Esclusa la rilevanza della crisi di liquidità e la necessità di dover retribuire i dipendenti ai fini della esclusione del dolo generico nel reato di omesso versamento dell’IVA.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 16163/2019, depositata il 15.04.2019, in materia di omesso versamento dell’IVA.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha affrontato diverse questioni di diritto ruotanti attorno alla fattispecie di reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000, già ampiamente dibattuti in sede di legittimità, ovvero: requisiti per la applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000; configurabilità dell’elemento psicologico del reato in relazione alla scriminante della forza maggiore della crisi d’impresa; principi di diritto in tema di commisurazione della  pena accessoria.

L’imputazione e lo svolgimento del processo di merito.

La Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del tribunale di Ravenna, appellata dalla imputata che l’aveva condannata alla pena, concesse le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena a mesi 6 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, in quanto ritenuta colpevole del reato di omesso versamento IVA in relazione al periodo di imposta 2011, per un ammontare di € 536.962,00.

La difesa della giudicabile ricorreva per cassazione articolando diversi motivi di impugnazione per avere contezza dei quali si rimanda alla lettura dell’allegata sentenza.

Il giudizio di cassazione e il principio di diritto.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso limitatamente alla durata della pena accessoria, rideterminata in misura pari alla pena principale, rigettando nel resto.

Di seguito si riportano, i passaggi estratti dal compendio motivazionale di maggior interesse per gli operatori di diritto.

  1. La causa di non punibilità dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000.

“… a prescindere dalla proponibilità di una eccezione di incostituzionalità in sede di motivi aggiunti ex art. 585, cod. proc. pen. (questione che, si noti, è stata positivamente risolta da questa Corte, che ritiene possibile proporla con motivi aggiunti anche davanti alla stessa Corte di Cassazione, potendo valere la sua deduzione a sollecitarne l’apprezzamento, salvo il limite posto dall’art. 24, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87: Sez. 1, n. 36231 del 08/11/2016 – dep. 21/07/2017, Curea, Rv. 271042), è sufficiente tuttavia rilevare come la Corte d’appello, nel motivare sul punto, abbia dichiarato inammissibile non solo per tardività l’eccezione di incostituzionalità, ma anche perché manifestamente infondata (…).

Manifestamente infondato è, poi, il secondo motivo, in quanto i giudici di appello, non hanno ritenuto applicabile la causa di non punibilità del pagamento del debito tributario ex art. 13, d. lgs. n. 74 del 2000, questione già prospettata con il secondo motivo di appello originario. Ed invero, a prescindere dalla decisione della Corte costituzionale cui era stata rimessa la relativa questione (…) deve tuttavia rilevarsi come, nel caso di specie, non ricorrevano i presupposti per la applicazione dell’art. 13, ultimo comma, d. lgs. n. 74 del 2000.

Ed invero, detta disposizione, sostituita dall’art. 11, D. Lgs. 24.09.2015, n. 158, entrato in vigore il 22/10/2015, prevede che “Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione”.

Nella specie, l’apertura del dibattimento di primo grado è intervenuta in data 6/06/2016. A tale data, dunque, la norma novellata dell’art. 13 d. lgs. n. 74 del 2000 era già in vigore, donde l’imputato avrebbe dovuto, essendo all’epoca il debito tributario in fase di estinzione mediante rateizzazione, richiedere il termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, eventualmente prorogabile da parte del Giudice una sola volta per non oltre tre mesi, ove ritenuto necessario, con sospensione della prescrizione per l’intero periodo.

