Risponde sempre di truffa aggravata il dirigente medico della struttura pubblica che attesta uno stato di servizio difforme da quello reale anche in assenza di esatta quantificazione del danno alla P.A.
Si segnala ai lettori del blogla recente sentenza di legittimità n.29628/2019 che affronta il noto tema della truffa aggravata ai danni della struttura pubblica commessa dal soggetto che attesta contrariamente al vero di aver svolto una attività lavorativa in realtà non prestata.
La sentenza è di estremo interesse per gli operatori che si occupano della materia del diritto penale dei professionisti sanitari (e delle relative strutture) perché facendo applicazione dei noti principi sedimentati nella giurisprudenza di legittimità intorno al reato previsto e punito dall’art. 640, comma 2, cod. pen., scrutina il caso specifico del dirigente il cui contratto collettivo di riferimento rende insuscettibili di specifico calcolo retributivo (e contributivo) le ore effettivamente prestate nell’esercizio dell’attività svolta nell’interesse della struttura alla cui dirigenza risulta preposto.
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
All’imputato era stato contestato, quale dirigente medico in servizio presso il reparto di medicina legale, di aver reiteratamente attestato un numero di ore lavorative superiore a quelle effettivamente svolte mediante artifizi e raggiri, consistiti nel timbrare il cartellino presso una struttura diversa da quella di assegnazione e allontanandosene subito dopo per svolgere incombenze private; nell’omettere la timbratura del cartellino in uscita quando si allontanava in assenza di autorizzazione; nel sottoscrivere autocertificazioni -che dovevano giustificare l’omessa timbratura- contenenti dati inveritieri, inducendo così in errore l’azienda sanitaria e procurandosi un ingiusto profitto in danno della stessa.
In primo grado il Tribunale di Fermo affermava la penale responsabilità dell’imputato comminandogli la pena ritenuta di giustizia.
La sentenza appellata dal giudicabile veniva totalmente riformata dalla Corte territoriale di Ancona sul presupposto della impossibilità di individuare e soprattutto quantificare il danno patrimoniale subito dalla Pubblica amministrazione in ragione delle ulteriori ore di lavoro prestate e non retribuite che, in ipotesi, poteva aver ampiamente compensato quelle illegittimamente certificate.
Il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.
La Suprema Corte, accogliendo il ricorso per cassazione interposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Fermo, ha annullato la sentenza impugnata dalla pubblica accusa rimettendo gli atti alla Corte di Appello di Perugia.
Di seguito si riporta il passaggio del compendio motivazione di interesse per il presente commento:
“La sentenza impugnata risulta, tuttavia, erronea laddove ritiene che le ore eccedenti quelle effettivamente prestate e attestate fraudolentemente mediante l’illecito utilizzo del cartellino marcatempo non erano comunque retribuibili, con conseguente impossibilità di configurare un danno a carico dell’azienda sanitaria.
Come esattamente rilevato dal primo giudice, infatti, oltre al radicale inquinamento del surplus orario determinato dal predetto meccanismo fraudolento, al sistema dei recuperi orari si riconnette all’evidenza un danno immediato e diretto per la P.A., conseguente alla mancata prestazione di servizio del dipendente pubblico, solo apparentemente lecita.
Non si tratta di un pregiudizio ipotetico ed eventuale sebbene di una diretta conseguenza dell’illecito, consistente nell’accumulo di plurime frazioni temporali esentate dalla prestazione lavorativa per effetto di un’ingannevole rappresentazione circa l’esatta consistenza delleattività funzionali in precedenza rese.
Ai recuperi orari deve essere, pertanto, riconosciuta una deteriore incidenza economica sulla P.A., privata delle prestazioni lavorative -anche di carattere organizzativo- cui il dipendente è tenuto, e che hanno contenuto indiscutibilmente patrimoniale, con ricadute anche sulla continuità ed efficienza del servizio.
Non si tratta come il P.m. impugnante sembra ritenere, esponendosi ai rilievi della difesa, di ricomprendere nell’area del danno il lucro cessante, categoria difficilmente adattabile alle dinamiche della P.A., ovvero pregiudizi di carattere mediato (come pure si assume sulla base di una non attenta lettura di Cass. n. 3262/18), ma di perimetrare le conseguenze suscettibili di valutazione economica che si riconnettono in via diretta alla condotta illecita e che non possono che abbracciare, in conformità ai principi ermeneutici enucleati dalla giurisprudenza di legittimità, anche la violazione degli obblighi contrattuali a carico del dipendente pubblico che comporti il fraudolento emungimento di risorse lavorative dal settore di appartenenza.
Nella specie, entrambe le sentenze di merito hanno dato conto delle reiterate ed ingiustificate assenze dal posto di lavoro dell’imputato che hanno necessariamente prodotto – tenuto conto anche delle dimensioni circoscritte della unità produttiva – un danno patrimoniale per l’ente, chiamato a retribuire una “frazione” della prestazione giornaliera non effettuata ovvero a rinunciare alla prestazione stessa per effetto del meccanismo dei recuperi, con l’ulteriore danno correlato alla mancata presenza del dipendente nel presidio lavorativo, sguarnito della corrispondente unità di lavoro.
Siffatte circostanze rilevano agli effetti della configurazione del reato contestato senza che possa riconoscersi valenza esimente alla obiettiva difficoltà di quantificazione del pregiudizio, la cui sussistenza ed apprezzabilità in termini economici la sentenza impugnata ha incongruamente escluso”
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Riferimenti normativi:
Art. 640 c.p. (Truffa):
Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro .
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità;
2 – bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5)
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Quadro giurisprudenziale di riferimento sulla truffa aggravata ai danni dello Stato per assenza ingiustificata dal posto di lavoro.
Cassazione penale sez. II, 30/11/2018, n.3262
La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, che rilevano di per sé – anche a prescindere dal danno economico cagionato all’ente truffato fornendo una prestazione nel complesso inferiore a quella dovuta – in quanto incidono sull’organizzazione dell’ente stesso, modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e ledono gravemente il rapporto fiduciario che deve legare il singolo impiegato all’ente; di tali ultimi elementi è necessario tenere conto anche ai fini della valutazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 4.
Cassazione penale sez. V, 18/07/2018, n.41426
La falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza in merito alla presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata.
Cassazione penale sez. II, 11/04/2018, n.20130
Integra il reato di truffa la falsa attestazione del pubblico dipendente della sua presenza in ufficio, risultante dal cartellino marcatempo o dai fogli di presenza, trattandosi di una condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore l’amministrazione.
Cassazione penale sez. II, 16/03/2018, n.14975
In tema di truffa aggravata in danno dello Stato, nel caso in cui la condotta consista in ripetute assenze ingiustificate dell’impiegato pubblico dal luogo di lavoro, occorre che queste determinino un danno economicamente apprezzabile, sicché è onere del giudice di merito considerare a tal fine anche l’eventuale ricorrenza di decurtazioni stipendiali conseguenti proprio alla mancata realizzazione della prestazione.
Cassazione penale sez. II, 21/02/2018, n.9900
L’omessa segnalazione di allontanamenti intermedi del dipendente impedisce il controllo di chi è tenuto alla retribuzione, sulla quantità e qualità della prestazione lavorativa svolta, per il recupero del periodo di assenza, se previsto, e per la detrazione del compenso mensile, dando luogo appunto al reato di truffa.
Cassazione penale sez. II, 24/11/2016, n.52007
Ai fini della configurabilità del reato di truffa, sussiste l’ingiustizia del profitto nell’ipotesi in cui il lavoratore – attestando, contrariamente al vero, la propria presenza continuativa in servizio – assicuri un orario ridotto e tuttavia percepisca per intero il compenso stabilito forfettariamente per la giornata lavorativa completa, in quanto l’assenza per alcune ore incide comunque sul sinallagma retributivo, provocando un danno economico al datore di lavoro.
