MANCATO VERSAMENTO DELL’IMPOSTA DI SOGGIORNO RISCOSSA DAI CLIENTI: RISPONDE DI PECULATO L’ALBERGATORE ANCHE SE VERSA IN STATO DI CRISI FINANZIARIA.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.19925/2019, depositata il 09.05.2019, con la quale la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema del mancato versamento dell’imposta di soggiorno nelle casse comunali esatta dai clienti, riconoscendo nell’albergatore la qualità di incaricato di pubblico servizio e di agente contabile.

Il doppio grado di merito.

Il caso scrutinato dai Giudizi di Piazza Cavour riguarda un albergatore riconosciuto responsabile di peculato nel doppio grado di merito, cui la Procura di Milano aveva contestato di aver omesso di riversare al Comune della città le somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno dai clienti della struttura alberghiera nel primo semestre dell’anno 2013.

Il ricorso per cassazione.

I motivi di doglianza articolati nel ricorso interposto contro la decisione della Corte territoriale sono i seguenti:

  1. Violazione di legge in riferimento all’art 54 c.p. avendo la Corte di appello escluso la applicabilità della scriminante dello “stato di necessità” in cui versava la società a causa della crisi finanziaria;
  1. Violazione di legge ricadente sulla qualifica di incaricato di pubblico servizio ascritta all’esercente attività alberghiera che riscuote l’imposta di soggiorno;

Il giudizio di legittimità ed i principi di diritto.

Il Collegio di legittimità di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale di maggiore interesse per gli operatori di diritto:

  1. 1. Errata esclusione della scriminante dell’art 54 c.p. per l’imputata legale rappresentante della società in stato di fallimento

La Corte d’appello ha ritenuto che tale esimente postuli il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, così che essa non può applicarsi ai reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora a questo possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti (Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016, Rv. 267640; in termini, pure Sez. 5, n. 3967 del 13/07/2015, Rv. 265888, che ha escluso detta causa di giustificazione finanche in presenza di una situazione di indigenza, sul presupposto che alle esigenze delle persone che versino in tale stato sia possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale, con conseguente difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo).

“(…) E’ indiscusso, infatti, che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sia integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007, Rv. 237827). E può essere altresì utile rammentare – in una visione sistematica dell’ordinamento penale – come, nel tracciare la linea di demarcazione tra “stato di necessità”, inteso come «quello tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta», e “stato di bisogno”, rilevante in tema di usura e rappresentato da «un impellente assillo, che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie», questa Corte abbia ricondotto a tal ultima situazione, e non alla prima, le difficoltà economiche connesse alla attività professionale o imprenditoriale (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, Rv. 266162). ”

  1. Erronea qualifica di incaricato di pubblico servizio all’esercente attività alberghiera, in relazione alla riscossione dell’imposta di soggiorno

“La relativa quaestio iuris è stata già esaminata da questa Corte, che, all’esito di una compiuta ricostruzione della relativa disciplina, anche di tipo regolamentare, ha ritenuto sussistente la qualità di incaricato di pubblico servizio del gestore di struttura ricettiva residenziale, che, anche in assenza di un preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, procede alla riscossione dell’imposta di soggiorno per conto dell’ente comunale, trattandosi di agente contabile, e non di un sostituto di imposta, il quale svolge un’attività ausiliaria nei confronti dell’ente impositore ed oggettivamente strumentale all’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente esclusivamente tra il Comune ed il soggetto che alloggia nella struttura ricettiva. Il denaro – ha spiegato la Corte – entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso dell’incasso dell’imposta di soggiorno, cosicché ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale sono state versate e ricevute, integra la condotta appropriativa di cui all’art. 314, cod. pen. (Sez. 6, n. 32058 del 17/05/2018, Rv. 273446; recentemente ribadita da Sez. 6, 13/11/2018, Fiorio, non massimata).”

