Bancarotta fraudolenta patrimoniale: per escludere la punibilità per le operazioni distrattive infragruppo l’imputato deve provare il vantaggio economico conseguito dalla holding con funzione compensativa rispetto al patrimonio della società depauperata.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.20494/2019 -depositata il 13/05/2019,  resa in tema di reati fallimentari che affronta il tema della responsabilità penale dell’amministratore di società facenti parte di un gruppo di imprese con a capo una holding, che abbia depauperato il patrimonio delle società amministrate senza aver dimostrato in giudizio il beneficio, ancorché indiretto,  di natura compensativa in favore di altre società del medesimo gruppo.

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Roma confermava in punto di penale responsabilità la sentenza resa dal Tribunale capitolino di condanna dell’amministratore di diverse società facenti parte del medesimo gruppo tratto a giudizio per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta documentale, riformando la sentenza di primo grado limitatamente al trattamento sanzionatorio per effetto della concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate ai sensi dell’art. 219 L.F.

Il ricorso per cassazione.

Il   giudicabile  interponeva   ricorso per la cassazione   della   sentenza  della   Corte   territoriale romana denunciando vizi di legge e motivazione riguardanti sia la affermata penale responsabilità per i diversi fatti di bancarotta contestati, sia la dosimetria di pena, che poteva essere ulteriormente contenuta con un diverso giudizio di bilanciamento tra aggravanti ed attenuanti.

Per una migliori cognizione dei capi e dei punti della sentenza impugnata (con due distinti ricorsi) si rimanda alla lettura della sentenza allegata.

Il giudizio di legittimità ed i principi di diritto.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento di maggiore interesse per gli operatori di diritto che si occupano della materia penale tributaria:

1.Il principio di autonomia economica delle singole società collegate ed i corollari in tema di responsabilità penale per reati fallimentari.

“In linea di principio è errata in diritto l’affermazione del ricorrente secondo cui «il fenomeno del gruppo di società disciplinato dagli art. 2497 c.c. e seguenti abbia apprezzabilmente scalfito il principio di autonomia economica e soggettiva delle società collegate», dal momento che ciascuna società di capitali che sia parte, per effetto di controllo o collegamento, di un gruppo di società di capitali è persona giuridica, svolge la propria attività d’impresa (sia pure in maniera coordinata con quelle proprie delle altre società) e risponde solo con il proprio patrimonio delle obbligazioni a contenuto patrimoniale solo verso i propri creditori.Costituisce invero principio di diritto affatto pacifico nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in funzione della dichiarazione di fallimento di una società inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di società collegate ovvero controllate da un’unica società holding, l’accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poichè, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti(in questo senso, cfr. per tutte, Cass. civ., 18 novembre 2010, n. 23344).

Si osserva poi che l’art. 2497 cod. civ., nel testo attualmente vigente, relativo alla disciplina della responsabilità di società o enti, che esercitano attività di direzione e coordinamento di società, nei confronti dei soci (per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale) e dei creditori di queste ultime (per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale), la responsabilità è esclusa «quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette», venne introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 6 del 2003 (recante riforma organica della disciplina legale delle società di capitali e delle società cooperative), intitolato “Nuove norme in tema di direzione e coordinamento di società”, e non è direttamente applicabile al caso di specie in quanto i fatti accertati vennero tutti commessi prima dell’entrata in vigore di tale disposizione di legge formale (avvenuta il 1 gennaio 2004). Prima dell’entrata in vigore delle norme recate da tale articolo di legge l’esistenza, nell’esperienza economica delle società, di significativi rapporti di collegamento di tipo negoziale ovvero di fenomeni di controllo in senso proprio, da cui derivano il compimento di atti ovvero operazioni rilevanti sotto il profilo giuridico, ha formato oggetto di specifica attenzione da parte della giurisprudenza civile di legittimità formatasi in tema, rispettivamente: di responsabilità degli amministratori di società di capitali per danni cagionati alla società o ai suoi creditori (artt. 2392 e 2394 cod. civ., previgenti); di effetti del compimento, da parte degli amministratori dotati di poteri di rappresentanza di tali società, di atti estranei ai relativi oggetti sociali (artt. 2384 e 2384-bis cod. civ. previgenti).

“(…) Non può, viceversa, sostenersi – come sembra fare la corte d’appello – che la mera appartenenza della società ad un gruppo renda plausibile l’esistenza dei suddetti “benefici compensativi” e che, pertanto, competa alla società la quale abbia agito contro il proprio amministratore l’onere di dimostrarne l’inesistenza. Viceversa, la società attrice esaurisce il proprio onere probatorio dimostrando l’esistenza di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire lo specifico interesse sociale. È il medesimo amministratore, se del caso, che deve farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggiocomplessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta.

