Il curatore fallimentare è legittimato ad impugnare il provvedimento che dispone il sequestro preventivo dei beni della società fallita per i reati tributari commessi dall’amministratore prima del fallimento.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 17749/2019, depositata il 29 aprile 2019, resa dalla III sezione penale in materia di diritto penale fallimentare.

Nel caso di specie la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sulla controversa questione della ammissibilità della richiesta di riesame presentata dal curatore fallimentare contro il provvedimento di sequestro preventivo eseguito sui beni della società fallita.

La Corte di legittimità, dando prevalenza e nuovo lustro ad un recente orientamento giurisprudenziale, ha ritenuto sussistente l’interesse del curatore ad impugnare il provvedimento cautelare in ragione della necessità di riconoscere tutela, anche in sede penale, all’interesse dei creditori alla salvaguardia della massa patrimoniale del fallito omologamente a quanto avviene per i rimedi civilistici previsti dall’ordinamento.

Il giudizio cautelare reale.

Il Tribunale di Napoli, in qualità di giudice del Riesame, dichiarava inammissibile, per carenza di legittimazione attiva del ricorrente, l’impugnazione proposta dal curatore fallimentare di una società commerciale avverso il provvedimento del G.i.p. reso nell’ambito di un procedimento per reati tributari commessi dall’amministratore anteriormente alla dichiarazione di fallimento  con il quale era stato disposto il sequestro preventivo dei beni acquisiti all’attivo  della procedura concorsuale.

Il Collegio della cautela, richiamato un diffuso orientamento giurisprudenziale, rilevava come il curatore non fosse portatore di alcuna posizione soggettiva relativa ai beni del fallimento, quindi egli non sarebbe stato legittimato ad impugnare il provvedimento con il quale veniva disposto il sequestro di essi.

Interponeva ricorso per cassazione il curatore del fallimento della società incisa dal provvedimento cautelare, osservando, in sintesi, che ragionando in senso conforme a quanto stabilito dal riesame, le ragioni del fallimento, nel caso in questione dichiarato in epoca anteriore alla adozione della misura cautelare reale ora in esame, non avrebbero alcuna giudiziaria in sede penale.

 

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Di seguito si riportano i passaggi del compendio motivazionale di interesse per gli operatori di diritto che si occupano della materia: “ Il tema oggetto dell’impugnazione e che, in sostanza esaurisce il contenuto del ricorso presentato dal fallimento della Casa di cura (omissis) Spa, è se il curatore del fallimento sia legittimato o meno ad agire onde censurare di fronte al Tribunale del riesame il provvedimento con il quale, nel corso di indagini svolte a carico del già legale rappresentante della società fallita per illeciti commessi nell’interesse di questa, sia stato disposto il sequestro preventivo dei beni del fallimento stesso. 

Osserva il Collegio che, a fronte di un orientamento oramai fermamente orientato nel senso della carenza di legittimazione ad agire in capo al curatore del fallimento in una siffatta ipotesi  (…) si è, di recente, aperta una breccia – peraltro formatasi in una preesistente e risalente fessura della giurisprudenza (cfr. Corte di cassazione, Sezione V penale, 5 dicembre 2013, n. 48804, ove si legge che il curatore del fallimento è legittimato, quale terzo di buona fede, a proporre la istanza di revoca del sequestro preventivo disposto ai fini della confisca per equivalente nei confronti di una società fallita, considerato che il curatore non fa uso dei beni illeciti esistenti nell’attivo fallimentare ma è viceversa incaricato dell’amministrazione di detto attivo e dei beni che ne fanno parte nell’esclusivo interesse dei creditori ammessi alla procedura concorsuale, i quali, d’altro canto, in virtù di detta ammissione, sono portatori di diritti alla conservazione dell’attivo, nella prospettiva della migliore soddisfazione dei loro crediti che, pur convivendo fino alla vendita fallimentare con i diritti di spettanza del fallito e con il vincolo destinato alla realizzazione della par condicio credito rum, trovano riconoscimento e tutela nel corso della procedura attraverso l’azione del curatore; e si veda, altresì, la stessa, sia pur successivamente nei fatti superata, sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 9 luglio 2004, n. 29951) – attraverso la quale ha marciato il diverso indirizzo in attuazione del quale, in esito ad una articolata disamina sia della giurisprudenza formatasi in argomento, che della normativa con la quale, in particolare, sono disciplinati i numerosi munera ad officium spettanti al curatore fallimentare, con particolare riferimento ai poteri che egli ha in ordine alla gestione, e pertanto, anche alla conservazione della massa fallimentare nell’interesse della procedura e, in definitiva, del cosiddetto “ceto creditorio”, si è concluso nel senso che, invece, compete anche (unitamente o disgiuntamente, a secondo dei casi, all’indagato ovvero a quello che era il legale rappresentante della società fallita) al curatore fallimentare la legittimazione ad impugnare il provvedimento con il quale è stato disposto il sequestro preventivo dei beni del fallimento, tanto più ove tale evento si sia verificato successivamente alla dichiarazione di fallimento (Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 luglio 2017, n. 37439).

