Il dirigente ASL che richiede l’aspettativa per lavorare presso una struttura privata adducendo ragioni familiari risponde di falso in atto pubblico.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.14647/2019 (depositata il 03 aprile 2019) in materia di falso ideologico in atto pubblico commesso dal dipendente ASL nella qualità di pubblico ufficiale.

L’imputazione e lo svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catanzaro confermava la condanna emessa dal giudice di prime cure nei confronti dell’imputato, quale dirigente medico in servizio presso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, per il reato di falso ideologico continuato in atto pubblico.

I reati per i quali l’imputato veniva riconosciuto colpevole sono due condotte di falso in atto pubblico e falso per induzione, in continuazione tra loro, perché il sanitario, pubblico ufficiale, dichiarava falsamente ragioni familiari a sostegno della propria istanza di aspettativa e successiva nota con cui comunicava la cessazione di tali ragioni, mentre invece la sua assenza era dovuta all’immissione in servizio quale direttore sanitario di un centro di riabilitazione privato, di proprietà della moglie, determinando, di conseguenza, la falsità per induzione delle relative delibere della azienda sanitaria pubblica che disponevano la sua aspettativa e la sua riammissione in servizio.

Contro la sentenza della Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa del sanitario deducendo con unico motivo vizi della motivazione in relazione alla ritenuta falsità delle ragioni di aspettativa addotte dal richiedente. Secondo la tesi sostenuta dal ricorrente, la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che i motivi familiari propriamente detti e validi ai fini dell’aspettativa richiesta dall’imputato ex art. 10, comma 1, CCNL del 10.2.2004, possano essere solo quelli inerenti a “necessità del nucleo familiare” ovvero inerenti alle persone, ma non possono estendersi alle attività economiche o d’impresa esercitate dai familiari.

La decisione della Cassazione e il punto di diritto

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendo infondata la sollevata questione di diritto; di seguito si riporta il passaggio estratto dal tessuto motivazionale di interesse per gli operatori di diritto e del personale sanitario:

Deve anzitutto rammentarsi come il delitto di falsità ideologica sia un reato formale e di pericolo, non richiedendosi ai fini della sua integrazione che il bene tutelato subisca un effettivo pregiudizio, ma essendo al contrario sufficiente che la condotta metta in pericolo la pubblica fede (ex multis Sez. 6, n. 1051 del 22/5/1998, Tritta ed altri, Rv 213908). 

(…) Quanto all’elemento oggettivo, la Corte territoriale ha evidenziato come la condotta dello – omissis – sia consistita nell’attestazione, nella domanda di aspettativa, di ragioni familiari in realtà inesistenti, prospettando dunque una ragione diversa da quella che in realtà avrebbe determinato la sua assenza e cioè l’assunzione di un incarico professionale presso una struttura sanitaria privata. Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non può invero ritenersi che la riferibilità di quest’ultima alla propria moglie costituisca una circostanza tale da incidere sulla vita familiare e idonea a giustificare in qualche modo la sussistenza di asseriti motivi di famiglia, trattandosi – come ben spiegato dal giudice di merito – di motivi inerenti non alle persone che compongono il nucleo familiare. In tal senso nemmeno coglie nel segno l’obiezione per cui nel concetto di “motivi familiari” andrebbero ricomprese non solo le esigenze connesse all’attività lavorativa di un prossimo congiunto, ma altresì quelle connesse all’esercizio da parte di quest’ultimo di un’attività imprenditoriale. In realtà non è in discussione il fatto che il pubblico dipendente possa addurre a giustificazione della propria temporanea assenza motivi connessi alle esigenze lavorative del proprio familiare – quale che sia l’attività svolta da quest’ultimo -, ma per l’appunto deve trattarsi di esigenze connesse alla persona del congiunto e non già dell’impresa che gestisce. In altri termini se la moglie dell’imputato fosse stata impedita a gestire l’impresa di cui era titolare ovvero, in ragione di esigenze connesse a tale attività, a partecipare alla gestione del nucleo familiare, lo (omissis) avrebbe potuto eventualmente giustificare la propria richiesta di aspettativa evocando “motivi familiari”, formula da cui certamente esorbita, invece, l’assunzione di un impiego all’interno dell’impresa per colmare una lacuna nell’organico della medesima. 

Anche in relazione all’elemento soggettivo del reato le argomentazioni difensive risultano prive di fondamento. Deve anzitutto premettersi come secondo la giurisprudenza di legittimità il delitto in parola sia punito a dolo generico, da intendersi come volontarietà della dichiarazione falsa, con la consapevolezza del suo carattere inveritiero. Pertanto a nulla rileva ai fini della sussistenza del reato che la immutatio veri sia stata commessa non solo senza l’animus nocendi vel decipiendi, ma anche con la certezza di non produrre alcun danno. Ed in senso analogo irrilevante è l’accertamento delle ragioni che abbiano spinto l’agente alla falsa attestazione, essendo sufficiente che questa sia posta in essere consapevolmente e volontariamente (Sez. 3, Sentenza n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi ed altri, Rv. 264328)”.

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Riferimenti normativi:

Art. 479 c.p. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.

 Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476.

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Giurisprudenza di riferimento in materia di delitti di falso commessi da sanitario nell’esercizio delle funzioni:

Cassazione penale, sez. II, 16/12/2014, n. 3718

Nel reato di falso ideologico, è da ricondurre all’area del dolo e non a quella dell’errore professionale, la condotta del medico che, ai fini del rilascio del certificato relativo alla capacità a deambulare delle persone richiedenti il contrassegno necessario per i parcheggi preferenziali, invece di effettuare un accertamento diagnostico sulla “attuale” capacità di deambulazione del soggetto interessato, in coerenza con quanto previsto dall’art. 381 d.P.R. n. 495 del 1992, effettua una valutazione in forma prognostica sul decadimento futuro delle facoltà motorie, in quanto la percezione della differenza tra i due accertamenti (quello attuale e quello prognostico) non necessita di particolari competenze specialistiche e non richiede l’esercizio di alcuna discrezionalità tecnica.

Cassazione penale, sez. V , 02/02/2012 , n. 18687

Commette il reato di falso ideologico ex art. 480 c.p. il medico convenzionato con il servizio sanitario che rilasci un certificato (nella specie, di proroga della prognosi di malattia) a favore di un paziente senza averlo previamente visitato, e, quindi, senza alcuna verifica obiettiva delle condizioni di salute; essendo, a tal riguardo, irrilevante anche, in ipotesi, l’effettiva sussistenza della malattia.

Cassazione penale, sez. V, 24/01/2007 , n. 15773

In tema di falso ideologico in atto pubblico, con riferimento alle diagnosi ed alle valutazioni compiute dal medico, va ritenuto che anche tali giudizi di valore, al pari degli enunciati in fatto, possono essere non veritieri. Sicché, nell’ambito di contesti che implichino l’accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, le valutazioni formulate da soggetti cui la legge riconosce una determinata perizia possono non solo configurarsi come errate, ma possono rientrare altresì nella categoria della falsità ideologica allorché il giudizio faccia riferimento a criteri predeterminati in modo da rappresentare la realtà al pari di una descrizione o di una constatazione. Ne consegue che è ideologicamente falsa la valutazione che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondata su premesse contenenti false attestazioni.

Cassazione penale, sez. V, 26/09/2001

La ricetta medica con la quale, il medico convenzionato con il S.s.n. prescrive un farmaco all’assistito costituisce una certificazione destinata a provare che è stata effettuata la visita e che il paziente ha diritto a fruire del servizio farmaceutico ed a consentire (al farmacista) la dispensazione del farmaco prescritto: ne consegue che il medico convenzionato il quale, nell’esercizio delle sue funzioni di pubblico ufficiale, rilasci ricette prescrivendo (a pazienti sconosciuti, non visitati e a loro insaputa) farmaci attraverso un certificato non veritiero, commette il reato di falso ideologico previsto e sanzionato dall’art. 480 c.p.

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