Il reato di cui all’art. 617-bis c.p. è configurato con la semplice installazione di un software spia all’interno di uno smartphone, indipendentemente dall’effettiva intercettazione o dall’impedimento delle altrui comunicazioni.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.15071/2019 (depositata il 05 aprile 2019) in materia di reati informatici.
Nello scrutinare il caso di specie la Cassazione ha confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale, sedimentato intorno al perimetro punitivo del delitto previsto e punito all’art. 617-bis c.p., secondo il quale, ai fini del perfezionamento della fattispecie, è sufficiente la mera installazione di apparecchiature idonee ad intercettare od interrompere comunicazioni, non venendo in rilievo l’effettivo verificarsi della captazione o dell’interruzione delle conversazioni.
La vicenda processuale.
L’imputato ricorreva per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte di appello di Milano che confermava la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Busto Arsizio, per il delitto di cui all’art.617 -bis cod. pen., commesso in pregiudizio della coniuge, per aver istallato all’interno del telefono cellulare a lei in uso uno spy-software idoneo ad intercettarne le comunicazioni telefoniche.
La difesa del ricorrente articolava due motivi di impugnazione, deducendo la non assimilabilità del software (app analogica) agli “apparati o strumenti” di cui alla norma incriminata oltre che la sussistenza della scriminante del consenso della vittima, in quanto informata dell’installazione del dispositivo ad iniziativa del figlio.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso; di seguito si riporta il passaggio della motivazione che contiene il principio di diritto di interesse per la presente nota di commento:
“Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266905, hanno spiegato che l’evoluzione tecnologica ha consentito di approntare strumenti informatici del tipo ‘software’, solitamente istallati in modo occulto su un telefono cellulare, un tablet o un PC, che consentono di captare tutto il traffico dei dati in arrivo o in partenza dal dispositivo e, quindi, anche le conversazioni telefoniche. Ne viene che, al lume di tale autorevole interpretazione del diritto vivente, non è possibile dubitare dell’inclusione dei programmi informatici denominati ‘spy -software’ nella categoria degli “apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti” diretti all’intercettazione o all’impedimento di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone, di cui all’art. 617 -bis, comma 1, cod.pen., venendo in rilievo una categoria aperta e dinamica, suscettibile di essere implementata per effetto delle innovazioni tecnologiche che, nel tempo, consentono di realizzare gli scopi vietati dalla legge. Da ciò deriva l’infondatezza del primo motivo.
Parimenti infondato è il secondo motivo. Appartiene al patrimonio condiviso di questa Corte l’enunciazione direttiva secondo la quale il reato previsto dall’art. 617 -bis cod. pen. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l’incriminazione di fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, punendo l’installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche; pertanto, ai fini della configurabilità del reato deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati(Sez. 2, n. 37710 del 24/09/2008, Pariota, Rv. 241456; nello stesso senso: Sez. 5, n. 37557 del 12/05/2015, Sinisi, Rv. 265789; Sez. 5, n. 3061 del 14/12/2010 – dep. 27/01/2011, Mazza, Rv. 249508). Ne viene che le deduzioni difensive in ordine all’eventuale esistenza del consenso all’intrusione, desumibile dal comportamento inerte della detentrice del telefono cellulare interessato dal software, ed in ordine all’assenza di un’effettiva lesione della libertà delle comunicazioni della destinataria delle condotte intrusive sono prive di rilievo, perché si riferiscono ad una situazione – la captazione delle comunicazioni telefoniche – che rappresenta un post-factum rispetto al momento di consumazione del reato, coincidente con l’installazione del software”.
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Art. 617 bis c.p. Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche
Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
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Arresti giurisprudenziali richiamati nella sentenza n.15071/2019:
Cassazione penale, sez. un., 28/04/2016 , n. 26889
In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni tra presenti, eseguite per mezzo dell’installazione di un “captatore informatico” in dispositivi elettronici portatili (personal computer, tablet o smartphone) deve escludersi la possibilità di compiere intercettazioni nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., con il mezzo indicato in precedenza, al di fuori della disciplina derogatoria per la criminalità organizzata di cui all’art. 13 d.l. n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203 del 1991, non potendosi prevedere, all’atto dell’autorizzazione, i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico verrà introdotto, con conseguente impossibilità di effettuare un adeguato controllo circa l’effettivo rispetto del presupposto, previsto dall’art. 266, comma 2, c.p.p., che in detto luogo «si stia svolgendo l’attività criminosa».
Cassazione penale, sez. V, 12/05/2015, n. 37557
Perché possa considerarsi integrato il reato ex art. 617 bis, occorre fare riferimento alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si intende consumato anche se gli apparecchi installati, salvo casi di loro assoluta inidoneità, non abbiano funzionato o non siano stati utilizzati.
Cassazione penale, sez. V, 14/12/2010, n. 3061
Integra il reato di installazione di apparecchiature atte a intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617 bis e 623 bis c.p.), la condotta di colui che installi una telecamera – occultandola all’interno di una scatola di plastica, fissandola a un palo della luce e posizionandola ad alcuni metri dal suolo – con l’obiettivo rivolto all’ingresso di uno stabile, al fine di captare illecitamente immagini, ovvero comunicazioni e conversazioni di terzi. Né ha rilievo, ai fini della configurabilità del reato, l’effettiva intercettazione o registrazione di altrui comportamenti o comunicazioni, dovendosi avere riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non siano stati attivati o, addirittura, non abbiano funzionato.
Cassazione penale, sez. II, 24/09/2008, n. 37710
Il reato previsto dall’art. 617-bis c.p. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l’incriminazione di fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, punendo l’installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche; pertanto ai fini della configurabilità del reato deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento sull’art. 617-bis c.p.:
Cassazione penale, sez. V, 02/02/2017, n. 12603
La condotta contestata all’imputato, consistita nell’avere preso cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra due soggetti diversi dall’imputato stesso e conservata nell’archivio della casella di posta elettronica di uno di essi, integra il reato di cui all’ art. 616, commi 1 e 4, c.p. e non quello, come ritenuto dai giudici di merito, di cui all’ art. 617 c.p. , anche tenendo conto dell’integrazione di quest’ultima norma ad opera dell’ art. 623 bis c.p.
Cassazione penale sez. VI, 16/05/2018, n.39279
Il reato di installazione di apparecchiature atte a intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni previsto dall’articolo 617-bis del codice penale si configura solo se l’installazione è finalizzata a intercettare o impedire comunicazioni tra persone diverse dall’agente, per cui il delitto non ricorre i nell’ipotesi in cui l’apparecchio “jammer telefonico”, vale a dire un disturbatore di frequenze utilizzato per impedire ai telefoni cellulari di ricevere o trasmettere onde radio, sia installato per impedire l’intercettazione di comunicazioni che riguardano anche il soggetto che predispone l’apparecchio. La norma incriminatrice, infatti, sanziona chi predispone apparecchiature finalizzate a intercettare o impedire conversazioni “altrui”. Inoltre, tale conclusione trova conferma nella collocazione della norma incriminatrice – che “anticipa” la soglia di punibilità propria dell’articolo 617 del codice penale – nel novero del “delitti contro l’inviolabilità dei segreti”, che sono ovviamente tali se non coinvolgono l’agente, direttamente o indirettamente.
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