La sola carica formale di amministratore di diritto non è sufficiente a dimostrare la sussistenza dell’elemento psicologico nella bancarotta fraudolenta documentale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 35093/2019 – depositata il 31.07.2019, resa in materia di reati fallimentari, con la quale la Suprema Corte, all’esito dello scrutinio di legittimità di una fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, ha annullato la sentenza impugnata accogliendo le censure della difesa della giudicabile impingenti la carenza motivazionale della sentenza di secondo grado circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo all’imputata.

L’imputazione e il doppio grado di giudizio.

La Corte di appello di Roma riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale in sede nei confronti degli imputati, originariamente tratti a giudizio per rispondere dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, quest’ultima, come è di prassi, contestata con la formula aperta “per aver sottratto, distrutto, o falsificato i libri e le scritture contabili e averli tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”.

La Corte distrettuale, quanto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, dichiarava l’estinzione del reato per morte del reo – imputato amministratore di fatto della società e padre della coimputata amministratrice di diritto; quest’ultima veniva assolta per la medesima contestazione sul presupposto che la società era stata sempre ed esclusivamente  amministrata dal padre.

Per il segmento dell’imputazione afferente la bancarotta fraudolenta documentale, la Corte di appello confermava il capo della sentenza di condanna per  l’amministratrice di diritto sia in punto di penale responsabilità, sia in punto di dosimetria della pena, già contenuta nel minimo edittale dal primo Giudice, previa concessione delle attenuanti generiche.

Il ricorso per cassazione.

Avverso il provvedimento emesso dalla Corte territoriale di Roma interponeva ricorso per cassazione l’imputata deducendo vizio di legge e di motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato  bancarotta documentale.

 

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Supremo Collegio ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte distrettuale romana.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento, di maggiore interesse gli operatori di diritto che si occupano del diritto penale fallimentare:

  1. Sulla ritenuta responsabilità penale dell’amministratore formale per il delitto di cui all’art.216 l.f.:

Quanto alla responsabilità dell’amministratore formale, in giurisprudenza si ritiene che, in quanto investito di una posizione di garanzia rispetto al bene giuridico penalmente tutelato, è responsabile a norma dell’art. 40 cpv. cod. pen. a titolo di concorso per non essere intervenuto a impedire la realizzazione della fattispecie criminose da parte di altri organi societari nonostante l’art. 2392 c.c., assunto a principio di ordine generale, gli imponga di attivarsi in presenza di atti pregiudizievoli.

Il contegno omissivo è assunto a concausa dell’evento.

Sotto il profilo soggettivo si riconosce la sussistenza del dolo eventuale tutte le volte in cui l’amministratore pieno jure abbia omesso di intervenire quando, viceversa, adempiendo pienamente ai propri obblighi, avrebbe percepito i segnali della realizzazione del reato ( Sez 5 19/06/2008, rv. 242022).

Tuttavia, nel rispetto del principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost, nella giurisprudenza più recente si afferma che la carica di amministratore formale non fonda automaticamente un giudizio di colpevolezza, e anzi la responsabilità va esclusa quando emerga che la concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto sia così complessiva e sostitutiva da ridurre l’amministratore legale a un mero atto formale, nominale.

Non si può, cioè, trattare di una responsabilità di posizione, derivante dalla sola assunzione della carica formale, conseguentemente affermandosi la sola responsabilità dell’amministratore di fatto con esclusione di quella dell’amministratore formalmente in carica, in quanto la responsabilità di quest’ultimo non può essere desunta né sulla base della mera titolarità della carica (Responsabilità di posizione) né in forza di comportamenti esclusivamente negligenti nell’espletamento ( o nel mancato espletamento) delle mansioni alla stessa connesse.

Si è, però, precisato che, con riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, ( cosiddetta testa di legno) , atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture. (Rv. 228713;Sez. 5 19/01/2010, rv. 247251; Sez. 5 n. 54490 del 26/09/2018, Rv. 274166), purchè sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato , tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari. ( Sez. 5 n. 642 del 30/10/2013, dep. 2014, rv. 257950; Sez. 3 n. 38780 del 14/05/2015, Rv. 264971; Sez. 5 n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271754).”

  1. Sulla carenza di motivazione della sentenza impugnata sulla colpevolezza dell’imputata conseguente al solo ruolo formale nella compagine societaria :

La valutazione della Corte territoriale, tuttavia, sconta il vizio di genericità e apoditticità, atteso che, con riferimento a tale ultima annotazione, la Corte non ha chiarito perché, a fronte di due denunce di furto a distanza di anni, abbia escluso che, medio tempore, le scritture fossero state rinnovate, fondando , logicamente, la secondo denuncia.

In realtà, dalla sentenza impugnata non è dato comprendere il ragionamento sulla base del quale è pervenuta alla condanna della [omissis]. Tenuto conto, peraltro, della contestazione “aperta” con cui viene descritto il fatto nell’editto accusatorio, nel quale si contestano le condotte alternative di sottrazione, distruzione o falsificazione dei libri e delle scritture contabili ( “sottraeva, distruggeva o falsificava” i libri e le scritture contabili) nonché quella di averle tenute in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio del movimento degli affari”

Invero, in ordine al mancato deposito delle scritture contabili relative all’esercizio 2001 e alla mancata redazione del bilancio finale di liquidazione, la ricorrente era già cessata, in precedenza, dalla carica di amministratore di diritto, essendole subentrato il liquidatore, sicchè non è dato comprendere quali siano stati, sotto tale profilo, i motivi della condanna inflitta alla [omissis], dal momento che , essendo stata posta in liquidazione la società, il controllo e la gestione economica della stessa erano passati nelle mani del liquidatore a cui competeva depositare il bilancio finale di liquidazione.