“(…)Ed anche quest’ultima (Sezioni riunite in sede giurisdizionale, sent. n. 22 del 22/09/2016) ha avuto modo di precisare che, nella struttura dell’imposta di soggiorno, il rapporto tributario intercorre esclusivamente tra il comune (soggetto attivo) e colui che alloggia nella struttura ricettiva (soggetto passivo), mentre il gestore di quest’ultima ha il solo obbligo di incassare l’imposta per versarla al comune e, pertanto, assume la funzione di agente contabile del comune ed è tenuto alla resa del conto giudiziale.

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Riferimenti normativi relativi al peculato posto in essere dall’esercente attività alberghiera.

Art 314 c.p., reato di peculato.

  1. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità  di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro  a dieci anni e sei mesi. 
  2. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.

Art 54 c.p., condizione scriminante “lo stato di necessità”.

  1. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attualedi un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
  2. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
  3. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di omesso versamento dell’imposta di soggiorno:

 

Cassazione penale sez. VI, 19/07/2018, n.10890.

Il mancato versamento della somme riscosse non indica un mero omesso versamento delle imposte di soggiorno, atteso che il principio di specialità non trova applicazione in un caso, quale quello in esame, poichè la condotta dell’imputato non è quella del semplice omesso versamento, bensì quella più grave, come contestata, di appropriazione delle relative somme che vengono versate nella mani del soggetto deputato alla riscossione, trattandosi di denaro introitato e non di mera condotta passiva di semplice mancato versamento di quanto dovuto all’Erario. Invero, la condotta di omesso o ritardato pagamento delle somme riscosse quale tassa di soggiorno, configura un’indebita appropriazione di denaro pubblico del quale non si può disporre avendo una destinazione vincolata.

Cassazione penale sez. VI, 17/05/2018, n.32058.

L’albergatore che incassa l’imposta di soggiorno assume la veste di incaricato di pubblico servizio come agente contabile nei confronti del comune e, pertanto, commette il reato di peculato ove ometta di versare le somme ricevute nell’adempimento di tale funzione pubblica, atteso che quel denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso della consegna all’incaricato dell’esazione e a esso non può essere data alcuna diversa destinazione.

Cassazione penale sez. III, 10/04/2017, n.43811.

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.

Cassazione penale sez. V, 13/07/2015, n.3967.

La situazione di indigenza non è di per sè idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale. (Fattispecie in tema di furto con strappo di cui all’art. 624 bis cod. pen.).

Cassazione penale sez. III, 25/09/2007, n.38269.

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. con modifiche in l. 11 novembre 1983, n. 638), è configurabile anche nel caso in cui si accerti l’esistenza del successivo stato di insolvenza dell’imprenditore, in quanto è onere di quest’ultimo ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere all’obbligo del versamento delle ritenute, anche se ciò possa riflettersi sull’integrale pagamento delle retribuzioni medesime.

Ufficio Indagini preliminari Firenze, 02/02/2016, n.241.

L’attività di riscossione dell’imposta costituisce senza dubbio un’attività amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, di guisa che l’incasso ed il successivo versamento della stessa non si esauriscono di certo in attività meramente materiale, implicando, quantomeno, un’attività di attestazione del verificarsi del presupposto dell’imposta, di concreto esercizio della pretesa di pagamento ed ancora dell’attestazione dell’avvenuto versamento (e dunque riscossione) o non versamento (e dunque non riscossione) della medesima. In tal senso, e dunque per la configurabilità del reato di peculato, sembra essersi orientata la giurisprudenza di legittimità della Suprema Corte in relazione a casi analoghi a quello per cui si procede: così, ad esempio, la Sezione VI, con la sentenza n. 20132 dell’11.3.15, ha riconosciuto la sussistenza del peculato nei confronti del notaio che si appropria di somme ricevute dai clienti per il pagamento dell’imposta di registro riguardante atti di compravendita immobiliare da lui rogati. Ed ancora, la dottrina ha chiarito come l’albergatore debba essere considerato, riguardo alla riscossione dell’imposta di soggiorno, un agente della riscossione e non un sostituto d’imposta né un responsabile d’imposta. Da quanto precede deriva che in caso di mancato versamento dell’imposta riscossa, egli debba rispondere di peculato.

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