La diffusione di una dichiarazione lesiva della altrui reputazione attraverso blog o social media integra sempre un’ipotesi di diffamazione aggravata.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 16564/2019, depositata in data 16.04.2019, in materia di diffamazione a mezzo web che ha scrutinato un caso di esternazioni diffamatorie rese innanzi a giornalisti di testate online (bloggers) potenzialmente idonee a raggiungere una elevata platea di destinatari.
L’imputazione e lo svolgimento del processo di merito
La Corte di appello di Milano confermava, anche agli effetti civili, la condanna dell’imputato per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa in relazione a una dichiarazione resa alla stampa e pubblicata su di un noto periodico nel corso della quale il primo, all’epoca direttore di un noto festival internazionale del cinema, riferiva riguardo alla persona offesa, noto critico cinematografico, di aver scritto una recensione pur avendo lasciato la sala dopo mezz’ora dall’inizio della proiezione della pellicola in oggetto. La corte distrettuale rigettava invece l’appello proposto dalla parte civile per altra ipotesi di reato, sempre a contenuto diffamatorio, per la quale il prevenuto era stato assolto in primo grado.
Interponeva ricorso l’imputato, a mezzo difensore, contestando violazione della legge processuale contestando la competenza territoriale del Tribunale di Milano e la violazione della legge penale sostanziale in merito alla qualificazione giuridica dei fatti.
In particolare, il ricorrente, con l’impugnazione di legittimità, sosteneva che le esternazioni poste all’attenzione di blogger, apparse sul web e poi rilanciate da una testata giornalistica, non possono ricondursi all’ipotesi aggravata della contestata diffamazione.
La decisione della Cassazione e il principio di diritto
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché estinto il reato a causa del decorso il termine prescrizionale, permanendo la condanna agli effetti civili.
Per quanto concerne la qualificazione giuridica dei fatti (diffamazione aggravata) dal compendio motivazionale della sentenza in commento si riporta per estratto quanto di interesse per gli operatori di diritto:
“Sotto il profilo sostanziale va chiarito che la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Sez. U, n. 31022 del 29/01/2015, Fazzo, Rv. 264090 – 01). Mentre la diffusione di una dichiarazione lesiva della altrui reputazione attraverso siti web, diversi da quelli delle testate giornalistiche (blog, social media, altre piattaforme internet) integra non una diffamazione semplice di competenza del giudice di pace ma un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone, anche se non possa dirsi posta in essere “col mezzo della stampa”, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico (Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Manduca, Rv. 269090 – 01).
(…) Il quadro fattuale invocato dal ricorrente si discosta da quello tracciato dai giudici di merito che escludono espressamente che le dichiarazioni del (omissis) siano state rilasciate “in privato”, poiché sono state rese durante una conferenza stampa dedicata ai giornalisti delle testate on line (pag. 3 sentenza Tribunale Milano) e, come detto, la testata giornalistica telematica rientra nella nozione di “stampa”. In ogni caso, anche a voler seguire la tesi del ricorrente circa mere esternazioni fatte in presenza di alcuni blogger, il reato di diffamazione sarebbe comunque aggravato dal ricorso a un “mezzo di pubblicità”, e dunque rientrerebbe nella competenza per materia del Tribunale. È indubbio che rilasciare dichiarazioni ai blogger implichi non solo la consapevolezza ma anche il proposito della pubblicazione delle stesse sul web”.
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Riferimenti normativi
Art. 595 c.p. Diffamazione.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di diffamazione commessa on-line:
Cassazione penale, sez. V , 12/07/2018 , n. 42630
Se il social network non collabora nell’identificazione dell’autore del reato, le indagini devono essere approfondite per individuare chi ha scritto il post. Ad affermarlo è la Cassazione che ha imposto ai giudici di merito di motivare adeguatamente le ragioni dell’archiviazione a carico del presunto autore della diffamazione on line. Il caso riguardava alcuni post offensivi pubblicati su Facebook da un utente la cui identità era rimasta incerta, a seguito del rifiuto dei gestori di Facebook di fornire l’indirizzo IP dell’autore del messaggio. Il decreto di archiviazione disposto dal Gip veniva però impugnato in Cassazione dalla persona offesa che lamentava l’assoluta mancanza di indagini suppletive e di analisi degli ulteriori indizi forniti dalla persona offesa. Da qui la pronuncia della Suprema corte che ha imposto ai giudici di merito di andare oltre la mancata collaborazione dei social network e di approfondire tutti gli elementi utili alle indagini.
Cassazione penale , sez. V , 03/05/2018 , n. 40083
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’ art. 595, comma terzo, cod. pen. , poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.
Cassazione penale, sez. V , 19/02/2018 , n. 16751
In tema di diffamazione, l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’ art. 57 c.p. , in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook). (In motivazione, la Corte ha precisato che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell’amministrazione all’attività diffamatoria).
Cassazione penale, sez. V, 04/12/2017, n. 5175.
La legge n. 48 del 2008 (Ratifica della convenzione di Budapest sulla criminalità informatica) non introduce alcun requisito di prova legale, limitandosi a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza tuttavia imporre procedure tipizzate. Ne consegue che il giudice potrà valutarle secondo il proprio libero convincimento (fattispecie relativa alla pubblicazione di un post ingiurioso su Facebook).
Cassazione penale, sez. V, 19/10/2017, n. 101.
Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possono, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari.
Cassazione penale, sez. V, 29/05/2017, n. 39763.
In tema di diffamazione, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sulla base di un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di soggetti che ritengano di potere essere destinatari dell’offesa (esclusa, nella specie, la configurabilità del reato per la condotta dell’imputato, che, in un post su Facebook, aveva espresso il suo sdegno per le modalità con cui erano state celebrate le esequie di un suo caro parente).
Cassazione penale, sez. V, 23/01/2017, n. 8482.
La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.
Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50.
È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.
Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50.
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.
Cassazione penale, sez. V, 14/11/2016, n. 4873.
Ove taluno abbia pubblicato sul proprio profilo Facebook un testo con cui offendeva la reputazione di una persona, attribuendole un fatto determinato, sono applicabili le circostanze aggravanti dell’attribuzione di un fatto determinato e dell’offesa recata con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ma non quella operante nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.
Cassazione penale, sez. V, 07/10/2016, n. 2723.
La divulgazione di un messaggio di contenuto offensivo tramite social network ha indubbiamente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio per la natura intrinseca dello strumento utilizzato, ed è dunque idonea ad integrare il reato della diffamazione aggravata (fattispecie relativa all’inserimento di un messaggio offensivo sul profilo Facebook della persona offesa).
Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 8328.
La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.
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