Risponde di omicidio colposo l’ostetrica che con la propria condotta omissiva ha impedito al ginecologo di praticare il parto cesareo vanificando le probabilità salvifiche del feto.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 27539/2019 – depositata il 20.06.2019, con la quale la Suprema Corte ha confermato la responsabilità penale dell’ostetrica operante nell’equipe della sala parto per colpa consistita nella omissione di tutte le procedure connesse alla sua posizione di garanzia da cui sarebbe derivata la morte del feto.

 

Il caso clinico, l’imputazione penale e il giudizio di merito.

La Corte di appello di Salerno confermava la penale responsabilità dell’imputata – ostetrica – condannata in primo grado per il delitto di omicidio colposo, la quale, secondo il capo di imputazione, durante il servizio presso la struttura ospedaliera, non avrebbe eseguito correttamente i monitoraggi cardiotocografici omettendo di segnalare in tempo utile al ginecologo la sofferenza patita dal feto.

Il ginecologo a causa della condotta omissiva contestata all’ostetrica, in assenza di corrette  informazioni sul quadro clinico del feto che doveva risultare dalla corretta esecuzione del monitoraggio e della lettura del relativo tracciato, praticava sulla partoriente la manovra di Kristeller in luogo del ricorso ad un taglio cesareo, che, secondo le risultanze dibattimentali fondate sulle consulenze del PM e sulla perizia, qualora fosse stato tempestivamente eseguito, avrebbe impedito la morte del feto per asfissia perinatale.

Il ricorso per cassazione.

Avverso la sentenza della Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputata, articolando plurimi motivi di censura afferenti sia la dichiarata penale responsabilità (temi della colpa e del nesso causale), sia in riferimento all’errata qualificazione giuridica del fatto di reato ascritto all’imputata in quanto l’omicidio colposo doveva essere derubricato in aborto colposo.

La decisione della Cassazione e il principio di diritto.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi di maggiore interesse per gli operatori di diritto estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento:

  1. Sulla ritenuta sussistenza del nesso di causalità fra la condotta colposa dell’ostetrica e la morte del feto, segnatamente in tema di giudizio controfattuale:

“La Corte territoriale ha indicato quale dato acclarato da tutti i consulenti che il feto era nato morto in utero e che la morte era dovuta a sofferenza fetale ipossica sopravvenuta, che conduceva il piccolo all’asfissia perinatale o intra partum, escludendo ogni ipotesi alternativa del decorso causale; ha evidenziato che si trattava di una situazione di sofferenza sopraggiunta nel corso del travaglio, protrattasi per non meno di trenta minuti. La Corte di merito, mediante argomentazioni logiche e immuni da censure, ha poi configurato la responsabilità dell’omissis sulla base delle seguenti considerazioni: a) l’assenza di una tempestiva rilevazione della sofferenza asfittica, circostanza che avrebbe imposto di accelerare al massimo la fase espulsiva e l’estrazione del feto; b) il mancato espletamento dei necessari monitoraggi cardiotocografici, soprattutto in corrispondenza delle maggiori contrazioni provocate dalla somministrazione dell’ossitocina, quantomeno, a partire dalle ore 18.20; c) la scorretta esecuzione del secondo e del terzo tracciato (errore tecnico nel posizionamento delle fasce del tocodinamometro); d) il rilievo per cui la mancata o scorretta esecuzione dei tracciati non consentiva la rilevazione del battito cardiaco nel periodo in cui il feto stava mettendo in atto i meccanismi di compenso, precludendo così la possibilità di intervenire scongiurando la morte del feto mediante un taglio cesareo o la ventosa ostetrica (qualora la testa del bambino fosse già profondamente impegnata nel bacino materno); e) le erronee rassicurazioni formulate al ginecologo dr. omissis sul regolare andamento del travaglio da parte dell’imputata nonostante la prosecuzione della sofferenza fetale per non meno di 30 minuti; f) l’impossibilità di riversare le responsabilità a carico di altri soggetti presenti in sala parto.

