La particolare tenuità del reato presupposto non comporta il venir meno della responsabilità amministrativa della società ex d.lgs. n. 231/2001.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza di legittimità n.11518/2019 in materia di responsabilità penale degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001, con la quale il Collegio di legittimità ha fissato il principio della non estensibilità alla società della declaratoria di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p..

L’imputazione e lo svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente la decisione con la quale il Tribunale locale affermava la responsabilità penale del prevenuto e di una società per azioni escludendo per l’imputato la punibilità ex art. 131-bis cod. pen., ritenuto il fatto di particolare tenuità. e

Confermava nel resto la sentenza impugnata.

L’imputazione concerneva, al capo a), la violazione dell’art. 137, comma 5, primo periodo, d.lgs. 152/2006, perché l’imputato, in qualità di procuratore delegato ambientale della predetta società, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali in pubblica fognatura, generata da attività di concia, tintura e finitura di pelli, superava il valore limite fissato nella Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte Terza del predetto decreto in relazione alla sostanza “cromo totale”.

Il capo b), riguardava la violazione di cui all’art. 137, comma 2 in relazione al comma 1 del d.lgs. 152/06, perché costui, nelle medesime qualità, effettuava uno scarico di acque reflue industriali in pubblica fognatura in assenza della prescritta l’autorizzazione.

Alla società venivano invece ascritti gli illeciti di cui all’art. 25-undecies, comma 2, lett. a), punto 1 e 25-undecies, comma 2, lett. a), punto 2 d.lgs. 231/01, per la responsabilità, in via amministrativa, di fatti commessi dall’imputato nell’interesse o, comunque, a vantaggio della società.

Avverso tale pronuncia sia l’imputato, sia la società propongono separati ricorsi per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo, tra i diversi motivi, il primo, l’occasionalità della condotta e l’inoffensività della medesima, la seconda, la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi poiché manifestamente infondati per i motivi di seguito riportati e capitolati per una più agevole lettura.

  1. Il reato presupposto: l’offensività del delitto nell’ambito del sistema della disciplina penale ambientale

Invero, è il caso di ribadirlo, l’articolo 124, d.lgs. 152/06 prevede la necessaria, preventiva autorizzazione per tutti gli scarichi, indicando anche la procedura per il suo rilascio e tale titolo abilitativo, come è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non può essere sostituito da equipollenti, quali (come pure ricordato dal Tribunale) i pareri o nulla osta dei servizi comunali, che rivestono natura meramente interna al provvedimento (Sez. 3, n. 11556 del 6/10/1994, P.M. in proc. Martino, Rv. 200521); l’autorizzazione sanitaria (Sez. 3, n. 2078 del 7/5/1996, Cilento, Rv. 206812, non massimata sul punto e relativa ad attività di caseificio. V. anche Sez. 3, n. 2877 del 21/12/2006 (dep. 2007), Camurati, Rv. 235880).

Come si desume dalla semplice lettura degli artt. 124 e 125 d.lgs. 152/06, il rilascio del titolo abilitativo presuppone una serie di adempimenti. Si pensi, ad esempio, alla necessità dell’indicazione delle caratteristiche, anche tecniche, dello scarico e della sua destinazione finale (art. 125, comma 1); alla possibilità di stabilire prescrizioni e limiti per particolari tipologie di scarico in presenza di determinate condizioni (art. 124, comma 8), ovvero in relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell’ambiente interessato (art. 124, comma 10); alla necessità del versamento della somma di cui al comma undicesimo dell’articolo 124, nonché alle verifiche che caratterizzano lo specifico procedimento amministrativo, sicché non può ritenersi sostituibile da altri atti o provvedimenti rilasciati per finalità diverse ed all’esito di procedure stabilite da altre disposizioni normative. A maggior ragione, non assumono alcuna validità taciti assensi o illegittime prassi eventualmente applicate dalle amministrazioni competenti. Scopo dell’autorizzazione è, infatti, quello di consentire una preventiva verifica della rispondenza di un’attività, potenzialmente pericolosa per l’ambiente, a quanto stabilito dalla legge.

Ne consegue che l’apertura o, comunque, l’effettuazione di uno scarico richiede il preventivo rilascio di una formale, espressa autorizzazione rilasciata dalle competenti autorità sulla base dei criteri e nelle forme indicate dalla legge e non ammette equipollenti.