La disposizione da ultimo indicata prevede l’applicazione della pena prevista dal primo comma dell’art. 216 I.fall. agli amministratori della società fallita che hanno cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società fallita commettendo, per quanto qui interessa, taluno dei fatti previsti dall’art. 2634 cod. civ. Tale articolo del codice civile da un lato sanziona il comportamento degli amministratori di società che, avendo un interesse in conflitto con quello sociale, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale (primo comma) e, dall’altro, precisa che «in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo» (terzo comma).”

“In tale ordine di concetti, il motivo, per come dal ricorrente dedotto, è manifestamente infondato (e per tale ragione inammissibile: art. 606, comma 3, cod. proc. pen.), non assumendo neppure in questa sede il ricorrente di avere specificamente dedotto nei motivi di appello – come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata – in cosa siano consistiti gli affermati vantaggi, derivanti dall’appartenenza delle società fallite al medesimo gruppo, concretamente compensativi dei pregiudizi patrimoniali derivati ai loro rispettivi patrimoni, costituenti garanzia per i creditori sociali, dagli atti distrattivi, alla cui commissione concorse il ricorrente, su di essi rispettivamente incidenti in senso negativo.”

2.Sul giudizio di bilanciamento tra circostanze.

“In linea di principio è da ribadire il principio secondo cui, in ragione del carattere globale del giudizio di bilanciamento fra circostanze eterogenee il giudice di merito non è tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di elementi di fatto di consistenza tale da legittimare la richiesta stessa (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 7, n. 11210 del 20 ottobre 2017, dep. 2018, Z. Rv. 272460).

Tenuto presente tale ordine di concetti, è peraltro da evidenziare che la sentenza impugnata motiva il giudizio di equivalenza da essa espresso sul rilievo che il ricorrente aveva avocato a sé le decisioni di gestione delle società parte del gruppo; in tal guisa implicitamente sottolineando il ruolo di primo piano assunto dal ricorrente nella commissione di tutti i delitti, mentre per gli altri imputati appellanti il giudizio di prevalenza fra circostanze è espresso «in considerazione del ruolo comunque gradato ricoperto nelle vicende decettive». Sotto altro, e concorrente, profilo il ricorrente non deduce in questa sede quali fossero gli elementi di fatto da lui indicati nei motivi di appello alla base della richiesta di un giudizio di bilanciamento fra circostanze a lui più favorevole.Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, affatto congrua è dunque la motivazione alla base della determinazione della misura della pena di base.”

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Quadro normativo di riferimento:

Art 2497 cod. civ.:

  1. Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente(2) responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società. (3) Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.

Art 2634 cod. civ. del d.lgs. n.61/2002, infedeltà patrimoniale:

  1. Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
  2. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.
  3. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo.
  4. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.

Art 216 l.fall., bancarotta fraudolenta:

E’ punito con la reclusione da tre a dieci anni, se e’ dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passivita’ inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

Art 217 l.fall., bancarotta semplice:

E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se e’ dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente:

1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;

2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;

4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

Art 223 l.fall., fatti di bancarotta fraudolenta:

Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo. Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:

  1. Hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.
  2. hanno cagionatocon dolo o per effetto di operazionidolose il fallimento della società.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di responsabilità penale per reati tributari infragruppo:

Cassazione penale sez. VII, 20/10/2017, n.11210:

In tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, per il carattere globale del giudizio, il giudice di merito non è tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa.

Cassazione penale sez. V, 30/06/2016, n.46689:

La rilevanza penale delle valutazioni non consegue alla semplice violazione delle norme codicistiche in materia di redazione dei bilanci, dato che in tal modo non sarebbe possibile operare una distinzione tra illecito penale ed irregolarità di natura civile, bensì alla mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione dichiarati e quelli effettivamente seguiti, tanto da impedire la ricostruzione del processo logico di formazione del bilancio.

Cassazione penale sez. V, 12/01/2016, n.30333:

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, qualora il fatto si riferisca a rapporti fra società appartenenti al medesimo gruppo, il reato deve ritenersi insussistente se, operando una valutazione ex ante, i benefici indiretti per la società fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi e siano tali da rendere il fatto incapace di incidere sulle ragioni dei creditori della società. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la sentenza che aveva escluso la sussistenza di cd. “vantaggi compensativi” in un’ipotesi di trasferimento di risorse da società controllante, poi fallita, a società controllata, in cui l’87% del capitale sociale apparteneva alla fallita, giustificati dal regime di benefici fiscali di cui godeva la società controllata nel Paese straniero ove aveva sede).

Cassazione penale sez. V, 09/05/2012, n.29036:

In tema di bancarotta, un’operazione distrattiva infragruppo dal carattere marcatamente patologico per la gravità delle condizioni finanziarie di tutte le società coinvolte – idonea, quindi, a determinare un trasferimento di valori connotato da “fraudolenza” – trova inquadramento nella fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 223 l.fall. e non in quello ex art. 2634 c.c., richiamato dal comma 2 dello stesso art. 223.

Cassazione penale sez. V, 25/09/2008, n.41293:

Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l’operazione di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo, ancorché effettuata a favore di società del medesimo gruppo, qualora gli ipotizzati benefici indiretti della fallita non risultino effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo e non siano idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta.

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