Reati fiscali: illegittimo il sequestro dei beni della persona fisica indagata disposto per valore in assenza di una preventiva escussione del patrimonio dell’ente in favore del quale è stato commesso il reato.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.16523/2019, depositata il 16.04.2019, in materia cautelare reale che affronta il tema del sequestro preventivo disposto per valore sui beni degli indagati, senza preventiva escussione del patrimonio dell’ente a favore del quale il reato è stato commesso.

L’imputazione e lo svolgimento del processo di merito

Il Tribunale della Libertà di Grosseto, rigettava la richiesta di riesame presentata dai soggetti attinti dall’indagine penale contro il decreto di sequestro preventivo 4emesso dal Gip in sede, finalizzato alla confisca per equivalente delle somme di danaro rinvenute nella disponibilità dei tre soggetti indagati per il reato di cui  all’art. 5 del d.lgs n.74 del 2000, per avere, in concorso fra loro, omesso di presentare, quanto agli anni di imposta 2010, 2011 e 2012, al fine di evadere le imposte, la dichiarazione dei redditi per conto di una ONLUS, nonché in relazione alla violazione dell’art. 316-ter cod. pen., per avere indebitamente percepito erogazioni pubbliche con correlativo danno per lo Stato.

Avverso l’ordinanza resa dal Collegio cautelare interponevano ricorso per cassazione le difese dei tre indagati, deducendo, trai vari motivi di censura, la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure nel prevedere il sequestro preventivo dei beni degli indagati, senza che sia stata preventivamente esaminata la eventualità di procedere al sequestro dei beni dell’ente, soggetto, come gli stessi hanno precisato, dotato di piena soggettività giuridica.

Il giudizio della Cassazione e il principio di diritto

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando per l’effetto il provvedimento impugnato ed il decreto di sequestro, disponendo la restituzione delle somme ablate agli aventi diritto.

Di seguito si riportano i passaggi di maggior rilievo estratti dal compendio motivazionale della decisione in commento:

Nel caso di specie il giudice del riesame ha ritenuto, con motivazione che essendo certamente plausibile ed ampiamente illustrata nella ordinanza oggetto di impugnazione non è sicuramente oggetto di sindacato in questa sede di legittimità, che la sede di Grosseto della (omissis) svolgesse attività imprenditoriale trasmodante rispetto alle esclusive o quanto meno prevalenti finalità solidaristiche proprie del tipo associativo in questione sulla base del dato che i corrispettivi che la stessa percepiva per l’attività di tipo diagnostico e terapeutico svolta presso la le sue strutture operativa di (omissis) ed (omissis) avevano determinato un introito finanziario il cui importo era di gran lunga superiore all’ammontare delle spese sostenuto, il che fa ragionevolmente presumere una gestione di tipo imprenditoriale, quindi finalizzata alla realizzazione di un utile di esercizio, della attività svolta e non una finalizzazione solidaristica della stessa, atteso che questa dovrebbe, di regola, portare al massimo ad un pareggio di bilancio e non alla formazione di un utile (concetto questo che, presupponendo la creazione dì un plusvalore fra costi sostenuti e ricavo per i servizi erogati, si pone in ontologica contrapposizione con uno scopo solidaristico dello svolgimento dell’attività istituzionale).

Ciò posto rileva, tuttavia, il Collegio la fondatezza del primo motivo di impugnazione con il quale è stata lamentata, sotto lo profilo della violazione di legge, l’avvenuta emanazione del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti delle persone fisiche che avevano la amministrazione della (omissis) negli anni di imposta interessati dalle indagini in corso, senza che sia stata preventivamente esaminata la possibilità di procedere al sequestro del profitto dei reati ipotizzati tuttora rinvenibile presso la predetta (omissis), diretta ed immediata beneficiaria dei reati in provvisoria contestazione.