(…) Anche nel caso dello scarico di reflui il legislatore ha effettuato una prognosi di pericolosità, assoggettando a preventiva autorizzazione, il cui rilascio presuppone la presenza di determinate condizioni, un’attività ritenuta potenzialmente pericolosa per l’integrità dell’ambiente in genere e delle risorse idriche in particolare.

Va aggiunto che la dimostrazione del particolare rilievo attribuito alle esigenze di salvaguardia dell’ambiente e l’interesse del legislatore ad un accurato controllo degli scarichi è data non soltanto dalla complessità del procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del titolo abilitativo, ma anche dalla previsione di una efficacia temporale dello stesso e di un periodico rinnovo (art. 124, comma 8 d.lgs. 152/06).

Deve conseguentemente affermarsi, anche per quanto concerne la disciplina in tema di inquinamento idrico, che la finalità dell’autorizzazione non è soltanto quella di permettere l’apertura e l’effettuazione dello scarico, ma anche di porre l’amministrazione competente nelle condizioni di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per il rilascio del titolo abilitativo ed effettuare ogni successiva attività di controllo e prevenzione, con la conseguenza che l’apertura o l’effettuazione di uno scarico in assenza dell’autorizzazione denota una effettiva offensività della condotta, in quanto determina una evidente lesione dell’interesse protetto dal precetto penale.

Venendo al caso in esame, deve pertanto decisamente escludersi, in linea generale, che la mancanza del titolo possa ricondursi nell’alveo di un mero inadempimento formale.

(…) La questione della offensività della condotta in tali ipotesi è stata da tempo valutata, osservando, con riferimento all’ormai abrogata legge 319/1976, che in tali casi il reato è integrato dal mero sforamento tabellare, in quanto un danno all’ambiente, in tali ipotesi, è presunto per legge, con la conseguenza che non è logicamente possibile – senza scardinare il sistema, aprendolo a possibili gravi oscillazioni operative con diversità di trattamento tra operatori – dedurre la non offensività della trasgressione in concreto basata sulla natura limitata o temporanea della violazione(così Sez. 3, n. 10578 del 1/10/1993, Pizzocaro, Rv. 196448. Ma si vedano anche Sez. 3, n. 4346 del 17/12/2013 (dep.2014), Roda, Rv. 259247 in tema di rifiuti, Sez. 3, n. 44161 del 23/10/2001, Zucchini A, Rv. 220624 in tema di inquinamento atmosferico). Nella fattispecie, peraltro, il giudice del merito ha anche escluso, con incensurabile accertamento in fatto, la dedotta assoluta non prevedibilità del superamento del limite tabellare, osservando come l’impianto non abbattesse e rimuovesse la totalità della parte solida che, nello specifico, era particolarmente elevata, ma che l’inconveniente avrebbe potuto essere eliminato mediante l’applicazione di filtri a carboni attivi”.

  1. Sull’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. al sistema della responsabilità degli enti

Deve dunque essere ribadita l’esclusione di ogni automatismo tra l’eventuale riconoscimento della particolare tenuità del fatto nei confronti dell’autore del reato e l’accertamento della responsabilità dell’ente, la cui autonomia è stabilita dal già citato art. 8 d.lgs. 231/2001, nel quale, come è noto, si afferma che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, nonché quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

Sull’ambito di operatività dell’art. 8 la giurisprudenza di questa Corte si è già pronunciata, affermando che all’assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza di quest’ultimo, non consegue automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente per la sua commissione, poiché tale responsabilità, ai sensi del richiamato articolo, deve essere affermata anche nel caso in cui l’autore del suddetto reato non sia stato identificato (Sez. 5, n. 20060 del 4/4/2013, P.M. in proc. Citibank N.A., Rv. 255414; Sez. 1, n. 35818 del 2/7/2015, Citibank N.A., non massimata), ovvero in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto (Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013 – dep. 17/05/2013, Barla e altri, Rv. 255369. Conf. Sez. 4, n. 22468 del 18/4/2018, Eurocos S.n.c., Rv. 273399), riconoscendo, quindi, la necessità di un accertamento autonomo della responsabilità dell’ente. Le ragioni della autonomia della responsabilità dell’ente rispetto alle vicende che riguardano il reato (la cui commissione la legge comunque presuppone) ed il suo autore persona fisica possono individuarsi, in linea generale, nel fatto che il reato è stato commesso nell’interesse dell’ente o da esso l’ente ha comunque tratto un vantaggio e che, come emerge anche dalla relazione ministeriale al d.lgs. 231/01, il sistema così impostato consente di contenere gli effetti negativi di eventuali accorgimenti adottati da soggetti aventi struttura organizzativa interna complessa tali da rendere difficoltosa, se non impossibile, l’individuazione dell’autore del reato. La disposizione in esame, inoltre, evidenzia dal suo contenuto come si sia considerata l’esistenza di un reato completo di tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi) per il quale l’autore persona fisica non risulti punibile (perché non imputabile o non identificato) ovvero che per varie ragioni si estingua (per una causa diversa dall’amnistia). 

