Sezioni Unite Penali: depositata la sentenza che ha rimesso alla discrezionalità del giudice di merito la durata delle pene accessorie nei reati fallimentari.

Si segnala ai lettori la recente sentenza n. 28910/2019 – depositata il 3.07.2019 (già nota agli operatori di diritto a seguito della diffusione dell’informazione provvisoria contenente i principi già applicati in diverse pronunce della sesta sezione) con la quale la Suprema corte nella sua composizione più autorevole, chiamata a dirimere la questione di diritto afferente i criteri per la determinazione della durata delle pene accessorie previste dalla legge fallimentare, ha modificato il precedente orientamento espresso con la sentenza n.6240/2015.

 

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

L’intervento risolutore delle Sezioni Unite in ordine al contrasto fra i due orientamenti contrapposti generati all’indomani della pronuncia della Consulta n. 222/2018, esclude l’automatismo applicativo nella commisurazione della durata pene accessorie ispirato alla norma di cui all’art 37 c.p. riconoscendo l’autonoma funzione delle pene accessorie rispetto alla pena principale secondo l’interessante interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata dell’istituto riportata nei passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento di seguito indicati:

Così definito il tema del contrasto giurisprudenziale che impone il sollecitato componimento, si osserva che formalmente la pronuncia di incostituzionalità in esame ha colpito soltanto l’art. 216, ultimo comma, I. fall. e limitatamente al solo profilo di fissa quantificazione delle sanzioni ivi previste, demandando al giudice ordinario la scelta del relativo criterio commisurativo nel rispetto del solo limite invalicabile di durata decennale, sicchè esse potrebbero essere tuttora legittimamente determinate secondo la disciplina dettata dall’art. 37 cod. pen., norma che ha conservato la propria perdurante esistenza ed efficacia prescrittiva.

La Consulta ha, infatti, scelto di non estendere il proprio potere di scrutinio di legittimità costituzionale, conferitole dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27, anche alla disposizione da ultimo citata, non ravvisandovi il nesso di consequenzialità rispetto all’art. 216.”

“(…)Si registrano due contrapposte opinioni.

La prima, sostenuta, sia dalla giurisprudenza di legittimità assolutamente maggioritaria, sia in dottrina, riconosce l’espressa determinazione normativa quando il legislatore stabilisca in modo concreto e preciso la durata della pena, mentre in tutti gli altri casi in cui sono specificati il minimo e il massimo, ovvero solo il minimo o solo il massimo, la sua quantificazione resta soggetta alla regola dell’art. 37 cod. pen. con automatica e rigida conformazione alla pena principale inflitta (Sez. 3, n. 8041 del 23/01/2018, Carlessi, Rv. 272510; Sez. 3, n. 20428 del02/04/2014, S., Rv. 259650; Sez. 5, n. 29780 del 30/06/2010, Ramunno, Rv. 248258; Sez. 3, n. 41874 del 09/10/2008, Azzani, Rv. 241410; Sez. 1, n. 19807 del 22/04/2008, Ponchia, Rv. 240006; Sez. 5, n. 4727 del 15/03/2000, Albini, Rv. 215987).

La contraria soluzione, meno affermata, esclude l’applicazione dell’art. 37 cod. pen. quando la pena accessoria è indicata con la previsione di un minimo o di un massimo, giacché anche in tal caso la pena accessoria deve considerarsi espressamente stabilita dalla legge, che demanda al giudice di dosarne la protrazione temporale, facendo ricorso ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 697 del 03/12/2013, dep. 2014, Antonelli, Rv. 257850; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256581; Sez. 3, n. 42889 del 15/10/2008, Di Vincenzo, Rv. 241538; Sez. 3, n. 25229 del 17/04/2008, Ravara, Rv. 240256; Sez. 3, n. 42889 del 15/10/2008, Di Vincenzo, Rv. 241538; Sez. 5, n. 759 del 21/09/1989, Denegri, Rv. 183110).

