Il reato di ricorso abusivo al credito contestato al fallito assorbe il reato di truffa per il criterio di specialità.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 36985/2019 – depositata il 04.09.2019, con la quale la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata di condanna dell’imputato per i reati di truffa e di ricorso abusivo al credito ai danni dell’istituto bancario ritenendo il reato comunecontro il patrimonio assorbito da quello propriofallimentare.

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Firenze riformava parzialmente  – quanto al trattamento sanzionatorio – la sentenza di primo grado resa all’esito del giudizio abbreviato dal Giudice per l’Udienza preliminare in sede, confermando la penale responsabilità dell’imputato per plurimi illeciti fallimentari unificati dal vincolo di continuazione, fra cui il  delitto di concorso in ricorso abusivo p. e p. dall’art 218 r.d. n. 267/1942 e per il concorso in truffa ai danni di diversi creditori.

Secondo l’ipotesi accusatoria, validata anche dalla Corte territoriale, l’imputato avrebbe indotto in errore l’azienda di credito attraverso la presentazione di fatture false, onde ottenere l’anticipo del credito per un importo pari all’80% delle somme e per aver indotto altri soggetti a richiedere finanziamenti da versare poi in favore dell’azienda, utilizzando artifizi e false informazioni rispetto allo stato di decozione in cui versava l’impresa poi fallita.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza di secondo grado interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, articolando plurimi motivi di impugnazione censurando, per quanto di interesse per l’analisi della sentenza in commento, vizio di legge e di motivazione in relazione al ritenuto concorso tra il reato di truffa e quello di ricorso abusivo al credito, sostenendo l’assorbimento del primo nel secondo per il criterio di specialità.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso limitatamente alla censura sopra indicata ed alla durata delle pene accessorie.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento di particolare interesse per gli operatori di diritto che si occupano dei reati fallimentari.

Il rapporto di specialità tra i reati di ricorso abusivo al credito e truffa.

“Prima che l’art. 32, comma 1, legge 28 dicembre 2005 n. 262 modificasse l’art. 218 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 non era possibile il concorso formale tra il delitto di ricorso abusivo al credito e quello di truffa, atteso che il citato art. 218 conteneva una clausola di riserva che rendeva applicabile il delitto fallimentare solo in via sussidiaria, nel caso in cui il fatto non costituisse un delitto più grave.

L’art. 32, comma 1, legge 28 dicembre 2005 n. 262 ha modificato l’art. 218 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 eliminando la clausola di sussidiarietà, cosicché sorge il problema di verificare se sia configurabile il concorso formale dei reati e, in caso negativo, come debba essere risolto.L’assunzione di ulteriore debito da parte di chi esercita un’attività d’impresa e già versi in condizioni finanziarie e patrimoniali tali da rendere improbabile il suo futuro adempimento è condotta che reca danno non solo al patrimonio delsoggetto che concede il nuovo credito e che dovrà sopportare il danno derivante dell’eventuale inadempimento — come avviene nel caso della truffa -, ma anche agli interessi di coloro che sono divenuti creditori in virtù di un titolo anteriore poiché essi, in caso di insolvenza, concorreranno con il nuovo creditore e ciascuno di essi parteciperà in misura inferiore al riparto dell’attivo fallimentare.

Tale differenza giustifica la punibilità di ufficio del delitto di ricorso abusivo al credito.”

 “Sulla base di quanto sopra esposto, non vi è dubbio che tra le due norme sussista un rapporto di specialità che, ai sensi dell’art. 15 cod. pen., consente di individuare nell’art. 218 I.fall. la disposizione prevalente.

Difatti, il delitto di ricorso abusivo al credito ha un’oggettività giuridica più ampia di quello di truffa, atteso che il disvalore di questo delitto viene assorbito in quello del reato fallimentare che è volto a tutelare non solo il patrimonio del nuovo creditore ma anche quello dei creditori preesistenti e comunque ad evitare, nell’interesse pubblico dell’economia nazionale, che soggetti destinati al fallimento facciano ricorso al credito distruggendo risorse economiche che potrebbero essere impiegate più proficuamente; proprio per tale ragione, il delitto di cui al citato art. 218 si caratterizza per più elementi specializzanti rispetto alla truffa, ossia per la particolare qualità che deve rivestire il soggetto attivo e la necessità che alla condotta segua la sentenza dichiarativa di fallimento, necessaria affinché il danno non resti limitato al soggetto che ha concesso nuovo credito.

Nel caso di specie non vi è dubbio che la condotta che integra il delitto di cui al capo F) sia la medesima contestata al capo A), cosicché, in applicazione dei principi sopra esposti, il reato di cui al capo F) deve ritenersi assorbito in quello contestato al capo A).

Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nella parte in cui condanna il ricorrente per il delitto di truffa ai danni della banca (capo F), assorbito nel delitto di cui all’art. 218 I. fall., e la pena deve essere rideterminata escludendo l’aumento di pena per la continuazione con detto reato, in anno uno, mesi dieci e giorni venti di reclusione.”

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Riferimento normativo.

Art. 218 r. d. n. 267/1942, Ricorso abusivo al credito:

  1. Gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti, dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
  2. La pena è aumentata nel caso di società soggette alle disposizioni di cui al capo II, titolo III, parte IV, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.
  3. Salve le altre pene accessorie di cui al libro I, titolo II, capo III, del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni.

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La giurisprudenza di legittimità.

Cassazione penale sez. V, 23/09/2014, n.44857:

Il reato di ricorso abusivo al credito richiede che il soggetto al quale viene addebitato sia successivamente dichiarato fallito. Ne consegue che il termine di prescrizione decorre dalla data della dichiarazione di fallimento.

Cassazione penale sez. V, 06/06/2006, n.38144:

Integra il reato di ricorso abusivo al credito (art. 218 l. fall.), la dissimulazione dello stato di dissesto della società avvenuta attraverso l’utilizzo strumentale della posta debitoria e la natura parzialmente fittizia del finanziamento soci, non facilmente individuabile dalle banche.

Cassazione penale sez. V, 04/05/2004, n.23796:

La differenza tra l’ipotesi di bancarotta post – fallimentare disciplinata dall’art. 216, comma 2, l. n. 267 del 1942, e quella di ricorso abusivo al credito prevista dall’art. 218 della stessa legge sta nel fatto che con il primo reato vengono sanzionati i comportamenti distrattivi propri della bancarotta patrimoniale compiuti dall’imprenditore dopo la dichiarazione di fallimento; con il secondo, è punito il ricorso al credito da parte dell’imprenditore non ancora fallito che, a tal fine, dissimuli lo stato di dissesto. Il reato di ricorso abusivo al credito richiede che il soggetto al quale esso viene addebitato sia, successivamente, dichiarato fallito.

Cassazione penale sez. I, 09/06/1997, n.4021:

Il reato di ricorso abusivo al credito, previsto dall’art. 218 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, non richiede, per la sua configurabilità, che il soggetto al quale esso viene addebitato sia dichiarato fallito; ragione per cui il momento consumativo di detto reato è individuabile in quello nel quale il credito viene ottenuto e non in quello dell’eventuale declaratoria di fallimento.

by Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA