Bancarotta fraudolenta documentale: per la condanna dell’amministratore di diritto occorre la prova della consapevolezza di quanto compiuto dal dominus occulto

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 34112/2019 – depositata il 26.07.2019 con la quale la Suprema corte, pronunciandosi su una fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, dando continuità ad un orientamento già sedimentato, ha definito i termini di applicazione dei principi costituzionali che informano lo statuto del principio di colpevolezza  del quale i Giudici di merito devono fare applicazione e dare giustificazione nella motivazione della sentenza.

 

L’imputazione e il doppio grado di giudizio.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza di condanna inflitta dal locale Tribunale al legale rappresentante della società fallita per l’omessa tenuta delle scritture contabili – mai consegnate alla curatela –  con relativo danno al ceto creditorio.

 

Il ricorso per cassazione.

Avverso la sentenza emessa dalla Corte territoriale milanese interponeva ricorso per cassazione la difesa della giudicabile articolando plurimi motivi di censura, impingenti, per quanto di interesse per il presente commento, anche il tema del dolo richiesto dalla norma incriminatrice in capo alla mera “testa di legno” quando l’amministrazione è gestita da un dominus occulto.

 

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Il Supremo Collegio ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento dal quale si evince l’onere probatorio in capo all’accusa in riferimento alle condotte di bancarotta documentale ascritte all’amministratore apparente della fallita:

“Deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di legittimità, «vi sono due diversi criteri di imputazione soggettiva della bancarotta fraudolenta all’amministratore “testa di legno”, a seconda che si tratti di bancarotta patrimoniale o documentale, in quest’ultima ricompresa anche quella per omessa tenuta delle scritture contabili.

Invero, si è condivisibilmente sostenuto che, in caso di addebito che riguardi le scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, perché su quest’ultimo grava il diretto e personale obbligo di tenere e conservare le suddette scritture e di farlo correttamente.

E’ stata quindi ritenuta logica e giustificata la presunzione che l’omissione nella doverosa documentazione di attività societarie effettive […] ponga l’amministratore di diritto in difetto rispetto al dovere giuridico che su di lui grava per il periodo di riferimento, vale a dire quello di garantire una corretta e completa rappresentazione contabile delle attività sociali al fine di assicurare la necessaria informazione del ceto creditorio.

Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto» (v., in motivazione, Cass., Sez. V, n. 53227 del 25/10/2018, Cataudo).”

“(…)Alcune recenti pronunce, però, richiedono più precisamente che alla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica debba essere aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta, bensì effettiva e concreta, della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di farne emergere la strumentalità verso fini di pregiudizio in danno dei creditori (v. Cass., Sez. V, n. 40176 del 02/07/2018, Mastroeni, nonché Cass., Sez. V, n. 40487 del 28/05/2018, Bruccoleri).

Conclusione a cui il collegio ritiene senz’altro di aderire, in quanto conforme allo statuto costituzionale del principio di colpevolezza. Nel caso oggi in esame, la Corte territoriale conviene con il primo giudice circa l’impossibilità di considerare la [omissis] un prestanome del tutto inconsapevole, essendo ella stata titolare del 5°/o delle quote di altra società, a sua volta soda al 50% della fallita; inoltre, aveva lavorato per oltre un anno alle dipendenze della “omissis” e, all’atto di diventarne amministratore, colui che le aveva proposto la carica le aveva parlato di prospettive di risanamento.

Ancora, nel settembre 2007 ella aveva sottoscritto per la fallita un atto di riduzione del prezzo della cessione di un ramo di azienda, già formalizzata in precedenza. Si tratta, tuttavia, di aspetti che non risultano decisivi in chiave accusatoria.