Nel contrasto tra i due orientamenti si è inserita la pronuncia delle Sezioni Unite, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B, Rv. 262328, che, chiamata a dirimere una divergenza interpretativa in ordine ai poteri del giudice dell’esecuzione di rilevare, dopo la formazione del giudicato di condanna, l’illegalità della pena accessoria applicata extra o contra legem in sede di cognizione, ha offerto risposte ermeneutiche anche al tema coinvolto nel presente procedimento. Ha riconosciuto che, per il disposto dell’art. 183 disp. att. cod. proc. pen. ed in coerenza con i limitati poteri del giudice dell’esecuzione, cui compete dare attuazione al comando giudiziale irrevocabile, interpretandolo ed integrandolo, senza poterlo esprimere, nemmeno in riferimento al trattamento sanzionatorio, l’illegalità della pena accessoria può essere rilevata a condizione che «essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione».

Nella conseguente ricognizione delle tipologie di pena accessoria che ammettono il riconosciuto intervento emendativo in fase esecutiva in assenza di apprezzamento discrezionale, le Sezioni Unite vi hanno incluso anche le ipotesi previste dall’art. 37 cod. pen. e hanno affrontato il nodo interpretativo posto da quest’ultima disposizione, aderendo all’indirizzo maggioritario. A sostegno di tale soluzione si è evidenziato che: – l’esegesi letterale della disposizione in esame induce a riconoscere come “espressamente determinata” soltanto la pena che sia stata fissata precisamente dal legislatore nella specie e nella durata senza lasciare nessuno spazio per una commisurazione discrezionale del giudice; a riprova si indica la formula lessicale prescelta dal legislatore, che «non adopera le preposizioni “da” “a”, cui ordinariamente ricorre nell’indicare la pena principale per i reati, ma sempre le parole “non inferiore” e “non superiore” oppure “fino a”», sicchè «non può parlarsi neppure di uno “spettro”, di una “forbice” o di un “intervallo” edittale»; – conferma ulteriore è desumibile dall’art. 183 disp. att. cod. proc. pen., che consente di rimediare, in sede esecutiva, in malam partem, alla omissione dell’applicazione di una pena accessoria, sempre che sia «predeterminata nella specie e nella durata»; – ulteriore argomento testuale, che avvalora l’orientamento accolto, è rintracciato nell’inciso finale del medesimo art. 37 cod. pen., secondo cui «in nessun caso può oltrepassarsi il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria», che sarebbe superfluo qualora il principio della uniformità temporale tra pena principale e pena accessoria, sancito dalla norma, non dovesse rispettarsi nelle ipotesi di indicazione di un minimo o di un massimo della durata di ciascuna specie di pena accessoria; – la collocazione sistematica della norma alla fine del Capo III del Titolo II del Libro I del codice penale, indica la funzione dell’art. 37 cod. pen. quale disposizione generale e di “chiusura”, applicabile in ogni situazione in cui difetti una precisa indicazione quantitativa della pena accessoria da applicare.”

“Le Sezioni Unite ritengono che, per quanto qui rileva, l’indirizzo espresso dalla precedente sentenza n. 6240 del 2015, debba essere superato, poiché gli argomenti addotti a sostegno della soluzione proposta, -che solo incidentalmente ed a livello esemplificativo si era occupata del tema della durata delle pene accessorie prescritte dall’art. 216, ultimo comma, I. fall.-, pur pregevoli, non meritano condivisione.

L’analisi testuale, già condotta dalle Sezioni Unite, non considera che sul piano lessicale, là dove l’art. 37 cod. pen. menziona la pena espressamente determinata, richiede che la tecnica legislativa contempli una esplicita indicazione di estensione cronologica della sua durata, che non può intendersi nel solo significato di quantificazione in misura unica, fissa, invariata ed invariabile. Come evidenziato anche da alcuni interpreti in dottrina, sul piano terminologico una previsione espressa richiede una dichiarazione esternata, manifestata nel testo e quindi non implicita o sottintesa ed a tale definizione corrisponde anche la previsione di una sanzione da determinare entro un intervallo compreso tra minimo e massimo edittale o in entità non inferiore o non superiore ad uno solo dei due estremi.

“Ritengono le Sezioni Unite di dover superare il proprio precedente arresto, espresso nella sentenza n. 6240 del 2015 e di formulare il seguente principio di diritto: «Le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.»”

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