Ritiene il Collegio di dovere aderire, peraltro in adesione ad altre successive sentenze di questa stessa Sezione (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale 10 ottobre 2018, n. 45574; idem Sezione III penale, 10 ottobre 2018, n. 45578), a siffatto secondo orientamento in quanto lo stesso appare decisamente più sensibile alle esigenze di tutela della massa fallimentare, la cui salvaguardia, ove si optasse per il primo orientamento, potrebbe essere rimessa alla non certa volontà ora dell’indagato ora, laddove si tratti di persona diversa, di colui che era il legale rappresentante della società fallita (il cui interesse alla conservazione della integrità della massa fallimentare è, tuttavia, assai meno pressante di quello riscontrabile in capo al soggetto incaricato di gestirla e di portarla, nella misura più ricca possibile, al soddisfacimento, all’esito della procedura concorsuale, delle istanze restitutorie del “ceto creditorio”) anche nel caso in cui il provvedimento cautelare reale fosse stato, in ipotesi, emesso in assenza delle condizioni, delle forme e nella misura che lo avrebbero potuto giustificare e, pertanto, anche nel caso in cui lo stesso fosse del tutto illegittimo.

In altre parole, si vuole intendere che seguendo l’orientamento che, per semplicità, si può definire tradizionale, le ragioni della massa fallimentare in ipotesi di sequestro preventivo emesso contra legem sarebbero, in sostanza prive di tutela posto che non sarebbe ravvisabile, o quanto meno sarebbe non chiaramente ravvisabile, un reale interesse nei soggetti ritenuti, secondo il predetto orientamento, legittimati ad impugnare la misura, considerato che costoro non si gioverebbero, o comunque sui gioverebbero solo in via subordinata rispetto al fallimento, dell’eventuale accoglimento della loro richiesta impugnatoria.

Appare, peraltro, distonico con il sistema della tutela degli interessi della massa fallimentare rilevare che al curatore del fallimento spetta, indubbiamente, la legittimazione in ordine alla tutela degli interessi patrimoniali del fallimento se esercitati in sede civile, mentre analoga tutela non gli spetterebbe se esercitata in sede penale”.

*****

Quadro giurisprudenziale di riferimento sul tema della ammissibilità dell’impugnazione cautelare proposta dal curatore fallimentare:

 

Cassazione penale , sez. III , 06/06/2018 , n. 45578 (non massimata).

…In un caso come quello in esame il curatore del fallimento è l’unico soggetto che ha diritto alla restituzione dei beni: non può ipotizzarsi la restituzione degli immobili al fallito il quale, per effetto della L. Fall., art. 42, non ha più l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, sia quelli esistenti alla data di dichiarazione di fallimento che quelli che pervengono al fallito durante il fallimento.

Invece, l’interesse alla restituzione deriva dai poteri di amministrazione dei beni che la L. Fall., artt. 31 e 88 attribuiscono al curatore del fallimento (l’art. 31 recita: “Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite”).

 

Cassazione penale , sez. III , 29/05/2018 , n. 45574

In tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’ art. 12-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento.

