Oncologia e colpa medica: per andare esente da responsabilità penale il medico-chirurgo deve attenersi scrupolosamente alle buone pratiche e ai protocolli sanitari.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 5901/2019 in materia di colpa medica, ove ancora una volta, la Suprema Corte ha sottolineato la rilevanza della corretta valutazione delle linee guida e dei protocolli sanitari nell’ambito del giudizio di responsabilità colposa del sanitario per reati di carattere omissivo commessi nell’esercizio dell’attività professionale.

Nel caso di specie, il giudizio penale interessava tre chirurghi per il decesso di una paziente a seguito di un intervento per carcinoma del sigma.

L’imputazione e lo svolgimento dei giudizi di merito.

Ai tre sanitari tratti a giudizio nella rispettiva qualità, il primo, di Direttore dell’UOC di Metodologia chirurgica del Policlinico universitario di Messina, gli altri due di medici, con la qualifica di aiuto, che parteciparono all’intervento chirurgico per carcinoma del sigma cui fu sottoposta una donna, si contestava l’omicidio colposo ai danni della predetta per colpa specifica consistita nell’omessa effettuazione di accertamenti ecografici e radiologici degli organi addominali sia prima dell’intervento sia nel corso dell’intervento; di non aver effettuato colonscopia virtuale né altri accertamenti alternativi post operatori, nonché per generica imprudenza, negligenza e imperizia, a causa delle quali, si verificava il decesso della paziente a seguito delle complicazioni sopravvenute in conseguenza della mancata e tempestiva diagnosi di un carcinoma all’estremità inferiore del colon ascendente che, qualche giorno dopo le dimissioni dall’ospedale, si perforava, determinando un’imponente peritonite stercoracea e la conseguente morte della paziente.

Il Tribunale riteneva che l’evento fosse ascrivibile alla colpa specifica degli imputati in quanto i due carcinomi sincroni del colon, uno in corrispondenza del sigma e l’altro del ceco, erano entrambi presenti ma nell’intervento ne fu asportato uno solo, in quanto l’altro non fu rilevato dai sanitari né con accertamenti pre o post operatori, né durante l’intervento chirurgico con la revisione dei visceri.

La Corte di Appello di Messina riformava tuttavia la pronuncia di condanna emessa dal locale Tribunale assolvendo gli imputati con formula perché il fatto non costituisce reato.

Il giudizio di Cassazione ed il principio di diritto.

La parte civile ricorreva per cassazione censurando la sentenza resa dalla Corte distrettuale per carenza ed illogicità della motivazione e travisamento della prova, in guisa tale da ritenere, erroneamente, la condotta dei sanitari screvra da colpa grave in ordine alle condotte contestate nel fatto incolpativo.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della parte civile, annullando la sentenza impugnata  limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo esame al giudice civile d’appello per le ragioni indicate nella motivazione alcuni passaggi della quale vengono di seguito riportati per quanto di interesse per il presente commento:

Va osservato infatti che la presente impugnazione è fondata laddove lamenta che i giudici di appello hanno travisato l’esito dell’istruttoria dibattimentale, e soprattutto hanno omesso di motivare o comunque hanno adottato argomentazioni apodittiche e contraddittorie in relazione agli specifici profili di colpa enucleati dall’accertamento peritale disposto in sede di incidente probatorio, le cui conclusioni ( fol 9/10 sentenza primo grado) non state neppure menzionate nella sentenza impugnata. I periti avevano ritenuto che la (omissis) era deceduta per shock settico quale complicanza di una peritonite stercoracea dovuta a perforazione del grosso intestino, secondaria a stenosi completa del colon destro sulla base neoplastica in un paziente già operata per resezione del sigma per neoplasia intestinale. Tale evento si era verificato, secondo le conclusioni peritali, per omessa individuazione della lesione neoplastica sincrona del colon ascendente. I medici del policlinico imputati non avevano completato le indagini strumentali preoperatorie consigliate dalla linee guida e in letteratura; non vi era infatti l’ urgenza dell’intervento perché la paziente non era occlusa, l’esame endoscopico non era esaustivo, la paziente non era anemica, le linee guida AIOM, del tutto disattese, prevedono infatti che, qualora non sia possibile la colonscopia totale, si proceda a rx clisma a doppio contrasto ( o colonscopia virtuale), in modo che gli accertamenti preparatori all’intervento possano consentire di individuare il secondo tumore che si presenta nel 5-6% dei casi e che è stato la causa dell’occlusione e della peritonite e in conclusione della morte della paziente. Le buone pratiche e le linee guida indicavano inoltre una colonscopia intraoperatoria non solo per scongiurare altri tumori ma per eliminare anche eventuali polipi e per completare tutti gli accertamenti possibili evitare margini di errori e di recidiva.

La sentenza impugnata in maniera del tutto apodittica, non coerente con le risultanze processuali, ha definito l’intervento urgente nonostante che dalla cartella clinica risultasse effettuato ben oltre il termine di 24 ore e fosse esplicitamente indicato come intervento elettivo( fol 12 sentenza di primo grado);ha concentrato inoltre le proprie ragioni motivazionali ravvisando profili di colpa lieve, quindi irrilevante, nella fase delle dimissione della paziente che non costituiva neppure oggetto della contestazione descritta nella imputazione in cui i profili di colpa generica e specifica grave sono stati individuati nella fase pre e in quella operatoria, in relazione al mancato rispetto dei protocolli e delle linee guida AIOM, che richiedevano accertamenti doverosi in presenza di adenocarcinonna ( ossia l’effettuazione di un clisma a doppio contrasto o una colonscopia virtuale o eventualmente una colonscopia operatoria, finalizzati ad esplorare il colon a monte del tratto stenotico). Insomma l’enunciato cruciale ai fini della sorte del processo non è sorretto da appropriata motivazione, ne’ dalla argomentata confutazione del difforme argomentato giudizio espresso dal primo giudice”.

*****

Rassegna giurisprudenziale delle pronunce di legittimità relative a processi conclusi con sentenza di condanna del medico-oncologo:

Cassazione penale, sez. IV, 19/07/2017, n. 50975.

Non può escludersi la responsabilità penale del medico che colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico a che il paziente venga a conoscenza di una malattia tumorale, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, “laddove, nel giudizio contro fattuale, vi è l’alta probabilità logica che il ricorso ad altri rimedi terapeutici, o all’intervento chirurgico, avrebbe determinato un allungamento della vita, che è un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso”. La Cassazione ribadisce così le regole di accertamento del nesso causale dei reati omissivi annullando la sentenza della corte d’appello che aveva scagionato il medico accusato di non aver diagnosticato per tempo una gravissima forma tumorale. Per i giudici di legittimità, è “inspiegabile” la scelta della corte di merito di definire “al di fuori della tipicità penale” il caso in questione;

In tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalità tra l’intempestiva diagnosi di una malattia tumorale e il decesso del paziente, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove dal giudizio controfattuale risulti l’alta probabilità logica che la diagnosi tempestiva avrebbe consentito il ricorso a terapie atte a incidere positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che la morte si sarebbe verificata in epoca posteriore o con minore intensità lesiva.

Cassazione penale, sez. IV, 14/10/2009, n. 2474 dep. 2010, Vancheri ed altro, Rv. 246161.

Il prolungato stato di alterazione organica e di sofferenza fisica, conseguente al colpevole ritardo nella diagnosi, rientra nella nozione di malattia cui fa riferimento l’art. 582 c.p., a sua volta richiamato dall’art. 590 c.p. Infatti, in tale nozione devono farsi rientrare tutte le alterazioni, anche non riconducibili a una lesione anatomica, che incidano in maniera tangibile sulla salute e sull’integrità fisica della persona, o che comunque determinino una significativa, seppur non definitiva, limitazione funzionale dell’organismo (da queste premesse, la Corte ha ritenuto che correttamente era stata ricondotta nell’ambito dell’art. 590 c.p. la condotta degli imputati cui era stata addebitata l’omessa diagnosi di una malattia tumorale, poi successivamente diagnosticata e curata efficacemente presso altro presidio ospedaliero: la mancata tempestiva diagnosi e, quindi, l’omesso ricorso ai necessari trattamenti chirurgici e farmacologici, se pure non avevano determinato l’insorgere o l’aggravamento della patologia tumorale, avevano comunque causato e prolungato per un tempo significativo le correlate alterazioni funzionali e uno stato di complessiva sofferenza, di natura fisica e morale, per il paziente, che, invece, a fronte di una diagnosi corretta e tempestiva, sarebbero stati evitati o almeno contenuti)

 Cassazione penale, Sez. IV, n. 3380 del 15/11/2005 dep. il 2006, Fedele, Rv. 233237.

In tema di responsabilità per colpa medica di tipo omissivo, il riconoscimento del necessario nesso di causalità tra condotta ed evento, se da una parte non può basarsi su dati meramente statistici in ordine alle ipotetiche probabilità di successo dei mancati interventi diagnostici o terapeutici, non può, d’altra parte, neppure postulare il conseguimento di una certezza oggettiva risultante da elementi probatori assolutamente inconfutabili, dovendosi invece ritenere necessaria e sufficiente una certezza processuale, che il giudice può conseguire valorizzando tutte le circostanze del caso concreto, secondo un procedimento logico analogo a quello che presiede alla valutazione della prova indiziaria, prevista dall’art. 192 comma 2 c.p.p., si da poter affermare la validità del proprio convincimento “al di là di ogni ragionevole dubbio”. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la sussistenza del nesso di causalità tra la ritardata diagnosi di una formazione tumorale e la morte del paziente che, pur se inevitabile, sarebbe stata apprezzabilmente ritardata da una diagnosi tempestiva, seguita dagli opportuni interventi terapeutici) – Cassazione Penale Sez. 4, n. 38334 del 3/10/2002, Albissini, Rv. 222862, ****** “La causalità omissiva ha la medesima struttura della causalità attiva e ne differisce esclusivamente per la necessità di far ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico anziché fondato sui dati della realtà. È di natura omissiva il comportamento del medico che, in forza di un errore diagnostico, causa un evento lesivo ponendo in essere una condotta diversa da quella doverosa secondo le regole della comune prudenza, perizia e diligenza. (La Corte ha nella specie ritenuto omissivo il comportamento del medico che, in presenza di un esame mammografico dal quale risultavano sintomi di probabile patologia neoplastica, non dispose l’esame istologico ma prescrisse un ulteriore controllo mammografico da effettuarsi a distanza di un anno, così contribuendo alla progressione del male)

 Cassazione penale, sez. IV, 21/01/2003, n. 17379.

In tema di nesso causale nei reati omissivi, non può escludersi la responsabilità del medico il quale non si attivi e non porti il paziente a conoscenza della recidiva di una malattia tumorale, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove, nel giudizio controfattuale, vi è l’altissima probabilità che il ricorso ad altri rimedi terapeutici (oltre a quello, radioterapico, già praticato all’esordio della malattia) avrebbe determinato un allungamento della vita, che è un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA.