E’ responsabile anche di concussione il medico ospedaliero che pratica interruzioni di gravidanza clandestine nello studio privato.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.13411/2019, depositata il 27 marzo 2019, in materia di reati contro la pubblica amministrazione commessi da esercenti le professioni sanitarie che hanno praticato delle interruzioni di gravidanza clandestine nello studio privato.

L’imputazione e lo svolgimento del processo.

La Corte di appello di Messina, in riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del locale Tribunale limitatamente alla dosimetria della pena, confermava la penale responsabilità di due dirigenti medici di un locale ospedale, rispettivamente dei reparti di ostetricia e ginecologia e di anestesia e rianimazione, in ordine a una serie di delitti contro la pubblica amministrazione loro ascritti.

I giudici hanno riconosciuto i prevenuti colpevoli dei delitti di concussione, peculato, omissione di atti d’ufficio, truffa ai danni dello Stato oltre alla violazione della l. n. 194/1978 in materia di interruzione volontaria della gravidanza, per avere costretto, nella qualità di pubblici ufficiali ovvero di incaricati di pubblico servizio,  quattro donne in gravidanza a dare/promettere loro denaro per sottoporsi a interventi illegali di interruzione della gravidanza presso lo studio privato, non abilitato a tale procedura, di uno dei due imputati, facendo apparire falsamente come impraticabile o difficoltoso l’iter regolamentato dalla legge per la procedura di interruzione della gravidanza presso una struttura pubblica.

Dalla lettura della sentenza si ricava che per consumare i delitti loro contestati, i due sanitari si appropriavano, altresì, di farmaci e strumenti chirurgici destinati alle sole strutture pubbliche, percependo, tra l’altro, uno dei due, indebitamente da parte dell’ente pubblico, l’indennità per aver dichiarato di operare in regime di esclusività presso la struttura, omettendo di segnalare l’esercizio della professione presso lo studio privato.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale proponevano ricorso le difese dei due sanitari denunciando plurimi vizi di legge e di motivazione, stigmatizzando, tra l’altro, l’attribuzione ai giudicabili della qualifica di pubblico ufficiale ovvero incaricato di pubblico servizio, loro ascritta per potergli ascrivere i reati contro la pubblica amministrazione.

La decisione della Cassazione e il punto di diritto.

La Suprema Corte rigetta i ricorsi presentati dai difensori dei due sanitari.

Di seguito si riportano, i passaggi motivazionali interessanti l’aspetto della attribuzione agli imputati della qualità di pubblici ufficiali ed alla violazione delle norme che regolamentano l’interruzione volontaria della gravidanza:

“…gli anzidetti reati erano stati commessi dagli imputati nella loro veste di dirigenti medici di un nosocomio pubblico e in rapporto di dipendenza con un ente pubblico, e che il (omissis) si era, altresì, relazionato con le pazienti nella sua specifica veste di medico di quell’ospedale cui, come non obiettore di coscienza, era stato affidato l’esercizio di compiti, di evidente rilevanza pubblicistica, previsti e disciplinati dalla legge del 1978 sulle interruzioni di gravidanza.

(…) sono prive di pregio le doglianze mosse dalla difesa in ordine ad una asserita violazione di legge, posto che la decisione dei giudici di merito appare corretta con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità (si veda, ad esempio, Sez. 2, n. 12736 del 26/02/2014, P.M. in proc. Zanola, Rv. 258623) che ha ritenuto sussistente il delitto di concussione, e non anche quello di estorsione aggravata commesso dal privato (…) situazione riconoscibile nelle iniziative del (omissis) il quale, indipendentemente dal fatto di aver ricevuto le persone offese nel proprio studio privato, aveva posto in essere quelle condotte costrittive appunto abusando della sua qualità di medico dell’ospedale pubblico incaricato di gestire il protocollo delle interruzioni di gravidanza, dunque ponendo in essere un’azione illecita strettamente “interconnessa” (come si legge nella sentenza gravata) con le mansioni pubbliche affidategli dall’ente di riferimento, e non anche un’azione solo occasionalmente collegabile con quella sua funzione pubblicistica.

