L’omessa diagnosi della infezione intrauterina non comporta la responsabilità penale del ginecologo se manca il protocollo scientifico per la cura del nascituro.

Si segnala ai lettori del blogla sentenza n. 25137/2019 – depositata il 6.06.2019 resa dalla Suprema Corte sul tema della colpa medica, con la quale si esclude la responsabilità professionale di natura penale ascritta al ginecologo, il quale, nonostante l’omessa diagnosi dell’infezione intrauterina del feto, non può essere condannato in assenza di protocolli per la cura salvifica.

Il Collegio del diritto chiamato a scrutinare il caso giudiziario, seppure in assenza di specifica pronuncia di legittimità attesa la inammissibilità del ricorso per rinuncia delle parti ricorrenti che lo avevano proposto, nell’affrontare il tema del giudizio controfattuale, indirettamente ratificano l’operato dei giudici di merito che avevano escluso un dovere di procedere alla somministrazione di una cura di natura sperimentale non validata dalla comunità scientifica in assenza dei relativi protocolli o linee guida.

Il caso clinico e lo svolgimento del processo.

La Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza assolutoria del Tribunale di Nola con formula maggiormente liberatoria (“il fatto non sussiste” in luogo di quella adottata in primo grado “il fatto non costituisce reato”) pronunciata in favore di un ginecologo tratto a giudizio per avere omesso di diagnosticare l’infezione intrauterina da citomegalovirus del feto, causa delle gravi lesioni subite dalla nascitura.

Dalla sentenza in commento si ricava che la pubblica accusa aveva contestato al sanitario il reato previsto e punito dall’all’art 590 c.p.p. sia in ragione della mancata diagnosi della patologia che poteva essere individuata con specifici esami clinici, sia per la condotta attendista tenuta dal ginecologo, consistita nel non aver praticato un parto pretermine mediante taglio cesareo.

Il ricorso per cassazione.

Avverso la sentenza della Corte distrettuale di Napoli, interponevano ricorso per cassazione ai soli effetti civili i due genitori della bambina, costituiti parte civile, quali esercenti la relativa potestà, censurando il provvedimento de quoin punto di violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’assoluzione del ginecologo.

La decisione della Cassazione ed il principio di diritto.

Nelle more tra la presentazione dell’impugnazione di legittimità e la udienza di trattazione del processo perveniva in cancelleria atto di rinuncia al ricorso rinuncia al ricorso di talché   la Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi di maggiore interesse per gli operatori di diritto estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento.

  1. Sulla valutazione del giudizio controfattuale in riferimento alla condotta omissiva del medico ed alla eventuale applicazione di un protocollo sperimentale:

Tuttavia nonostante l’assodato errore del sanitario, i giudici di appello escludevano la sussistenza all’epoca dei fatti, di una terapia praticabile nel caso di pazienti che avessero contratto l’infezione da citomegalovirus in gravidanza. Nel 2006, epoca della gravidanza della (omissis), nel caso in cui la diagnosi non fosse intervenuta entro il primo trimestre, termine entro il quale il medico avrebbe potuto proporre l’interruzione della gravidanza, non era infatti approvata e codificata dalla comunità scientifica alcuna terapia vera e propria, ma solamente una terapia sperimentale pura ( peraltro basata su una pubblicazione risalente solo al 2005), effettuata per mezzo della somministrazione alla madre di immunoglobulina, i cui benefici però non erano né certi né risolutivi, e che esisteva un farmaco antivirale non somministrabile in gravidanza, perché fortemente tossico. Quanto alla scelta di un parto naturale a termine e non tramite cesareo era stato accertato che in nessun protocollo medico fosse prescritta tale modalità da parte del ginecologo, perché fortemente tossico.”

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Quadro normativo di riferimento in materia di lesioni personali da condotta omissiva/commissiva del professionista sanitario:

Art 590 c.p.p , Lesioni personali colpose:

Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme [sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle] per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni

Art 590- sexies c.p.p, Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario:

Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di nesso di causalità e giudizio controfattuale nella colpa medica:

Cassazione penale sez. IV, 07 gennaio 2016 n. 1846.  