Cassazione penale sez. III, 27/10/2015, n.45698
La falsa attestazione del dipendente pubblico, in ordine alla presenza sul luogo di lavoro accertata mediante alterazione dei cartellini marcatempo, integra, in concorso materiale, i reati di truffa aggravata (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.) e di false attestazioni o certificazioni (art. 55 quinquies d.lg. n. 165 del 2001).
Cassazione penale, sez. II , 07/11/2013 , n. 48145
Deve essere confermata la penale responsabilità – per truffa e falso ai danni della P.A. – del pubblico impiegato che ha falsificato le firme apposte sui certificati medici presentati per giustificare la sua malattia, tale di per sé da non giustificare la sua assenza dal lavoro, ottenendo comunque la retribuzione pur in assenza di prestazione lavorativa.
Cassazione penale sez. V, 17/12/2013, n.8426
Risponde di truffa colui che si procuri un ingiusto profitto in danno di altri ponendo in essere artifici e raggiri che abbiano indotto in errore la vittima, anche nell’ipotesi in cui il soggetto passivo abbia agito per perseguire fini illeciti. (Nella specie, le vittime delle truffe, tratte in errore dagli artifici e dai raggiri dell’imputato – cancelliere in servizio presso un tribunale – si erano determinate a dare denaro per influenzare illecitamente un’asta giudiziaria).
Cassazione penale sez. II, 17/01/2013, n.5837
La falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro, e integra il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili.
Cassazione penale, sez. II , 05/06/2012, n. 25781
Integra il reato di truffa aggravata la condotta del dipendente pubblico che si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare l’assenza mediante timbratura del cartellino ovvero rilevazione con scheda magnetica (nella specie, la Corte di cassazione, nel richiamare il dovere del dipendente di adempiere alle proprie funzioni con disciplina e onore, ritiene irrilevante la deduzione difensiva in ordine alla presunta levità della condotta posta in essere dal lavoratore, in ragione del modestissimo periodo di assenza dall’ufficio).
Cassazione penale, sez. II, 19/05/2011, n. 23785
Commette il delitto di truffa in danno dell’Ente pubblico il dipendente che faccia figurare come dovuto a ragioni di servizio un allontanamento dal posto di lavoro invece arbitrario non rilevando in senso contrario che il superiore gerarchico fosse a conoscenza della mancata autorizzazione all’allontanamento dal servizio (nel caso di specie la S.C. ha accolto il ricorso proposto dal p.m. contro sentenza di merito dichiarativa di non luogo a procedere che aveva ritenuto la mancata integrazione del delitto di truffa).
Cassazione penale sez. II, 08/03/2011, n.17096
L’abituale assenza dal lavoro del dipendente pubblico nell’orario di pranzo, senza timbrare il cartellino in uscita e al rientro, qualora non si fornisca la prova di aver lavorato oltre l’orario stabilito e per un numero di ore esattamente pari a quelle in cui ci si è indebitamente assentati senza timbrare il cartellino, configura il reato di truffa continuata in danno di ente pubblico. Né vale ad escludere la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato “de quo” il rilievo che l’interruzione sia stata solo temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del pubblico servizio. (La fattispecie riguardava un dirigente medico di azienda ospedaliera pubblica).
Cassazione penale, sez. II, 30/09/2009, n. 41471
Integra il reato di truffa consumata il dipendente comunale che fa timbrare il proprio cartellino marcatempo da un collega e si allontana dall’ufficio. Il delitto di truffa, infatti, si intende perfezionato in quanto l’impiegato, che si era recato durante l’orario di servizio ad assistere ad un incontro di calcio, aveva percepito un ingiusto profitto, ricevendo la retribuzione anche in relazione al tempo in cui si era assentato, con corrispondente danno per il Comune.
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