(…) Le quattro donne, dunque, non avevano accettato di promettere o di consegnare la somma di denaro loro rispettivamente richiesta, in quanto da loro dovuta, sulla base di una libera determinazione né per effetto di una relazione contrattuale paritaria (…) ma perché vittime della pressione psicologica esercitata dal (omissis) che, in ciascuno di quegli episodi, abusando nei termini indicati della sua qualità di medico dell’ospedale dove l’interruzione di gravidanza sarebbe stata effettuata gratuitamente e con le massime garanzie sanitarie, aveva rappresentato alle pazienti un male ingiusto, consistente in una danno alla loro salute e alla riservatezza, se non avessero accettato l’unica soluzione prospettata come praticabile, quella di sottoporsi ad un aborto clandestino nello studio dietro il pagamento di una somma di denaro evidentemente non dovuta.

In altri termini, i giudici di merito avevano correttamente escluso che le condotte accertate avessero integrato gli estremi del meno grave reato di induzione indebita, in quanto le donne in gravidanza non avevano subito una forma di blanda o tenue pressione morale, tale da consentire loro di conservare un margine di scelta, ma avevano patito da quei medici una forma di brutale limitazione della loro libertà di autodeterminazione, accettando di dare o promettere una somma di denaro indebita solo per evitare il pregiudizio che era stato loro indicato”.

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Riferimenti normativi

Art. 314 c.p. Concussione

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe  taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

 

Art. 19 L. n. 194/1978.

Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni.

La donna è punita con la multa fino a euro 51.

Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi.

Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.

Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna, si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita.

Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma.

**Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, sono depenalizzate tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda e, pertanto, soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro. Per l’ammontare della sanzione amministrativa vedi, in particolare, l’articolo 1, comma 5, lett. a) del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8. In caso di reiterazione specifica di una delle violazioni di seguito indicate per la qualificazione di recidiva quale reiterazione dell’illecito depenalizzato vedi, inoltre, l’articolo 5, comma 1, del presente decreto**

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di illecita interruzione della gravidanza:

Cassazione penale sez. V, 25/02/2015, n.14218

Integra il reato di illecita interruzione volontaria di gravidanza di cui all’art. 19 l. n. 194 del 1978 la condotta della gestante che abbia assunto con modalità off-label un noto farmaco abortivo (Cytotec) in assenza di patologie in atto tali da giustificarne l’utilizzo e in situazione di ricovero presso una struttura ospedaliera, quindi senza motivo di assumere iniziative autonome di tipo farmacologico omettendo l’avallo dei sanitari.

Cassazione penale sez. I, 10/10/2013, n.43565

È contraddittorio riconoscere, accogliendo la tesi del consulente tecnico, medico legale, la presenza di pregressi segni indicativi di vita extrauterina in un feto, comprovanti la morte per asfissia, avvenuta nelle ultime fasi del parto o immediatamente dopo l’espulsione, ma non ritenere prospettabile l’accusa di omicidio volontario assumendo, invece, di dovere procedere per procurato aborto, muovendo dalla assenza di tracce di compiuta respirazione; la vita autonoma del feto, criterio distintivo tra i reati di procurato aborto ed omicidio, comincia, infatti, con l’inizio della fase del parto, identificato nella rottura del sacco delle acque amniotiche, ed è, durante detta fase, incompatibile ed indipendente dalla avvenuta prima respirazione.

Cassazione penale sez. V, 25/10/2012, n.8777

La condotta del marito che, con violenza e minaccia, costringa la moglie ad interrompere la gravidanza integra il delitto di aborto procurato e non quello meno grave previsto dall’art. 611 c.p., atteso che l’interruzione della gravidanza da parte della donna non è un fatto costituente reato a meno che non ricorra la speciale ipotesi di cui all’art. 19 l. n. 194 del 1978.

Cassazione civile , sez. III , 01/12/1998 , n. 12195

Dopo il novantesimo giorno di gravidanza, la gestante può esercitare il diritto all’aborto, ai sensi del combinato disposto degli art. 6 e 7, comma 3, l. 22 maggio 1978 n. 194, solo in presenza di tre condizioni legali, due positive ed una negativa e, cioè: a) sussista un processo patologico (fisico o psichico, anche indotto da accertate malformazioni del feto) in atto per la madre; b) sussista il pericolo (da accertare con valutazione “ex ante”) che tale processo patologico degeneri, arrecando un danno grave alla salute della madre; c) non sussista possibilità di vita autonoma per il feto. Ne consegue che il medico, il quale per negligenza od imperizia, ometta di avvertire la madre dell’esistenza di gravi malformazioni del feto, viola il diritto della madre all’aborto, così ponendo in essere una condotta illecita fonte di responsabilità, soltanto ove sussistano tutti e tre i requisiti sopra descritti. Ne consegue altresì che il giudice, chiamato ad accertare la responsabilità del medico, deve stabilire (con valutazione da compiersi “ex ante”, vale a dire con riferimento al momento in cui il medico omise la corretta informazione) se la conoscenza della reale situazione patologica d…

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Giurisprudenza di riferimento in tema di concussione commessa dall’esercente la professione medica:

Cassazione penale, sez. VI, 15/11/2016 , n. 53444

Integra il reato di concussione la condotta del medico in servizio presso il reparto di ginecologia di un ospedale, il quale, strumentalizzando la propria posizione in ambito ospedaliero (era uno dei sanitari non obiettori in servizio presso l’ambulatorio di interruzione volontaria della gravidanza), con la prospettazione di lungaggini nella pratica standard e ostacoli organizzativi, induca le donne gravide, che avevano necessità di abortire in tempi contenuti, a un aborto illegale a pagamento presso il proprio studio.

Cassazione penale, sez. VI, 15/11/2016 , n. 1082

Integra il reato di concussione di cui all’art. 317 c.p. la condotta del dirigente medico in servizio presso un reparto di ginecologia di un ospedale pubblico che, speculando sui tempi della procedura legale di interruzione volontaria di gravidanza per prospettare inesistenti difficoltà e lungaggini, abbia spinto le donne gravide, che avevano necessità di abortire in tempi contenuti, ad un aborto illegale a pagamento presso il proprio studio privato, realizzando una radicale compressione della volontà negoziale delle vittime, esposte al presunto rischio di un disvelamento dello stato di gravidanza con conseguente compromissione del rapporto con il partner, di reazioni da parte dei parenti e di impossibilità di abortire nel termine legale di novanta giorni a Corte ha riconosciuto la qualità pubblicistica posta a base della concussione nella strumentalizzazione della pubblica funzione del medico nell’ambulatorio, a nulla rilevando la circostanza che gli aborti clandestini fossero realizzati da professionisti in uno studio privato).

Cassazione penale, sez. VI, 11/02/2013 , n. 11793

È ravvisabile la concussione per costrizione nella condotta del medico ospedaliero che, approfittando del proprio ruolo professionale (nella specie, direttore dell’unità operativa di cardiochirurgia), chieda una somma di denaro per operare personalmente i pazienti, da sottoporre a rischiosi interventi al cuore, in ragione della condizione psicologica in cui in tale contesto venivano a trovarsi i pazienti stessi, per i quali il rifiutare il pagamento della somma pretesa significava in definitiva dover rinunciare alla esperienza e alla competenza del primario e tentare invece la “sorte” affidandosi al medico di turno.

Cassazione penale, sez. VI, 21/10/2009 , n. 1998

Integra il reato di concussione, e non quello di truffa aggravata, la condotta del primario di un ente ospedaliero, che prospettando al paziente, ricoverato per essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico, l’eventualità di una lunga degenza in ospedale e la probabilità di subire l’intervento ad opera di un altro medico (a fronte dei tempi molto più brevi di una struttura sanitaria ove egli operi privatamente), lo induca a consegnargli somme di denaro o altre utilità non dovute, affinché proceda egli stesso alla relativa operazione chirurgica.

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