La Cassazione annulla l’ordinanza cautelare che ritiene applicale l’art.2 del d.lgs. 74/2000 per evasione dell’imposta sui redditi anche al caso di simulazione soggettiva.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 16678/2019, depositata il 17.04.2019, di interesse per gli operatori di diritto per l’applicazione nell’ambito di un procedimento cautelare reale dei principi giurisprudenziali sedimentati intorno all’interpretazione del discrimen tra inesistenza oggettiva ed inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali riprodotte nei documenti contabili utilizzati nelle dichiarazioni fiscali.

La fase cautelare reale di merito.

Il Tribunale del Riesame di Monza confermava il decreto di sequestro preventivo con cui il G.I.P in sede che aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del denaro nella diretta disponibilità dell’indagato, ovvero di qualunque bene mobile o immobile al medesimo appartenente, fino alla concorrenza della somma di euro 20.148,58; la misura cautelare reale veniva imposta con riferimento al reato di cui all’art. 2 del d.lgs. 74/2000, contestato al giudicabile per avere indicato, nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni 2013, 2014 e 2015, al fine di evadere le imposte sui redditi e avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, elementi passivi fittizi costituiti da costi, in realtà mai sostenuti dal contribuente, per prestazioni di lavoro occasionale apparentemente svolte in suo favore da una pluralità di soggetti.

 

Il ricorso ex art. 325 c.p.p..

Avverso l’ordinanza del Tribunale brianzolo il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, contestando, tra l’altro, la qualificazione giuridica del fatto, osservando che la condotta di Barbanti non poteva farsi rientrare nel reato di cui all’art. 2 del d.lgs. 74/2000, posto che, negli anni cui si riferisce l’imputazione, l’indagato si era avvalso della sola collaborazione di un soggetto il quale è stato l’unico ed effettivo percipiente dei compensi, per cui le ricevute emesse, sebbene riferite ad altre persone, erano relative a prestazioni realmente esistenti; dunque l’indagato si era limitato a sostituire il nominativo del vero percettore delle somme pagate con quelli di terze persone, senza tuttavia mai modificare il saldo delle poste passive al fine di conseguire un indebito vantaggio fiscale.

 

L’esito del giudizio di cassazione ed il principio di diritto.

La Suprema corte accoglie il motivo sulla qualificazione giuridica della condotta, e, per l’effetto, annulla l’ordinanza impugnata con la seguente motivazione:

Deve premettersi che, dall’imputazione riportata nel decreto del G.I.P. impositivo del sequestro, si evince che l’accusa formulata a carico di [omissis] è quella di aver commesso il reato di cui all’art. 2 del d. Igs. n. 74 del 2000, per avere indicato, nelle dichiarazioni dei redditi inerenti gli anni 2013, 2014 e 2015, elementi passivi fittizi, ovvero dei corrispettivi per rapporti di lavoro occasionale, in realtà mai avvenuti, con una pluralità di soggetti, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi.

Orbene, il tenore della contestazione provvisoria consente già di circoscrivere l’ambito di rilevanza penale della condotta, dovendosi al riguardo richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, dep. 2018, Rv. 272814 e Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010, Rv. 246327), secondo cui il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti,mentre, con riguardo all’iva, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura; in definitiva, la fattispecie di cui all’art. 2 del d. Igs. n. 74 del 2000 deve ritenersi ravvisabile, con riferimento all’evasione delle imposte dirette, solo laddove vengano in rilievo operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero vengano esposti nelle dichiarazioni dei costi mai sostenuti, mentre è solo in ordine all’evasione dell’iva che rilevano, oltre alle operazioni oggettivamente inesistenti, anche quelle che integrino una simulazione soggettiva, cioè quando la fattura riporti l’indicazione di nominativi diversi rispetto agli effettivi partecipanti all’operazione imponibile; l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è infatti circostanza indifferente ai fini dell’iva, dal momento che la qualità dei venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre, fondandosi il sistema dell’Iva sul presupposto che tale imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili, non entrando nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, per cui esporre dati fittizi anche solo soggettivamente significa creare le premesse per un rimborso al quale non si ha diritto.

Ribadito dunque che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2 in ordine all’evasione delle imposte sui redditi, rilevano solo le operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero quelle relative alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, e non anche le operazioni soggettivamente inesistenti, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura e il soggetto che abbia erogato la prestazione, occorre evidenziare che il Tribunale del Riesame non si è adeguatamente confrontato con la deduzione difensiva, secondo cui quelle ascrivibili a [omissis] erano esclusivamente operazioni inesistenti dal punto di vista soggettivo, nel quale caso, come detto, andrebbe esclusa la rilevanza penale della condotta”.

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