Non risulta che quanto sopra sia avvenuto, donde il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte che ritiene applicabile, nei reati tributari, la causa di non punibilità ex art. 13 D.Igs. 10 marzo 2000, n. 74, come modificato ad opera della legge n. 158 del 2015, ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015 “anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado se i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, risultano essere stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie” (da ultimo: Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017 – dep. 15/06/2017, Fregolent, Rv. 270464), è errato, atteso che, nel caso in esame, alla data dell’apertura del dibattimento di primo grado la norma dell’art. 13 novellata era già vigente. Non rileva, pertanto, la circostanza che alla data della sentenza d’appello fosse stata data prova dell’intervenuta, integrale, definizione del debito tributario mediante la procedura di rateizzazione quinquennale, in quanto, ex lege, i giudici di appello non erano tenuti a valutare la sussistenza dei requisiti di legge per l’applicazione dell’art. 13, d. lgs. n. 74 del 2000, atteso che la parte era decaduta dalla facoltà prevista dall’art. 13, non avendo formalizzato alla prima udienza dibattimentale del 6.06.2016 alcuna istanza in tal senso né richiesto al giudice di avvalersi della sospensione di tre mesi, prorogabile di altri tre, al fine di beneficiare della causa di non punibilità”.

  1. L’elemento psicologico del reato.

Il terzo motivo è infondato, avendo sul punto i giudici di appello fatto coerente applicazione dei principi, più volte affermati da questa Corte, in tema di rilevanza della crisi di liquidità rispetto al reato di omesso versamento IVA. Ed invero, i giudici di appello, segnatamente con riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, escludono la rilevanza della crisi di liquidità non solo traendo la prova del dolo generico normativamente richiesto dal fatto della semplice presentazione della dichiarazione annuale, ma soprattutto valorizzando il fatto di aver optato la società per il piano di rateizzazione e anteposto al pagamento del debito tributario il soddisfacimento di quello nei confronti dei dipendenti, banche e fornitori per evitare il dissesto dell’impresa.

(…) sul punto corretto è il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’Iva cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod civ.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della “par condicio creditorum”, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato (Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018 – dep. 26/11/2018, Moffa Guerino, Rv. 274319)”.

  1. Sulla pena accessoria inflitta nel caso di specie

A diverso approdo, invece, deve pervenirsi quanto al quarto motivo. Ed infatti, risulta che il primo giudice ha inflitto le pene accessorie di cui alle lett. a), b) e c) dell’art. 12, d. lgs. n. 74 del 2000, uniche temporanee, nella misura di 1 anno, a fronte di una pena principale di mesi 6. E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la durata delle pene accessorie temporanee previste dall’art. 12 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, conseguenti alla condanna per reati tributari, deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art.37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta(da ultimo, cfr.: Sez. 3, n. 8041 del 23/01/2018 – dep. 20/02/2018, P.G. in proc. Carlessi e altri, Rv. 272510). E’ indubbio che tale regola trova applicazione quando la pena principale inflitta sia superiore al minimo ex lege previsto per la durata della pena accessoria. L’art. 12 citato, con riferimento alle pene accessorie temporanee, prevede che la condanna per taluno dei delitti previsti dal D. Lgs. n. 74 del 2000, importa: a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni; b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni; c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni. Il primo giudice, irrogando una pena principale di 6 mesi di reclusione, ha correttamente applicato all’imputata le predette pene accessorie temporanee nella durata minima stabilita dalla legge, salvo che per quella prevista dalla lett. a). Ne discende, pertanto, che la conferma, sul punto, della durata delle pene accessorie temporanee non è censurabile solo per le pene accessorie di cui alle lett. b) e c) dell’art. 12 citato, in quanto il limite minimo (come del resto, quello massimo) previsto dal legislatore deve considerarsi invalicabile, derivandone, in difetto, l’applicazione di una pena illegale.

Coglie, invece, nel segno la censura difensiva quanto al mancato accoglimento del motivo di appello relativo alla pena accessoria di cui alla lett. a) dell’art. 12, in quanto il giudice di appello avrebbe dovuto uniformare la durata di tale pena accessoria a quella principale inflitta.

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Riferimenti normativi

Art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000. Omesso versamento di IVA 

E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di omesso versamento dell’IVA:

Cassazione penale sez. III, 12/12/2018, n.9

Per la configurabilità del reato di omesso versamento IVA in capo al legale rappresentante di un’impresa non rileva quale causa di forza maggiore lo stato di crisi finanziaria imputabile alla precedente gestione laddove l’agente, al momento della nomina, sia consapevole della crisi di liquidità.

