Risponde penalmente il commercialista che certifica ed invia all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di conformità non rispondente alle risultanze contabili.
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n.19672/2019, con la quale la Suprema Corte ha affermato il principio della punibilità del professionista, che appone il “visto leggero”, attestando e trasmettendo all’Agenzia delle Entrate operazioni contabili non corrispondenti al vero.
Il caso oggetto della pronuncia ed il giudizio cautelare di merito.
Il Tribunale della Libertà di Macerata, in parziale accoglimento dell’istanza di Riesame presentata dall’indiziato di reato, annullava il sequestro preventivo limitatamente all’importo di € 111.462,00, confermando nel resto il provvedimento ablatorio impugnato.
L’incolpazione provvisoria elevata nei confronti dell’indagato, si fondava sulla partecipazione dello stesso, quale commercialista, alla commissione di diversi reati tributari fra cui quello p. e p. dall’art. 3 d.lgs74/2000, consumata con l’apposizione alle dichiarazioni presentate dal professionista all’Agenzia delle Entrate del cosiddetto visto leggero, con danno per l’Agenzia delle Entrate consistito nella mancata riscossione delle imposte dovuta da diverse società di capitali beneficiarie della compensazione con ingenti crediti (inesistenti) dei quali la Guardia di Finanza aveva accertato la natura fittizia.
Il ricorso per cassazione.
Contro l’ordinanza del Collegio cautelare di Maceratainterponeva ricorso per cassazione il giudicabile articolando plurimi motivi di censura.
Il giudizio di legittimità ed i principi di diritto.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza di maggiore interesse per gli operatori di diritto:
- 1. Sul concorso nel reato del commercialista:
“Osservano come il coinvolgimento nei fatti contestati nel capo 6) dell’imputazione emerge pacificamente avendo l’(omissis), quale professionista incaricato dalla(omissis), concorso nel reato tributario apponendo il visto di conformità e provvedendo alla presentazione telematica della dichiarazione. In particolare, per migliore intelligibilità, si riportano le argomentazioni dei giudici del riesame, i quali hanno evidenziato: a) che all’ esito del controllo fiscale effettuato dalla G.d.F. di Macerata veniva segnalato un sistema di frode fiscale con traffico di passaggi di proprietà di società, alle quali venivano conferite variazioni in aumento del volume d’affari in esenzione iva, conseguendo un ingente credito IVA; quest’ultimo veniva poi cartolarizzato attraverso l’accollo o cessione a soggetti terzi, per consentire a questi di compensare i debiti tributari con il credito IVA; b) nell’analizzare le doglianze della difesa del ricorrente, in primo luogo, quanto al fumus, il tribunale osservava come dovevano essere tenute presenti le concrete risultanze processuali e l’effettiva situazione emergente e non solo l’astratta configurabilità del reato; c) ha evidenziato ancora il tribunale che al (omissis) non era stato addebitato il delitto associativo, ma solamente il reato di cui all’articolo 3 e, infatti, quanto alla dichiarazione IVA dell’anno d’imposta 2015 egli aveva apposto il visto di conformità, identificando i crediti in € 147.776,00, con imposta evasa di pari ammontare in quanto totalmente inesistenti; d) ha rilevato ancora il giudice del riesame che tale visto è prodromico sia all’accollo del debito tributario da parte di terzi che alla cessione del credito, e questi si risolvono in una compensazione del credito IVA; il visto pertanto ha ostacolato l’accertamento e ha indotto in errore l’amministrazione finanziaria, in quanto esso presuppone la verifica della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili e l’attestazione della congruità dei ricavi o dei compensi dichiarati rispetto a quelli determinabili in base agli studi di settore; inoltre, i commercialisti trasmettono per via telematica all’Agenzia delle entrate tali dichiarazioni entro i termini previsti, incorrendo in caso contrario alle sanzioni previste dall’articolo 7 bis del d.lgs. 241 1997; e) quanto all’elemento soggettivo, il tribunale ha osservato che la valutazione relativa alla sua presenza in capo all’agente, in considerazione della natura sommaria della cognizione del giudice della cautela, va limitata ai soli casi in cui esso appaia assente ictu oculi, circostanza che certamente non è riscontrabile per il tribunale nel caso di specie, essendo il (omissis) il commercialista della società ed avendo apposto il visto di conformità, nonostante avesse il compito di verificare la rispondenza al vero delle dichiarazioni; f) infine, quanto alle esigenze cautelari, il tribunale conferma che il Gip ha motivato con riferimento alla misura cautelare personale degli arresti domiciliari applicata ai coindagati, ma non all’(omissis).”