(…) Si tratta, quindi, di un sistema sostanzialmente differente, il quale rispetto alle diverse discipline dell’illecito penale e di quello amministrativo si pone in un rapporto di limitata permeabilità, dipendente dalle sue specifiche caratteristiche. 

(…) Ciò posto, deve osservarsi come la dedotta applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. al caso di specie, oltre che errata, tragga spunto dalla diffusa tendenza a non considerare l’effettivo ambito di operatività della disposizione codicistica che il legislatore ha puntualmente delineato, attraverso una lettura della norma che, privilegiando le finalità deflattive perseguite dal legislatore, ne determina l’applicazione anche al di fuori dei casi consentiti dai precisi limiti imposti.

Invero, la rispondenza ai limiti di pena indicati dalla norma costituisce solo la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilità, essendo infatti richiesti (congiuntamente e non alternativamente, come si ricava dal tenore letterale della disposizione), gli “indici criteri” della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento, il primo dei quali si articola, a sua volta, nei due “indici-requisiti”, della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, apprezzate ai sensi dell’articolo 133 cod. pen. Si tratta, dunque, di una verifica che attiene alla concreta manifestazione del reato anche attraverso la considerazione di aspetti precipuamente soggettivi, quali il comportamento non abituale e le modalità della condotta, con un richiamo espresso ai criteri direttivi di cui all’art. 133, comma 1 cod. pen. che si riferisce, tra l’altro, alle modalità dell’azione ed alla intensità del dolo ed al grado della colpa.

Considerando quindi i criteri così individuati per l’applicazione dell’art. 131- bis cod. pen. con riferimento allo specifico sistema delineato dal d.lgs. 231/01 per la responsabilità degli enti, deve escludersi la possibilità di applicare la causa di non punibilità. Conclusivamente, la eventuale declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto nei confronti dell’autore del reato presupposto non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente, né ad esso può applicarsi la predetta causa di non punibilità”.

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Riferimenti normativi

Art. 131-bis c.p.Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto

Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di responsabilità amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001:

Cassazione penale, sez. VI, 25/07/2017, n. 49056.

La natura unipersonale della Srl non salva dall’applicazione della norma sulla responsabilità da reato dell’ente. Lo afferma la Cassazione chiarendo che il Dlgs 231/2001 si applica anche in tal caso, in quanto la società, anche se unipersonale, è soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote. Per la Corte, una lettura corretta delle disposizioni in materia di responsabilità delle imprese, impone, infatti, di escludere che il legislatore abbia scelto un criterio di imputazione di “rimbalzo” dell’ente rispetto alla persona fisica.

 Cassazione penale, sez. VI, 22/06/2017, n. 41768.

L’illecito amministrativo non si estingue quando il reato presupposto si è prescritto dopo la contestazione dell’addebito all’ente. L’estinzione del reato infatti non impedisce al Pm di proseguire l’azione se il procedimento nei riguardi dell’ente fosse già stato incardinato (articolo 16, del Cpp; articoli 11 e 36, del Dlgs 231/2001).

Cassazione penale, sez. VI, 12/02/2016, n. 11442.

In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

 Cassazione penale, sez. VI, 09/02/2016, n. 12653.

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).

Cassazione penale, sez. VI, 10/11/2015, n. 28299.

In tema di responsabilità da reato degli enti, nella ipotesi di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto, può essere affermata la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n.231 del 2001, solo quando sia, comunque, individuabile a quale categoria, tra quelle indicate, agli artt. 6 e 7 del medesimo decreto, appartenga l’autore del fatto, e sia, altresì, possibile escludere che questi abbia agito nel suo esclusivo interesse.

Cassazione penale, sez. VI, 23/07/2012, n. 30085.

La normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.

Cassazione penale, sez. V, 26/09/2012, n. 44824.

Il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo e quindi non determina l’estinzione della sanzione amministrativa prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.

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