Esposizione ad amianto, tumore e nesso di causalità con la morte del lavoratore: la cassazione indica le regole che il giudicante deve seguire per prova del nesso causale tra scienza e diritto.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.11451/2019, depositata il 14.3.2019, trasmessa dalla Corte regolatrice all’ufficio del Massimario, per l’importanza rivestita nella interpretazione della  regola di giudizio da applicare circa l’esistenza o meno del rapporto eziologico tra esposizione all’amianto del lavoratore e la morte sopraggiunta per patologie tumorali contratte per ragioni di servizio.

 

L’imputazione, le fasi del processo di merito ed il doppio annullamento della Cassazione.

La Procura di Padova  otteneva il rinvio a giudizio di alcuni soggetti che avevano ricoperto ruoli apicali nella Marina militare, per aver causato, o contribuito a causare o comunque per non aver impedito la morte di due persone, omettendo per anni di rendere edotto il personale dipendente del corpo militare dei rischi per la salute provocati dalla presenza di amianto all’interno delle navi militari e degli ambienti di vita e di servizio a terra, oltre che dei rischi prodotti dalle lavorazioni cui erano adibiti e dalle polveri che respiravano, senza curare di fornire loro mezzi idonei di protezione individuale per ridurre i rischi, contraendo così il mesotelioma maligno che ne determinava il decesso.

Il Tribunale di Padova, all’esito del giudizio di primo grado, assolveva gli imputati dai reati loro ascritti, difettando la prova certa del nesso di causalità tra l’esposizione all’amianto e la morte sopravvenuta, non potendosi individuare, oltre ogni ragionevole dubbio, né il momento in cui la patologia tumorale era insorta, né se le esposizione successive a quella presunta di iniziale innesco della malattia neoplastica, abbiano avuto rilievo causale rispetto all’exitus infausto, sebbene risultassero comunque idonee a ridurre il tempo di latenza per il manifestarsi della grave patologia.

La sentenza del Tribunale  impugnata dal PG e dalle parti civili veniva riformata in grado di appello, avendo la Corte di territoriale di Venezia  pronunciato sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione (esclusa l’aggravante dell’art. 589, comma 2 cod. pen.) in luogo dell’assoluzione dichiarata in primo grado avendo ritenuto incidentalmente sussistente il nesso di causalità tra condotta omissiva   e morte di cui all’imputazione.

Tale pronuncia all’esito dell’impugnazione proposta dalle stesse parti processuali veniva annullata con rinvio ad opera della Corte di Cassazione.

Nel nuovo giudizio di merito, la Corte lagunare, investita una seconda volta della decisione sulla fondatezza o meno della incolpazione penale,  giungeva ad esito  assolutorio (come la sentenza di primo grado), senza però disporre la perizia necessaria nonostante la Corte di cassazione avesse disposto che la questione dell’effetto acceleratore sulla evoluzione della patologia della esposizione di amianto fosse esaminata a fondo, anche con l’ulteriore ausilio di periti qualificati e indipendenti.

Ancora una volta, quindi, il Pg e le parti civili, interponevano ricorso di legittimità per l’ulteriore grado innanzi la Suprema Corte, che si concludeva con la sentenza di annullamento con rinvio in commento.

 

La regola di giudizio per la ricerca sul nesso di causalità tra il mesotelioma e l’esposizione all’amianto.

Rimandando alla lettura della sentenza allegata per la disamina degli interessanti aspetti di diritto sostanziale e processuale emersi durante i cinque gradi di giudizio sinora celebrati, di seguito si riportano i passaggi della motivazione impingenti il tema del nesso di causalità:

“Innanzitutto, deve rilevarsi che una delle sentenze di legittimità citate nella decisione impugnata, ovvero quella della Sezione Quarta, n. 18933 del 27/02/2014, ric. Negroni, Rv. 262139, è stata in realtà menzionata nella stessa sentenza di annullamento di questa Corte, proprio al fine di ribadire le indicazioni metodologiche da seguire in vicende come queste, essendosi cioè affermato, anche in tal caso in un processo sul mesotelioma da amianto, che, in tema di rapporto di causalità, l’individuazione della cd. legge scientifica di copertura sul collegamento tra la condotta e l’evento presuppone una documentata analisi della letteratura scientifica universale in materia con l’ausilio di esperti qualificati e indipendenti; con tale pronuncia, dunque, non è stata rimarcata l’inesistenza di una legge universale o probabilistica che escluda con certezza la sussistenza dell’effetto acceleratore sul mesotelioma derivante dalla prolungata esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell’insorgenza, seppur latente, della malattia, ma è stato ribadito un metodo di indagine ben preciso, sulla scia peraltro degli insegnamenti provenienti proprio dalla più volte citata “sentenza Cozzini” (ovvero la n. 43786, resa dalla Quarta Sezione il 17 settembre 2010, Rv. 248944), nel senso che il giudice di merito è chiamato a valutare l’attendibilità di una determinata teoria attraverso la rigorosa verifica di una serie di parametri oggettivi, tra cui la validità degli studi che la sorreggono, le basi fattuali su cui gli stessi sono stati condotti, l’ampiezza e la serietà della ricerca, le sue finalità, il grado di consenso che raccoglie nella comunità scientifica e, non da ultimo, l’autorevolezza e l’indipendenza di chi ha elaborato una certa tesi.

A fronte di questo delicato ambito di indagine, che qualifica il ruolo di peritus perítorum del giudice, il compito della Corte di legittimità è quello non di stabilire se la legge scientifica sia affidabile o meno, ma solo di esprimere un giudizio di razionalità dell’argomentazione esplicativa e di definire appunto quale debba essere l’itinerario logico di un’indagine su materie che si collocano su terreni scivolosi, proprio perché contraddistinti da un vasto dibattito scientifico.

Su questa linea si colloca anche l’altra importante sentenza della Quarta Sezione lungamente richiamata nella pronuncia impugnata, ovvero la n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Rv. 270385, ric. Bordogna, con la quale, proprio in una delicata vicenda relativa all’esposizione professionale ad agenti nocivi, si è affermato che, nell’ambito dell’indagine sull’esistenza di una legge di copertura, “il riscontro singolare mai può essere affidato dai giudici di merito al richiamo dell’auctoritas delle sentenze del giudice di legittimità”, posto che “il precedente giurisprudenziale non costituisce il nomos in tema di sapere scientifico”.

A tale considerazione, ampiamente condivisibile, deve solo aggiungersi che, in ogni caso, a differenza di quanto affermato dalla Corte territoriale, la giurisprudenza di legittimità non ha affatto escluso l’esistenza di leggi scientifiche in tema di effetto acceleratore dell’esposizione all’amianto, rendendo così inutili gli approfondimenti sollecitati dalla pronuncia rescindente, ma al contrario ha rimarcato la necessità che l’eventuale incidenza di ciascuna esposizione al fattore cancerogeno sia oggetto di una rigorosa ricostruzione scientifica che ne chiarisca i caratteri, dovendosi altresì precisare, in caso di verifica positiva, la natura, universale o probabilistica, della legge di spiegazione causale utilizzata, tema questo che, a ben vedere, era proprio quello demandato alla Corte territoriale da parte della sentenza di annullamento con riferimento alle lavorazioni a terra.

A tale questione non risulta essere stata fornita una risposta adeguata nel caso di specie, essendosi rivelati non pertinenti sia i richiami alle diverse conclusioni dei consulenti tecnici escussi in primo grado, rispetto alle cui affermazioni è mancata un’attenta verifica oggettiva, oltre che soggettiva, sia i riferimenti alle sentenze di questa Corte, che, lungi dall’esprimere posizioni contrarie rispetto alla pronuncia rescindente, confermavano al contrario l’utilità delle indicazioni metodologiche fornite rispetto agli approfondimenti probatori da svolgere”.

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