 

  1. La posizione di garanzia dell’ostetrica.

“(…)A tale riguardo, la Corte territoriale ha sottolineato la posizione di garanzia ricoperta dalla ostetrica, alla quale sono specificamente devolute le suindicate attribuzioni, le quali non sono delegabili all’anestesista o alla sua assistente. Né poteva sostenersi che il dr. omissis dovesse eseguire o controllare di persona tali risultanze, essendo acclarato che non presenziava continuativamente in sala parto a causa dei suoi contestuali impegni presso il proprio reparto ospedaliero.

La non delegabilità delle funzioni tipiche dell’ostetrica in sala parto costituisce un ulteriore elemento di conferma della superfluità della rinnovazione istruttoria richiesta dalla difesa della ricorrente. La Corte di merito ha escluso la possibilità dell’ostetrica di far valere il principio dell’affidamento, correttamente richiamando la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di responsabilità medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. La posizione di garanzia rivestita dall’ostetrica, d’altronde, è ricavabile dallo statuto regolamentare della sua figura professionale (vedi la direttiva 80/155/CE del 21 gennaio 1980; il D. Igs. n. 2016 del 2007; il Regolamento per l’esercizio professionale della professione di ostetrica approvato dal Consiglio Superiore di Sanità il 10 febbraio 2000; il D.M. Sanità n. 740 del 1994).

In base a tale coacervo normativo, l’ostetrica, tra i vari compiti, deve: a) accertare la gravidanza e in seguito sorvegliare la gravidanza normale; b) effettuare gli esami necessari al controllo dell’evoluzione della gravidanza normale; c) attenersi ai protocolli previsti per il monitoraggio della gravidanza fisiologica; d) individuare le situazioni potenzialmente patologiche che richiedono intervento medico, adottando, ove occorrono, le eventuali misure di emergenza indifferibile; e) valutare eventuali anomalie dei tracciati e darne comunicazione ai sanitario. Nel caso di specie, la sentenza impugnata, con congruo ed esauriente apparato argomentativo, ha quindi evidenziato che l’ostetrica, in conseguenza degli errori e delle omissioni precedenti commessi in violazione dei propri doveri istituzionali, non aveva sollecitato l’attenzione del dr. omissis, il quale, se avesse conosciuto tempestivamente la situazione di sofferenza fetale, sarebbe potuto intervenire tempestivamente, scongiurando il verificarsi dell’evento letale.”

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Riferimenti normativi di maggiore rilievo in punto di responsabilità medica:

Articolo 17 Legge n194 del 22 maggio 1978:

Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito con la pena prevista dal comma precedente, diminuita fino alla metà.

Nei casi previsti dai commi precedenti, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata.

Art. 589 c.p., Omicidio colposo:

  1. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
  2. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni . 

3.Se il fatto e’ commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena e’ della reclusione da tre a dieci anni .

  1. 4. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.

Art 589-sexies c.p., Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario:

Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

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Quadro giurisprudenziale di maggiore rilevanza in ordine alla condotte colpose del personale medico e paramedico prestante servizio nella fase di parto:

Cassazione penale sez. IV, 15/03/2019, n.24922:

In tema di responsabilità omissiva del medico, la valutazione del giudicante non può prescindere dal c.d. giudizio controfattuale, cioè l’operazione intellettuale mediante cui, pensando assente una determinata condizione, ci si chiede se si sarebbe verificata la medesima conseguenza. Dunque, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità, è indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia del paziente, onde verificare se, ipotizzandosi come realizzatasi la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o differito.

Cassazione penale sez. V, 31/05/2017, n.39771:

In tema di responsabilità per condotte omissive in fase diagnostica, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità, occorre far ricorso ad un giudizio contro -fattuale meramente ipotetico, al fine di accertare, dando per verificato il comportamento invece omesso, se quest’ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento o comunque ridotto l’intensità lesiva dello stesso (fattispecie relativa alle accuse rivolte a delle ostetriche che non avevano avvertito in tempo tutti i sanitari; il ritardo nell’intervento aveva provocato la morte del feto).

Cassazione penale sez. IV, 02/07/2015, n.31244:

In tema di causalità della colpa, quando la ricostruzione del comportamento alternativo lecito idoneo ad impedire l’evento deve essere compiuta nella prospettiva dell’interazione tra più soggetti, sui quali incombe l’obbligo di adempiere allo stesso “dovere” o a “doveri” tra loro collegati, la valutazione della condotta di colui che è tenuto ad attivare altri va effettuata assumendo che il soggetto che da esso sarebbe stato attivato avrebbe agito correttamente, in conformità al parametro dell’agente “modello”. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente la sentenza impugnata avesse ravvisato la responsabilità dell’ostetrica in relazione alla morte di bambino nato affetto da gravi patologie conseguenti ad un parto tardivo, per avere la stessa omesso di allertare tempestivamente i medici di guardia dei segnali di sofferenza fetale del nascituro registrati dal “tracciato”).

Cassazione penale sez. IV, 23/06/2015, n.30350:

Per poter attribuire incidenza causale alla condotta colposa posta in essere dal personale medico – sanitario, si deve procedere alla formulazione del giudizio contro fattuale (fattispecie relativa all’accusa mossa ad un medico ginecologo e una ostetrica che si erano occupati del parto di una neonata deceduta dopo pochi giorni dalla nascita. L’accusa era di aver ritardato il taglio cesareo, a causa della sottovalutazione dei segni di rottura dell’utero della partoriente).

Cassazione penale sez. V, 12/12/2014, n.20063:

Integra il delitto colposo di interruzione della gravidanza (art. 17, comma primo, della legge n. 194 del 1978), la condotta dell’ostetrica che, incaricata di eseguire un ‘tracciato cardiotocograficò all’esito del quale si evidenzi un’anomalia cardiaca del feto, ometta di informare tempestivamente il medico di turno, in quanto la violazione della regola cautelare, consistente nella richiesta di intervento immediato del sanitario, ha cagionato o contribuito significativamente a cagionare l’evento morte.

Cassazione penale sez. I, 23/05/2013, n.26663:

L’integrazione della fattispecie criminosa di infanticidio non richiede che la situazione di abbandono materiale e morale rivesta un carattere di oggettiva assolutezza, trattandosi di un elemento oggettivo da leggere in chiave soggettiva, in quanto è sufficiente anche la percezione di totale abbandono avvertita dalla donna nell’ambito di una complessa esperienza emotiva e mentale quale quella che accompagna la gravidanza e poi il parto.

Cassazione penale sez. IV, 29/01/2013, n.7967:

In tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell’inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto. (Fattispecie nella quale, ai fini dell’integrazione del reato di omicidio colposo, è stato ritenuto che la morte era sopraggiunta a travaglio iniziato quando il feto, benché ancora nell’utero, aveva raggiunto una propria autonomia con la rottura del sacco contenente il liquido amniotico).

Cassazione penale sez. IV, 16/07/2009, n.35027:

Si configura una responsabilità per omicidio colposo, a carico del soggetto che assiste al parto per la perdita della vita del feto, pur se la fase espulsiva non sia ancora terminata, quando la morte sia causata da imprudenza, negligenza o imperizia, perché l’autonoma vita biologica ha inizio con la rottura del sacco delle acque amniotiche.

Cassazione penale sez. IV, 31/01/2008, n.13942:

Non versa in colpa colui che cagiona delle lesioni personali per la propria imperizia, quando, pur privo delle necessarie competenze e capacità, si assume in condizioni di urgenza indifferibile un compito riservato a soggetto qualificato, atteso che in tal caso l’agente non era tenuto a prevedere le possibili conseguenze della sua condotta. (Fattispecie in cui una ostetrica, cui è vietato procedere a parti non fisiologici, in presenza di una dilatazione oramai completa e non riuscendo ad ottenere l’intervento del medico, pur dalla stessa inutilmente sollecitato, aveva autonomamente proceduto a manovre di competenza del ginecologo dalla cui errata esecuzione era conseguita al neonato una lesione permanente).

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