2.La consumazione del reato del commercialista sussistente per l’apposizione del visto di conformità:
“Con particolare riferimento alla capziosa questione proposta dal ricorrente, già correttamente risolta dal giudice del riesame, fondata sulla differenziazione tra visto pesante e visto leggero, asserendo che il (omissis) avrebbe apposto solo quest’ultimo, è sufficiente in diritto ricordare che, nel caso di specie, indubbio il superamento delle soglie quantitative e qualitative per la configurazione della responsabilità penale, ai fini della verifica della sussistenza della penale responsabilità in capo al professionista secondo la contestazione mossa, occorre considerare lo strumento del visto di conformità. Quest’ultimo, introdotto dal D.Igs. n. 241 del 1997 (art. 35), si declina in visto “leggero” (previsto e disciplinato dall’art. 35) e “visto pesante” (o certificazione tributaria, ulteriore tipologia di controllo prevista invece dall’art. 36). Il primo rappresenta uno dei livelli di controllo attribuito dal legislatore a soggetti estranei all’Amministrazione finanziaria sulla corretta applicazione delle norme tributarie, in particolare a professionisti abilitati iscritti negli appositi Albi. Con la sua apposizione i professionisti attestano la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della documentazione e alle norme che disciplinano la deducibilità e detraibilità degli oneri, i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. Tali controlli hanno lo scopo di evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione di imponibili, imposte e ritenute e nel riporto di eccedenze derivanti da precedenti dichiarazioni.”
“(…) Il visto pesante, invece, ha per oggetto la certificazione tributaria che permette il controllo sostanziale sulla corretta applicazione delle norme tributarie che interessano la determinazione, la quantificazione ed il versamento dell’imposta. Questo può essere rilasciato dai revisori contabili, iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro con particolari competenze lavorative. Il giudizio è pertanto professionale e il professionista abilitato può rilasciare la relativa certificazione richiesta solo qualora sussista la ragionevole convinzione della corretta osservanza della normativa applicabile. Pertanto, la certificazione tributaria, a differenza del visto leggero, ha carattere facoltativo. Quanto sopra dunque dimostra che anche nel caso del visto “leggero” il professionista è tenuto a riscontrare la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze della relativa documentazione e la conformità alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti di imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. Quanto alla responsabilità penale, il professionista, reo del rilascio di un mendace visto di conformità leggero o pesante ovvero di un’infedele asseverazione dei dati, ai fini degli studi di settore risulta esposto anche a sanzioni penali in ragione dell’espressa previsione di cui all’art. 39 del D.Igs. n. 241/1997 e del meccanismo del concorso nel reato di cui all’art. 110 c.p., non trovando dunque applicazione il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., incorrendo peraltro nel reato di cui all’articolo 3 D.Igs. 10.03.2000 n. 74, dal momento che l’apposizione di un visto mendace costituisce un mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indicando in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi.”
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Quadro normativo di riferimento:
Art 3, D.lgs 74/2000: Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.
- Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:
- a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
- b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.
- Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
- Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Corte Costituzionale, 18/04/2019, n.95
La mancata previsione di una soglia penalmente rilevante nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di falsi documenti fiscali, a differenza dell’altro reato di dichiarazione fraudolenta con altri artifici, non viola il principio costituzionale di uguaglianza e ragionevolezza, in quanto la particolare capacità probatoria delle fatture e dei documenti analoghi legittima una differente disciplina. A fornire questa interpretazione è la Corte costituzionale che salva così l’articolo 2 del Dlgs 74/2000 da presunte illegittimità per disparità di trattamento con il reato previsto dall’articolo 3 del medesimo decreto. Per la Consulta si tratta di una strategia legislativa che non può ritenersi manifestamente irragionevole o arbitraria, tenuto conto del particolare ruolo che la fattura assolve sul piano probatorio e della conseguente capacità di sviamento dell’attività accertativa degli uffici che comporta questa violazione.
Cassazione penale sez. III, 28/03/2018, n.46716
In tema di sequestro preventivo, volto alla confisca per equivalente, di beni immobili, è illegittima l’estensione del vincolo cautelare ai frutti della cosa sequestrata ove il valore di mercato della stessa copra l’importo fissato nel provvedimento di sequestro.