Cassazione penale sez. III, 09/11/2018, n.54699

È configurabile il reato di omesso versamento dell’i.v.a. nei confronti di un soggetto che, subentrato nella carica di liquidatore di una società di capitali successivamente alla presentazione della dichiarazione annuale di imposta ma prima della scadenza del termine per il relativo versamento, abbia omesso di compiere le necessarie verifiche sugli ultimi adempimenti fiscali e non abbia versato all’erario le somme dovute in base alla dichiarazione. (Fattispecie nella quale la S.C., nel dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado per il reato di cui all’art. 10-ter d.lg. n. 74/2000, ha ritenuto non rilevante la circostanza che l’iscrizione alla camera di commercio della nomina alla carica di liquidatore della società fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per il versamento dell’imposta).

Cassazione penale sez. III, 08/06/2018, n.39696

È necessario operare un bilanciamento tra l’interesse dell’Erario e l’interesse degli altri creditori: secondo tale impostazione, in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non è configurabile il fumus commissi delicti del reato di omessoversamento dell’IVA nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il versamento del tributo, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d’imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative.

Cassazione penale sez. III  13/03/2018 n. 15172  

La nuova fattispecie di reato di cui all’ art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000 , come modificata dall’ art. 8, d.lgs. n. 158 del 2015 , che ha elevato a Euro 250.000,00 la soglia di punibilità, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell’abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma secondo, cod. pen. (e non il quarto comma dell’ art. 2, cod. pen. ), e 673, comma primo, cod. proc. pen.

Cassazione penale sez. III  23/01/2018 n. 6220  

In tema di omesso versamento dell’ IVA, il reato omissivo previsto dall’ art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate.

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 4750  

In caso di omesso versamento, la confisca va disposta anche se non risultano disponibilità di beni da parte dell’imputato. A ricordarlo è la Cassazione che ha accolto il ricorso della pubblica accusa contro la scelta del Tribunale di condannare l’imputato per violazione dell’ articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 , senza disporre, però, la confisca per insussistenza dei mezzi. Si tratta, infatti di un preciso obbligo di legge che sfugge a qualunque considerazione da parte del giudice, potendo essere colpiti anche beni futuri. L’applicazione di tale confisca, in sostanza, è sottratta alla discrezionalità del giudice.

Cassazione penale sez. IV  17/10/2017 n. 52542  

Non è corretto attribuire prevalenza alla norma penale che sanziona l’omesso versamento dell’IVA rispetto al contrapposto divieto di versamento dell’IVA, imposto da un legittimo ordine del giudice (divieto di eseguire pagamenti per crediti anteriori alla richiesta di ammissione alla procedura concorsuale di concordato), che deriva da precise norme giuridiche aventi pari valore ed efficacia rispetto alla normativa tributaria.

Cassazione penale sez. III  12/04/2017 n. 39503  

Deve essere confermata la condanna per omesso versamento di IVA se l’imputato non dimostra che la crisi finanziaria sia stata imprevedibile, repentina e che egli, da amministratore, abbia fatto tutto quanto nelle sue disponibilità per evitare l’omissione del versamento.

Cassazione penale sez. III  15/02/2017 n. 35786  

Solo l’omologazione, e non anche la semplice ammissione al concordato preventivo – sia pure intervenuta antecedentemente alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta -, può escludere il reato di omesso versamento i.v.a. ex art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000.

Cassazione penale sez. III  15/02/2017 n. 35786  

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rispettivamente in tema di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e dell’IVA, è sufficiente il consapevole inadempimento, da parte del contribuente, dell’obbligazione tributaria così come risultante dalle dichiarazioni annuali dal medesimo presentate, non essendo necessario che egli sia preventivamente messo a conoscenza della pretesa avanzata dagli organi accertatori in sede amministrativa né che detta pretesa abbia un positivo riconoscimento, attesa l’autonomia del procedimento penale dal procedimento e dal processo tributario.

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