Reati fiscali, sanzioni tributarie e ne bis in idem: per la Cassazione è legittima la condanna del legale rappresentante della società alla quale sia stata già comminata la sanzione fiscale.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 22033/2019 – depositata il 20/05/2019, trasmessa all’ufficio del Massimario per l’importanza della questione trattata, che ha affermato il principio di diritto della mancata violazione del principio del ne bis in idem quando uno stesso illecito tributario abbia determinato la condanna in sede penale del legale rappresentante di una società già destinataria di comminatorie in sede tributaria.
Il caso oggetto della pronuncia e il giudizio di merito.
La Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Pistoia, con la quale l’imputato, nella qualità di legale rappresentante di una società di capitali, era stato riconosciuto responsabile dei reati a lui scritti per plurime violazioni del d.lgs 74/2000 e, per l’effetto, condannato alla pena detentiva ritenuta di giustizia.
Il ricorso per cassazione.
Il giudicabile interponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte territoriale, denunciando la violazione dell’art 649 c.p.p. e relativo vizio motivazionale della sentenza impugnata nella parte in cui non aveva riconosciuto l’invocata violazione del principio del ne bis in idem ancorché per lo stesso fatto fosse stata irrogata sia una sanzione patrimoniale (in danno della persona giuridica), sia una sanzione penale (per l’amministratore tratto a giudizio).
Il giudizio di legittimità ed i principi di diritto.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento di maggiore interesse per gli operatori di diritto che si occupano della materia penale tributaria:
- Assenza del presupposto della stretta connessione tra il procedimento tributario e quello penale.
“Così individuato il perimetro interpretativo della questione in esame, osserva allora il Collegio che la sentenza impugnata (pur precedente alla richiamata pronuncia della Corte costituzionale) ne ha fatto buon governo, con più che adeguate considerazioni, sì da non poter esser censurata.
Ed invero, pur avendo premesso – argomento all’evidenza insufficiente – che il bis in idem doveva esser negato in ragione del carattere esclusivamente patrimoniale della sanzione applicata in sede tributaria ai sensi del d. Igs. n. 471 del 1997, rispetto a quello detentivo irrogato nel processo penale, ha comunque precisato che, nel caso in esame, non era in discussione “una connessione sufficientemente stretta sul piano sostanziale e temporale” dei due procedimenti, “in modo da determinarne l’unificazione o, in caso di loro svolgimento parallelo, comunque l’assicurazione di una duplice connessione cronologico-sostanziale, che, evitando per quanto possibile duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove, sia sufficientemente stringente da consentire una risposta sanzionatoria complessivamente proporzionata e prevedibile, in modo che la sanzione irrogata per seconda tenga conto di quella irrogata per prima.
Sì da ammettere, dunque, il denunciato secondo giudizio; e senza che si possa accedere, in termini contrari, alla diversa prospettazione offerta sul punto nel ricorso (in ordine al legame temporale tra i procedimenti), perché legata a criteri di merito non valutabili in questa sede. “
“(…)La Corte di appello ha infine sottolineato – con portata tranchante – che la questione del bis in idem non poteva comunque trovare accoglimento nel caso di specie in ragione di una circostanza oggettiva, ossia che la sanzione tributaria era stata irrogata ad un soggetto (la società xxx s.r.I.) diverso da quello colpito dalla sanzione penale (omissis).
- Diversità soggettiva tra il soggetto chiamato a risponde penalmente del fatto (legale rappresentante della società) e la persona giuridica sanzionata in via amministrativa.
“Con ciò, dunque, dovendosi confermare il costante principio di diritto in forza del quale non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente “penale” ai sensi dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa (tra le molte, Sez. 3, n. 515051 del 2018, cit.; Sez. 3, n. 23839 del 07/11/2017, Passaro, Rv. 273107). E senza che, in termini contrari, possa valere l’affermazione del ricorso secondo la quale “i concreti effetti afflittivi” della sanzione amministrativa irrogata alla (società xxx s.r.I.) ricadrebbero comunque sul ricorrente, quale “centro di imputazione sostanziale delle misure in esame, anche in considerazione della gestione univocamente personalistica della società operante”; tale considerazione, infatti, pretende di superare il dato – oggettivo e decisivo – della distinzione formale e sostanziale tra persona fisica e persona giuridica (nel caso di specie, società di capitali), con l’ulteriore precisazione, peraltro, che quest’ultima non potrebbe esser mai chiamata a rispondere dei reati ascritti al (omissis), atteso il tenore del d. Igs. n. 231 del 2001.”
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Quadro normativo di riferimento:
Art 649 c.p.p, Divieto di un secondo giudizio, ne bis in idem:
- L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabilinon può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69comma 2 e 345 .
- Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimentoo di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.
Art. 4, Protocollo n. 7 alla CEDU (ne bis in idem):
- Nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.
- Le disposizioni di cui al paragrafo precedente non impediranno la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se dei fatti nuovi o degli elementi nuovi o un vizio fondamentale nella procedura antecedente avrebbero potuto condizionare l’esito del caso.
- Nessuna deroga a questo articolo può essere autorizzata ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione
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Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. III, 01/03/2017, n.35156:
Non sussiste violazione del principio del ne bis in idem laddove a fronte dell’instaurazione del procedimento penale, con correlativa condanna, nei confronti di amministratore di persona giuridica (nella specie per reati tributari), la confisca sia stata invece disposta in via diretta nei confronti della persona giuridica stessa, difettando i presupposti per ravvisare una duplicazione di sanzioni nei confronti del medesimo soggetto a seguito delle medesime condotte, a fronte del connotato ineludibile della identità dei soggetti sanzionati.
Cassazione penale sez. III, 07/11/2017, n.23839:
Non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente “penale” ai sensi dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la violazione del divieto di “bis in idem” con riferimento a persona imputata ai sensi dell’art. 10-ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 per il mancato versamento dell’acconto IVA, fatto per il quale era stata inflitta sanzione amministrativa alla società cooperativa dello stesso soggetto legalmente rappresentata).
Cassazione penale sez. II, 25/02/2016, n.13901:
Non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente “penale” ai sensi dell’art. 7 CEDU, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la violazione del divieto di “bis in idem” con riferimento all’imputazione, a carico di un soggetto, per un fatto per il quale era stata inflitta una sanzione amministrativa ad una società a responsabilità limitata di cui egli era socio e procuratore).
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