Cassazione penale sez. fer., 31/08/2017, n.47603
Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, poiché la “ratio” del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.
Cassazione penale sez. III, 11/04/2017, n.38185
In tema di reati finanziari e tributari, anche seguito della novella apportata dal d.lg. n. 158 del 2015, che ha aggiunto la lett. g-bis) all’art. 1d.lg. n. 74 del 2000, la condotta di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non è assorbita in quella di compimento di operazioni simulate soggettivamente, in quanto in base alla immutata definizione contenuta nella lett. a) dello stesso art. 1 d.lg. n. 74 del 2000, sono fatture per operazioni inesistenti anche quelle che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi; ne consegue che il discrimine tra i reati previsti, rispettivamente, dagli art. 2 e 3 d.lg. n. 74 del 2000 non è dato dalla natura dell’operazione ma dal modo in cui essa è documentata.
Cassazione penale , sez. II , 18/10/2016 , n. 1673
Il reato di cui all’art. 3 d.lg. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) è configurabile anche con riferimento alla dichiarazione che, nel caso di società ammesse alla tassazione di gruppo ai sensi dell’art. 117 t.u. delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, venga presentata dalla società controllante ai sensi dell’art. 122 del medesimo d.P.R., ed è soltanto con riguardo alla detta dichiarazione che va verificato il superamento o meno della duplice soglia di rilevanza penale prevista dalla norma incriminatrice, nulla rilevando, quindi, l’eventualità che taluna delle dichiarazioni trasmesse dalle controllate alla controllante e da questa utilizzate per la formazione della dichiarazione del reddito consolidato di gruppo dia luogo al superamento di detta soglia, quando questo risulti neutralizzato per effetto delle perdite subite da altre controllate.
Cassazione penale , sez. II , 18/10/2016 , n. 1673
Il reato di cui all’art. 3 d.lg. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) è configurabile anche con riferimento alla dichiarazione che, nel caso di società ammesse alla tassazione di gruppo ai sensi dell’art. 117 t.u. delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, venga presentata dalla società controllante ai sensi dell’art. 122 del medesimo d.P.R., ed è soltanto con riguardo alla detta dichiarazione che va verificato il superamento o meno della duplice soglia di rilevanza penale prevista dalla norma incriminatrice, nulla rilevando, quindi, l’eventualità che taluna delle dichiarazioni trasmesse dalle controllate alla controllante e da questa utilizzate per la formazione della dichiarazione del reddito consolidato di gruppo dia luogo al superamento di detta soglia, quando questo risulti neutralizzato per effetto delle perdite subite da altre controllate.
Cassazione penale , sez. III , 20/05/2014 , n. 52752
In tema di reati tributari, i delitti di dichiarazione fraudolenta previsti dagli art. 2 e 3, d.lg. n. 74 del 2000, si consumano nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromici tenuti dall’agente, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi ovvero di false rappresentazioni con l’uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, per verificare se a seguito dell’annotazione contabile del fittizio acquisto di un immobile tali elementi fossero poi confluiti nella dichiarazione dei redditi).
Cassazione penale , sez. III , 21/02/2013 , n. 32091
L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, sussiste se l’impresa abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi.
Cassazione penale , sez. III , 22/11/2012 , n. 2292
Affinché possa configurarsi il reato di dichiarazion efraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 del d.lg. n, 74 del 2000, di connotazione residuale rispetto alla fattispecie dell’art.2, è necessario che ricorrano essenzialmente, a fronte del chiaro dettato normativo, i requisiti della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, dell’impiego di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e, infine, a completamento della condotta, della presentazione di una dichiarazione falsa.
Cassazione penale , sez. III , 02/12/2011 , n. 1200
Integra il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3, D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) qualsiasi comportamento del contribuente, maliziosamente teso all’evasione delle imposte ed accompagnato da una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie. (Nella specie l’imputato, dopo aver costituito una società in accomandita semplice unitamente ad un correo, aveva conferito a quest’ultima un ramo di azienda della ditta di cui era titolare del valore di 2000 euro, avente però ad oggetto lavori relativi ad un contratto di appalto di oltre 9 mln. di euro, di cui più di 6 mln. spettanti alla ditta individuale, omettendo di indicare nella dichiarazione fiscale quest’ultima somma nonché il reddito di oltre 3 mln. di euro, pari alla differenza tra costi e ricavi, e provvedendo a sciogliere la società dopo soli otto mesi dalla sua costituzione).
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