Nulla è dato sapere, infatti, circa le ragioni della intestazione all’imputata di una partecipazione minoritaria nella prima società (ben potendo essersi trattato, al pari di quel che accadde in seguito, di una titolarità apparente): e lo stesso particolare che ella era stata dipendente della fallita, prima di venire coinvolta come amministratrice al momento di “risanare” l’impresa in crisi, risulta – semmai – ulteriormente indicativo della veste di “testa di legno” da doverle attribuire. Né sembra si possano ricavare elementi di valutazione dalla circostanza che ella sottoscrisse un atto peculiare, visto che non le viene addebitato il concorso in condotte distrattive che, in ipotesi, si debbano ricollegare al negozio in questione. Nella fattispecie oggi sub judice, come sopra segnalato, si discute soltanto di bancarotta documentale: e se già è dubbio che i profili indicati dal Tribunale e dalla Corte di merito, per inferirne che l’omissis non era solo una prestanome, valgano realmente a dimostrare l’assunto, di certo gli stessi non hanno alcuna incidenza sulla doverosa prospettiva di dimostrare che ella fu consapevole dello stato delle scritture contabili, pacificamente mai consegnate agli organi della procedura concorsuale.

A parte l’evidente commistione di profili di dolo specifico e generico (il Tribunale, più precisamente, aveva limitato la propria disamina al secondo), la Corte territoriale attribuisce dunque alla [omissis] una partecipazione dolosa al disegno così illustrato, che troverebbe conferma nell’avere ella sottoscritto la già ricordata cessione dei ramo d’azienda. Ma si tratta di una conferma smentita per tabulas, giacché non è corretto affermare, come si legge invece nella motivazione della sentenza impugnata, che fu l’imputata a siglare – il 24/09/2007 – l’atto di cessione de quo: in quella data la ricorrente, diventata amministratore di diritto alcuni mesi prima, sottoscrisse solo una concordata riduzione del prezzo di una cessione già perfezionatasi il 20/02/2006 (v. pag. 3 della decisione di primo grado), quando ella non aveva ancora assunto la carica.”

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Quadro normativo:

Art. 216 Legge fallimentare, bancarotta fraudolenta:

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

  1. 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
  2. 2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

 

 

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Rassegna giurisprudenziale resa in tema di punibilità dell’amministratore apparante della società fallita in ordine alle condotte di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.54490:

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Cassazione penale sez. V, 08/02/2017, n.13910:

Nell’alveo della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la dichiarazione di fallimento non costituisce elemento costitutivo del reato, ma ha funzione di condizione obiettiva (estrinseca) di punibilità, tale da determinare il “dies a quo” della prescrizione e radicare la competenza territoriale, con conseguente irrilevanza, ai fini della sussistenza del reato, dell’esistenza del nesso causale e psichico tra le condotte distrattive e il successivo stato di insolvenza.

Cassazione penale sez. un., 31/03/2016, n.22474:

Il codice civile regolamenta la redazione del bilancio agli articoli dal 2423 al 2427, imponendo i canoni e gli stilemi di valutazione e definendo anche il contenuto della nota integrativa. Il bilancio e tutte le sue componenti hanno caratteri e contenuti prevalentemente, se non quasi esclusivamente, valutativi. La scomparsa di quattro parole (“ancorché oggetto di valutazione”) nel testo degli art. 2621 e 2622 c.c. a seguito dell’entrata in vigore della l. 27 maggio 2015 n. 69 (cd. Legge “anticorruzione”) non costituisce la premessa a configurazioni differenti delle norme incriminatrici e pertanto il falso valutativo continua a mantenere il suo precedente rilievo penale, in particolare quando vengano violati criteri predeterminati dalla Legge (esempio le norme previste dal codice civile) o comunque tecnicamente indiscussi (quali principi contabili nazionali od internazionali).

Cassazione penale sez. V, 12/11/2015, n.890:

In tema di bancarotta fraudolenta impropria “da reato societario”, di cui all’art. 223, secondo comma, n. 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, la nuova formulazione dell’art. 2621 cod. civ., introdotta dalla L. 27 maggio 2015, n. 69, che ha soppresso l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” con riferimento ai “fatti materiali non rispondenti al vero”, non esclude la rilevanza penale della esposizione in bilancio di enunciati valutativi falsi, che violano parametri normativamente determinati o tecnicamente indiscussi.

 

Cassazione penale sez. V, 24/09/2012, n.47502:

Nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che da luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo.

Cassazione penale sez. V, 19/02/2010, n.19049:

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto ‘testa di legnò), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha, tra l’altro, confermato la responsabilità a titolo di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione nei confronti di un amministratore legale della società, pur non essendogli riconosciuto il ruolo di consapevole ed attivo amministratore di diritto, essendo anzi egli accreditato come ‘testa di legnò).

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