Reati fallimentari: per il sequestro preventivo delle quote della società di comodo è necessaria la prova indiziaria del rapporto strumentale tra la distrazione e la res sequestrata.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 15073/2019 (depositata il 05.04.2019) in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale e sequestro di quote sociali e dell’intera azienda. Nel provvedimento in esame, il V Collegio, annulla la sentenza del Tribunale del riesame che ha confermava l’ablazione dell’intera azienda senza addurre adeguata motivazione circa la “pertinenzialità” del bene sottoposto a sequestro e reato.

La vicenda processuale

Il Tribunale della Libertà di Catanzaro confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lamezia Terme con cui veniva disposto il sequestro di tutte le quote sociali e dell’intera azienda in danno due società di capitali, nell’ambito del procedimento penale per bancarotta fraudolenta per distrazione, si assume commesso dal giudicabile in concorso con i suoi familiari, per aver distolto tutti i beni strumentali e le rimanenze di magazzino della società decotta prossima al fallimento in favore di società formalmente di proprietà del fratello e dei figli, così da assicurare la continuità aziendale in frode ai creditori, avendo provveduto, tra l’altro, a non lasciare traccia delle avvenute cessioni delle rimanenze di magazzino.

Con l’impugnazione di legittimità interposta ex art. 325 c.p.p. la difesa del ricorrente denunciava violazione di legge e carenza totale di motivazione, da considerare meramente apparente, per assenza di prova indiziaria sul rapporto pertinenziale tra il reato ipotizzato e le quote societarie ed i beni aziendale oggetto di ablazione penale.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso indicando nei passaggi della motivazione sottostante i principi di diritto dei quali dovrà fare applicazione il Collegio cautelare di Catanzaro in sede di rinvio:

E’ ben vero che da parte di questo giudice di vertice si è affermato che: «È legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società, pur se appartenenti a persona estranea al reato, qualora detta misura sia destinata ad impedire la protrazione dell’ipotizzata attività criminosa, poiché ciò che rileva in questi casi non è la titolarità del patrimonio sociale ma la sua gestione supposta illecita, e si può, d’altra parte, riguardare il sequestro preventivo come idoneo ad impedire la commissione di ulteriori reati, pur se in maniera mediata ed indiretta, dal momento che esso priva i soci dei diritti relativi alle quote sequestrate» (Sez. 5, n. 16583 del 22/01/2010, Canone e altri, Rv. 246864) e si è, pure, sancito che «E’ legittimo il sequestro di un’intera azienda allorché vi siano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, in qualche modo utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando che l’azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali» (Sez. 6, n. 27340 del 16/04/2008, Cascino, Rv. 240574; Sez. 6, n. 29797 del 20/06/2001, Leonasi, Rv. 219855); ma si è anche precisato che:<< È legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società appartenenti a persona estranea al reato, qualora sussista un nesso di strumentalità tra detti beni ed il reato contestato» (Sez. 2, n. 31914 del 09/07/2015, Cosentino e altri, Rv. 264473), posto che:<<La società “di comodo” e la titolarità delle sue quote in quanto costituiscano lo strumento attraverso il quale il fallito continui a svolgere la propria attività imprenditoriale, non possono in sè e per sè costituire oggetto di sequestro preventivo atteso ché nulla vieta che il fallito prosegua fuori del fallimento una precedente attività o che ne intraprenda una nuova, fatte salve, ovviamente, le ragioni dei creditori concorsuali», con la conseguenza che: «Ai fini della adozione del sequestro preventivo occorre un collegamento strumentale tra reato fallimentare e cosa sequestrata e non tra il reato e la persona» (Sez. 5, n. 3563 del 26/06/2015, Garzia, Rv. 266047).

Così delineata la cornice ermeneutica entro la quale deve essere esercitato il presente scrutinio, va evidenziato che la questione che viene in rilievo attiene esclusivamente alla sussistenza del nesso strumentale tra tutte le quote della (omissis) S.r.l. e della (omissis) Srl. – indicate come società di comodo nelle quali (omissis) aveva fatto confluire beni drenati dalla fallita P(omissis) Sas. – e il reato di bancarotta fraudolenta contestato. Nesso che non è dato ricavare da quanto evidenziato nel provvedimento impugnato, che sul punto rende una motivazione apparente, perché del tutto apodittica e congetturale (…).

E’ evidente, invero, l’incedere meramente assertivo del discorso giustificativo del provvedimento impugnato che ha valorizzato un dato – quello delle cessioni non ‘tracciate’ delle rimanenze di magazzino della(omissis) Sas. – del tutto inconferente rispetto al fine della motivazione – fa dimostrazione che anche le rimanenze di magazzino erano state traferite in assenza di corrispettivo alle società di famiglia -, posto che le dette operazioni avrebbero potuto essere interpretate esclusivamente in chiave di vendite in nero nei confronti di ignoti acquirenti. Ben altra sarebbe stata la logica dell’argomentazione utilizzata se si fosse dato atto che si era avuto riscontro oggettivo che i beni in precedenza nella disponibilità della (omissis) Sas. erano transitati in quella della (omissis) Srl. per continuare l’attività imprenditoriale di famiglia”.

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Riferimenti normativi

Art. 216 R.D. n. 267/1942. Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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Arresti giurisprudenziali richiamati in sentenza:

Cassazione penale, sez. II, 09/07/2015, n. 31914

E’ legittimo il sequestro di un’azienda o di quote di società appartenenti a persona estranea al reato, purché i suddetti beni siano, anche indirettamente, collegati al reato e, ove lasciati in libera disponibilità, idonei a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti.

Cassazione penale, sez. V, 26/06/2015 , n. 3563

La società di comodo non può costituire oggetto di sequestro preventivo in quanto non sussiste alcun nesso strumentale essenziale con il reato fallimentare. Le quote della società di comodo non infatti presentano alcuna pericolosità intrinseca e dunque il fallito può proseguire, al di fuori del fallimento, una precedente attività o di intraprenderne una nuova, salve le ragioni dei creditori concorsuali.

Cassazione penale, sez. VI, 16/04/2008 , n. 27340

In materia di sequestro preventivo, oggetto della misura cautelare reale può essere anche un’intera azienda, ove sussistano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali, proprio per la sua collocazione strumentale, sia utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando la circostanza che l’azienda svolga anche normali attività imprenditoriali. (Fattispecie relativa al sequestro preventivo del patrimonio aziendale di un’impresa edile, in cui è stata esclusa la riconducibilità sostanziale dei beni oggetto del sequestro, nella formale disponibilità di terzi estranei al procedimento, alle persone degli indagati).

Cassazione penale, sez. VI, 20/06/2001, n. 29797

Oggetto del sequestro preventivo (art.321 c.p.p.) può essere qualsiasi bene – a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato – purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. Ne consegue che è legittimo il sequestro di un’intera azienda allorché vi siano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, in qualche modo utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando che l’azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali.

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