimoniali per i creditori.

Cassazione penale sez. V, 05 giugno 2018 n. 30105.  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perchè, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’”an”, non è determinato anche nel “quantum”. (In motivazione, la Corte ha chiarito che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore).

Cassazione penale sez. III  20 aprile 2018 n. 33380  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la restituzione da parte dell’amministratore della società emittente fatture per operazioni inesistenti del corrispettivo versato dal simulato acquirente, transitato nel patrimonio della società e restituito decurtato dal compenso pattuito per l’emittente anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina, invero, un incremento dello stesso che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la restituzione costituisce atto ingiustificato idoneo a integrare la condotta di distrazione.

 Cassazione penale sez. V, 27 marzo 2018 n. 27141  

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado relativa al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, riqualifichi il fatto come bancarotta preferenziale, in quanto l’atto dispositivo tipico di tale fattispecie criminosa costituisce una “species” del più ampio “genus” di sottrazioni di risorse del patrimonio della società, che caratterizza la bancarotta per distrazione.

 Cassazione penale sez. I, 09 marzo 2018 n. 14783  

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – in guisa di dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento.

 Cassazione penale sez. V, 23 giugno 2017 n. 38396  

La fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, sicché, per il suo perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l’impresa ancora non versava in condizioni di insolvenza. In quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un effettivo depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la integrità del patrimonio dell’impresa, da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori.

Cassazione penale sez. un.  31 marzo 2016 n. 22474  

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

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