D’altro canto, la sentenza impugnata neppure spiega il ruolo specificamente ravvisato in capo alla ricorrente in ordine alla contestata condotta di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture contabili, né ne ricostruisce l’elemento soggettivo.

Come è noto, nel comma primo n. 2 dell’art. 216 è configurata la bancarotta fraudolenta documentale, integrata da due condotte alternative che, rispettivamente, delineano la bancarotta documentale “specifica” ( “ha sottratto, distrutto o falsificato in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le scritture contabili)”, e “generale” ( “li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”).

Anche sotto tale versante l’ordinamento fa carico all’imprenditore insolvente di tenere un comportamento attivo volto a dimostrare non solo la situazione economica nella sua attualità, ma anche la consistenza della pregressa gestione, con lo scopo di consentire la migliore ricostituzione possibile dell’asse attivo sul quale la procedura potrà effettuare la liquidazione, poiché i libri e le scritture contabili non costituiscono solo un fatto interno all’impresa ma sono anche destinati a tutelare i terzi che con l’impresa vengono a contatto. Nella giurisprudenza di questa Corte si è da tempo evidenziato per la ipotesi c.d. “generale” la legge prevede solo il dolo generico, consistente nell’intenzione dell’agente di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, mentre il dolo specifico, configurato dalla locuzione” con Io scopo di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori” è richiesto soltanto per le ipotesi di c.d. bancarotta documentale “specifica” .

L’utilizzo della disgiuntiva tra le ipotesi che integrano il dolo specifico richiesto per la configurabilità della fattispecie di bancarotta documentale specifica ha fatto ritenere che, accanto allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (animus nocendi) sia contemplato, alternativamente, lo scopo di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto (animus lucrandi), sicchè la prova di uno dei due diversi intenti è sufficiente all’affermazione di responsabilità ( Sez. 5 n. 43966 del 28/06/2017, Rv. 271611; Sez. 5 n. 18634 del 01/12/2017, Rv. 269904; Sez. 5 n. 17084 del 09/12/2014 , dep. 2015, rv. 263242): pertanto, per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili previste dall’art. 216, primo comma n. 2 prima parte della legge fallimentare, è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.

Nella sentenza impugnata la Corte di Appello ha del tutto omesso l’indagine finalizzata alla ricostruzione dell’elemento soggettivo (dolo generico o specifico) che avrebbe sorretto l’azione fraudolenta della ricorrente.”

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La norma incriminatrice:

Art. 216 l.f.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato (1)in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (2).

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento sugli indici di responsabilità in materia di bancarotta tra amministratore di fatto ed amministratore di diritto:

Cassazione penale sez. V, 14/07/2017, n.43977.

In tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.

Cassazione penale sez. III, 14/05/2015, n.38780.

Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o i.v.a., l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministrazione di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (art. 40, comma 2, c.p. e 2932 c.c.), a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.

Cassazione penale sez. V, 30/10/2013, n.642.

In tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.

Cassazione penale sez. V, 09/02/2010, n.11938.

In tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto, dal punto di vista oggettivo ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p., per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico (art. 2392 c.c.) di impedire, e, dal punto di vista soggettivo, se sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ampiamente argomentato in ordine all’effettiva consapevolezza da parte degli amministratori di diritto delle condotte dell’imputato, desumendone la prova dagli stessi verbali del consiglio di amministrazione).

Cassazione penale sez. V, 19/02/2010, n.19049.

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto ‘testa di legnò), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha, tra l’altro, confermato la responsabilità a titolo di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione nei confronti di un amministratore legale della società, pur non essendogli riconosciuto il ruolo di consapevole ed attivo amministratore di diritto, essendo anzi egli accreditato come ‘testa di legnò).

Cassazione penale sez. V, 23/06/2009, n.31885.

Integra il reato di bancarotta semplice (art. 217 l. fall.) l’amministratore che, ancorché estraneo alla gestione dell’azienda – esclusivamente riconducibile all’amministratore di fatto – abbia omesso, anche per colpa, di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, poiché l’accettazione della carica di amministratore, anche quando si tratti di mero prestanome, comporta l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo di cui all’art. 2392 c.c.

Cassazione penale sez. V, 11/01/2008, n.7203.

L’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma 2, c.p. (principio affermato, nella specie, con riguardo ad ipotesi di bancarotta per distrazione).

Cassazione penale sez. V, 13/04/2006, n.19145.

In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli art. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la attribuzione effettuata dai giudici di merito della qualifica di amministratore di fatto al preposto al settore commerciale di un piccolo organismo operante nel mercato del commercio, in considerazione del peso decisivo rivestito da costui nella conduzione della società).

Cassazione penale sez. V, 26/01/2006, n.7208.

In tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire; a tal fine, è necessario, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza, da parte del primo, che l’amministratore effettivo distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali. Tale consapevolezza, se da un lato non deve investire i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fatto si è estrinsecata, dall’altro, non può essere desunta dal semplice fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore; tuttavia, allorché, come nella specie, si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possono scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale.

Cassazione penale sez. V, 17/11/2005, n.44293.

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la responsabilità dell’amministratore, che risulti essere stato soltanto un prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno.

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