Al riguardo va osservato che in diverse e non contrastate occasioni questa Corte ha rilevato che in caso di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato(Corte di cassazione, Sezione IV penale, 7 marzo 2018, n. 10418), dovendo, in altre parole, il Pm, prima di richiedere il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, procedere ad una valutazione, allo stato degli atti, della capienza patrimoniale dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato(Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 ottobre 2015, n. 41073), valutazione che, sebbene non debba consistere nel compimento di specifici atti di indagine, non può; tuttavia, essere del tutto pretermessa sulla base di considerazioni estranee alla effettiva reperibilità di tale cespiti prioritariamente aggredibili (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 agosto 2016, n. 35330).

Applicando i suddetti principi al caso ora in esame si rileva che, sebbene sia stata segnalata anche nella ordinanza impugnata la esistenza di un consistente flusso finanziario in favore della (omissis), riveniente proprio dallo svolgimento – con criteri di massimizzazione, o quanto meno di produzione, degli utili – della attività d’istituto, non è stata fatta alcuna valutazione, preventivamente alla richiesta ed alla esecuzione del sequestro in danno degli attuali ricorrenti, in relazione alla possibilità di eseguire la misura cautelare direttamente sul profitto del reato in questione e sulla perdurante esistenza del prodotto dei citati flussi finanziari. Tale omissione inficia la validità sia della ordinanza impugnata, che non ha tenuto conto della fondatezza del rilievo formulato al riguardo di fronte al Tribunale del riesame, sia dello stesso provvedimento di sequestro, che è stato adottato senza il preventivo scrutinio della possibilità di procedere al sequestro diretto, anziché a quello per equivalente(sulla esistenza della presupposta impossibilità di procedere al sequestro diretto quale fattore logicamente condizionante l’adozione del sequestro per equivalente ancora di recente: Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 ottobre 2018, n. 46973)”.

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Riferimenti normativi

Art. 5.  Omessa dichiarazione 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.

1-bis.  E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.

  1. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento sul delitto previsto dall’art. 5 D.Lgs. n. 74/2000:

Cassazione penale, sez. III , 13/07/2018 , n. 50151

In tema di reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi di cui all’ art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74, si configura la “stabile organizzazione”, da cui deriva l’obbligo fiscale di un soggetto non formalmente residente, nel caso in cui una società estera, con una sede fissa di affari nel territorio italiano, effettua in Italia la sua attività mediante un’organizzazione di persone e di mezzi (cd. estero-vestizione della residenza fiscale); si ha, invece, una “società-schermo”, nell’ipotesi in cui l’ente, anche se allocato formalmente all’estero, è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, che è la titolare effettiva dell’attività economica e che, di conseguenza, è tenuta agli adempimenti fiscali.

Cassazione penale, sez. III , 21/06/2018 , n. 43627

In tema di reati tributari, l’utilizzo in compensazione di un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa integra il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata sul caso di un legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, ex articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000 , per aver omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata. In particolare, con una interpretazione molto rigida della disciplina, la Corte ha affermato che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

Cassazione penale, sez. III , 06/06/2018 , n. 32500

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione a fini i.v.a. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione.

Cassazione penale sez. III  18/12/ 2017 n. 21639  

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di omessa presentazione di dichiarazione Iva ( art. 5 d.lgs.30 ottobre 2000 n. 74 del 2000), qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nelle determinazione del debito imponibile il giudice penale deve accertare l’ammontare della imposta evasa tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi e oneri – che concorrono alla sua formazione.

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 7000  

Nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’ art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente.

Cassazione penale sez. III  07/11/2017 n. 20856  

In tema di reati tributari, il reato di cui all’ art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , come modificato dal d.lgs.24 settembre 2015, n. 158 , è configurabile con la sola omissione della presentazione della dichiarazione, non essendo necessaria la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

Cassazione penale sez. III  22/09/2017 n. 53137  

Integra il delitto previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’omessa presentazione della dichiarazione di redditi provenienti da attività illecita da parte del titolare di una ditta individuale determinata dall’esigenza di non fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli, giacché, salvo specifiche previsioni di legge di segno contrario, il principio processuale del “nemo tenetur se detegere” non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale e pertanto non giustifica la violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva.

Cassazione penale sez. III  29/03/2017 n. 37849  

Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).

Cassazione penale sez. III  24/02/2017 n. 19196  

In tema di reati tributari, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario).

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