 

Cassazione penale , sez. III , 12/07/2016 , n. 42469

Il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, emesso anteriormente alla dichiarazione di fallimento di un’impresa in quanto non è titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni. (In motivazione la Corte ha precisato che la legittimazione per impugnare consegue alla effettiva disponibilità del bene e che, invece, la dichiarazione di fallimento successiva al sequestro non conferisce alla procedura la disponibilità dei beni del fallito in considerazione del fatto che, da un lato, questi ne conserva il diritto di proprietà e, dall’altro, che il pregresso vincolo penale assorbe ogni potere fattuale su tali beni, escludendo ogni disponibilità diversa sugli stessi).

Cassazione penale sez. un., 25/09/2014, n.11170

Il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro adottato ai sensi dell’art. 19 d.lg. n. 231 del 2001; la verifica delle ragioni dei terzi al fine di accertarne la buona fede spetta al giudice penale e non al giudice fallimentare.

 

Cassazione penale sez. V, 09/10/2013, n.48804

In materia di responsabilità amministrativa degli enti, ai fini la confisca prevista dall’art. 19 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, non può essere ritenuto “terzo” chi utilizzi il profitto del reato, ma non può essere definito tale il curatore del fallimento dell’impresa, nella disponibilità della quale siano confluiti i proventi di un’attività criminosa, perché non si può sostenere che il curatore faccia uso dei beni esistenti nell’attivo fallimentare, essendo egli, viceversa, incaricato dell’amministrazione di tale attivo, e dei beni che ne fanno parte, nell’esclusivo interesse dei creditori ammessi alla procedura concorsuale. Pertanto, ove al curatore non fosse riconosciuta la possibilità di intervenire giudizialmente, nella procedura relativa alla confisca dei beni, a sostegno dei diritti vantati dai creditori sull’attivo fallimentare, gli stessi sarebbero irragionevolmente esclusi dalla tutela accordata in generale dal citato art. 19 ai diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Del resto, la stessa confiscabilità del profitto del reato incontra, nella previsione dell’art. 19, il limite costituito dalla possibilità di restituire al soggetto danneggiato parte del profitto stesso, pertanto non assoggettabile alla confisca. Ne deriva che il curatore deve essere ritenuto rappresentante di interessi qualificabili come diritti di terzi in buona fede sui beni oggetto di confisca, onde la sua posizione deve essere valutata dal giudice nella prospettiva della prevalenza o no, rispetto agli stessi, delle esigenze cautelari sottese alla confisca.

Cassazione penale , sez. III , 28/09/2011 , n. 448

Non sussiste l’interesse a ricorrere del curatore fallimentare contro il provvedimento del Tribunale del riesame con cui sia stato confermato il rigetto dell’istanza di restituzione di somme, oggetto di un sequestro funzionale alla confisca per equivalente relativo a somme di denaro appartenenti a società dichiarate fallite, provento di reati tributari, ma percepite prima dell’entrata in vigore della l. n. 244 del 2007. (In motivazione la Corte ha precisato che l’interesse a ricorrere non sussiste nemmeno nel caso in cui il sequestro abbia ad oggetto beni per un valore eccedente l’effettivo profitto del reato).

Cassazione penale , sez. un. , 24/05/2004 , n. 29951

Il curatore del fallimento, nell’espletamento dei compiti di amministrazione del patrimonio fallimentare, ha facoltà di proporre sia l’istanza di riesame del provvedimento di sequestro preventivo, sia quella di revoca della misura, ai sensi dell’art. 322 c.p.p., nonché di ricorrere per cassazione ai sensi dell’art. 325 stesso codice avverso le relative ordinanze emesse dal tribunale del riesame. (In motivazione la Corte ha precisato che in questi casi il curatore agisce, previa autorizzazione del giudice delegato, per la rimozione di un atto pregiudizievole ai fini della reintegrazione del patrimonio, attendendo alla sua funzione istituzionale rivolta alla ricostruzione dell’attivo fallimentare).

Cassazione penale , sez. VI , 14/10/1997 , n. 3928

L’interesse a ricorrere avverso il provvedimento del tribunale del riesame che confermi la misura interdittiva della sospensione dall’ufficio di curatore fallimentare deve ritenersi attuale, anche oltre la perdita di efficacia del provvedimento, allorché il ricorso in cassazione venga in decisione dopo lo spirare del termine di durata disposto dalla legge per la misura interdittiva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA.