Reati fallimentari: è sottratta alla disponibilità delle parti la determinazione della durata delle pene accessorie previste dall’art. 216 R.D. 267/1942.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 28345/2019 – depositata il 28.06.2019 resa in materia di reati fallimentari, con la quale la Suprema Corte nello scrutinare la legittimità della sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti ha escluso la possibilità per le parti (PM ed imputato) di concordare la durata delle pene accessorie.
L’imputazione e la definizione del processo con rito alternativo.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano applicava la pena patteggiata di anni tre e mesi sei di reclusione all’imputato concordata tra le parti per plurimi reati di bancarotta, disponendo altresì le sanzioni accessorie di cui all’art 216 l.f. nella durata indicata dalla norma e l’interdizione dai pubblici uffici per una durata di cinque anni.
Il ricorso per cassazione.
Avverso la sentenza di applicazione pena interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, censurando l’ordinanza con plurime doglianze articolate in un unico motivo, in ordine alla ritenuta illegittimità costituzionale dell’art 216 u.c. chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato quanto alla determinazione della durata delle pene accessorie in forza della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza 222 del 5 dicembre 2018.
Il giudizio di legittimità ed i principi di diritto.
Il Supremo Collegio ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento impugnato con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Milano, sezione Gip – Gup per nuovo esame, da effettuarsi secondo i principi di diritto di seguito enunciati:
“Dalla relativa informazione provvisoria, risulta che, con sentenza del 28 febbraio 2019, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito come «le pene accessorie previste dall’art. 216 legge fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 della Corte costituzionale, così come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.» Di guisa che, in applicazione dell’enunciato principio di diritto, che assegna alla discrezionalità del giudice del merito la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, in quanto sanzione predeterminata, in riferimento al carico di afflittività rispetto ai diritti fondamentali della persona (libertà di iniziativa economica) ed alla finalità (non [solo] rieducativa) della medesima, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della durata delle sanzioni accessorie di cui all’art. 216 u.c. I.f., irrogate all’imputato nella misura di dieci anni, con rinvio al giudice di merito per nuovo esame sul punto.”
“La determinazione della durata delle pene accessorie non dispiega, peraltro, effetto sulla pena concordata ex art. 445 cod. proc. pen., trattandosi di statuizioni sottratte alla disponibilità delle parti (V. Sez. 4, n.39075 del 26/02/2016, Favia, Rv. 267978). Deve, pertanto affermarsi il seguente principio di diritto, per cui la rideterminazione delle pene accessorie fallimentari, in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 216, u.c., R.D. 267/1942 nella parte in cui dispone che “la condanna per uno dei delitti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, pronunciata con sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte costituzionale, di competenza del giudice del merito (Sez. U. 28 febbraio 2019, Suraci), non comporta alcun effetto sulla pena concordata tra le parti ex art. 445 cod. proc., in quanto l’applicazione di dette sanzioni non rientra nella disponibilità di queste. Alla disamina delle censure proposte dal ricorrente va premesso come le statuizioni sulle pene accessorie non incidano sull’accordo delle parti in ordine alla applicazione della pena, non essendo l’applicazione di dette sanzioni nella loro disponibilità (Sez. 4, n.39075 del 26/02/2016, Favia, Rv. 267978).”
*****
Quadro normativo di riferimento relativo alle fattispecie di reato richiamate nella sentenza in commento:
Art. 216 Regio decreto del 16/03/1942 – N. 267, Bancarotta fraudolenta:
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Art. 37 c.p., pene accessorie temporanee: durata:
Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato. Tuttavia, in nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria.
Articolo 133 c.p., gravità del reato: valutazione agli effetti della pena:
Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;
2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
*****
Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di determinazione delle pene accessorie di cui all’art 216 u.c. legge fallimentare:
Cassazione penale sez. V, 29/01/2019, n.5882:
In tema di bancarotta fraudolenta, la durata delle pene accessorie previste dall’art. 216, ult. comma, legge fall., nella formulazione derivata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, non necessariamente deve essere parametrata alla stessa durata della pena principale ai sensi dell’art. 37 cod. pen., in quanto i principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, posti alla base della decisione di illegittimità costituzionale, non consentono di applicare alcun tipo di automatismo sanzionatorio. (In applicazione del principio la Corte, riconoscendo d’ufficio l’illegalità delle pene accessorie irrogate prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 216, ult. comma, legge fall., ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, al fine di consentire al giudice di merito di stabile la durata delle stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità).
Cassazione penale sez. IV, 26/02/2016, n.39075:
In tema di patteggiamento, la clausola con cui le parti concordano la durata delle sanzioni amministrative accessorie deve ritenersi come non apposta, non essendo l’applicazione di dette sanzioni nella loro disponibilità. (In applicazione del suddetto principio la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza di applicazione della pena che aveva fissato una durata della sanzione della revoca della patente di guida in modo difforme rispetto alle indicazioni contenute nell’accordo delle parti).
Cassazione penale sez. V, 05/02/2015, n.15638:
La pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa prevista per il delitto di bancarotta fraudolenta ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni, diversamente dalle pene accessorie previste per il reato di bancarotta semplice, che devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla regola di cui all’art. 37 cod. pen. (v. Corte Cost. n. 134 del 2012).
Cassazione penale sez. IV, 19/11/2015, n.1880:
In caso di patteggiamento relativo ai reati di omicidio colposo e guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, da cui sia derivato un incidente stradale, qualora il giudice abbia applicato erroneamente la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, anziché quella della revoca, che consegue per legge, ricorre un errore di diritto che, sulla base dello specifico motivo di gravame presentato dal p.m., può essere corretto dalla Corte di cassazione con l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e con la diretta applicazione della revoca della patente.
Cassazione penale sez. IV, 10/01/2014, n.18538:
In tema di patteggiamento, se l’accordo è condizionato dalla indicazione del tipo o dalla durata di una sanzione amministrativa accessoria obbligatoria per legge, tale clausola deve ritenersi come non apposta, non essendo l’applicazione di dette sanzioni nella disponibilità delle parti. (In applicazione del principio la Corte ha rigettato il ricorso avverso una sentenza di patteggiamento con la quale il giudice di merito, disponendo la revoca della patente, non aveva tenuto conto della pattuizione delle parti in ordine alla sola sospensione del titolo di guida).
@RIPRODUZIONE RISERVATA