In tema di colpa medica – in considerazione della posizione di garanzia che il medico assume nei confronti del paziente con l’instaurazione della relazione terapeutica – il sanitario che, avendo in cura il paziente per stati di ansia o sindrome depressiva, in presenza di apprezzabili indici significativi di un atteggiamento di negazione di patologie di diversa natura, ometta di approfondire le condizioni cliniche generali dell’assistito e di assumere le necessarie iniziative per indurlo alla cura di tale patologia, è responsabile per le prevedibili conseguenze lesive derivate dalla patologia medesima. (Nella specie la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso la responsabilità di un neurologo in relazione al decesso di una sua paziente affetta da patologia oncologica non ritenendo adeguatamente provati né il presupposto di fatto dell’omesso approfondimento delle condizioni generali della paziente, che era stata comunque avviata ad una visita specialistica, né il nesso causale, essendo incerto il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia).

Cassazione penale sez. IV, 18 marzo 2015 n. 18080.  

Non ricorre la penale responsabilità del medico per la morte di un paziente affetto da una rarissima patologia qualora gli omessi esami biologici necessari per la sua diagnosi, anche se espletati, non avrebbero consentito un intervento tempestivo.

 Cassazione penale sez. V, 04 luglio 2014 n. 52411.  

In tema di responsabilità professionale medica, allorché il sanitario si trova di fronte ad una sintomatologia idonea a formulare una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non si proceda alla stessa, e ci si mantenga, invece, nell’erronea posizione diagnostica iniziale; ciò, sia nelle situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale è già in atto, sia laddove è prospettabile che vi si debba ricorrere nell’immediato futuro a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare della situazione già esistente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata per aver giudicato configurabile la responsabilità del ginecologo, che non aveva eseguito un monitoraggio intermittente sulle condizioni del feto, nonostante dai tracciati emergessero segni di sofferenza fetale ai quali era seguita, come sviluppo prevedibile, la morte del nascituro).

Cassazione penale sez. IV  14 febbraio 2013 n. 18573  

In tema di omicidio, sussiste il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del medico specialistico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva. (Fattispecie nella quale il sanitario di turno presso il pronto soccorso non aveva disposto gli accertamenti clinici idonei ad individuare una malattia cardiaca in corso e, di conseguenza, non era intervenuto con una efficace terapia farmacologica di contrasto che avrebbe rallentato significativamente il decorso della malattia, così da rendere utilmente possibile il trasporto presso struttura ospedaliera specializzata e l’intervento chirurgico risolutivo).

Cassazione penale sez. IV, 12 dicembre 2012 n. 1716.  

Versa in colpa – per imperizia, nell’accertamento della malattia, e negligenza, per l’omissione delle indagini necessarie, sia al fine di dissipare dubbi circa la esatta diagnosi del male portato dal paziente, sia per individuare la terapia di urgenza più confacente al caso – il medico il quale, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie, comunque, pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente.

 Cassazione civile sez. III,  29 novembre 2012 n. 21233.  

Nel caso di diagnosi differenziale, la sospensione della terapia per una delle possibili patologie ipotizzate può essere giustificata solo dalla raggiunta certezza che una di queste patologie possa essere esclusa; ovvero, in caso di trattamenti terapeutici incompatibili, può essere sospeso il trattamento riferito alla patologia che, in base all’apprezzamento di tutti gli elementi conosciuti o conoscibili condotto secondo le regole dell’arte medica, potesse essere ritenuto meno probabile e sempre che, nella valutazione comparativa del rapporto tra costi e benefici, la patologia meno probabile non avesse caratteristiche di maggior gravità e potesse quindi essere ragionevolmente adottata la scelta di correre il rischio di non curarne una che, se esistente, avrebbe però potuto provocare danni minori rispetto alla mancata cura di quella più grave.

Cassazione penale sez. IV  27 settembre 2011 n. 37043.  

In tema di responsabilità professionale medica, nel caso in cui il sanitario si trovi di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non vi si proceda, mantenendosi nell’erronea posizione diagnostica iniziale. E ciò vale non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell’immediato futuro, a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare del quadro già esistente.

Cassazione penale sez. IV  25 maggio 2005 n. 25233  

Non può affermarsi la penale responsabilità, a titolo di colpa, del primario ospedaliero, per violazione del dovere di vigilanza stabilito dall’art. 63 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, in relazione alla ripetuta insorgenza, nel reparto da lui diretto, in breve lasso di tempo, di affezioni patologiche di natura infettiva astrattamente riconducibili n mancata osservanza, da parte del personale sanitario, di norme igieniche di varia natura, quando non risulti accertata quale sia stata in concreto la causa determinante del contagio.

Cassazione penale sez. un.  10 luglio 2002 n. 30328.  

Non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.

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