Non integra il reato di dichiarazione fraudolenta ma quello di dichiarazione infedele l’aver annotato nelle dichiarazioni fiscali della società elementi passivi fittizi.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 36620/2019 – depositata il 29.08.2019 resa in materia di reati tributari, con la quale la Suprema Corte ha escluso la sussunzione della condotta materiale contestata nel reato di cui all’art 3 d.lgs. 158/2015 ritenendo che il fatto, qualora sia accertato il superamento delle soglie di punibilità, integri il diverso reato di dichiarazione infedele.

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Brescia riformava parzialmente la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Bergamo riqualificando il fatto originariamente contestato ai sensi dell’art 2 d.lgs. 74/2000 nel meno in quello p. e p. dall’art 3 d.lgs. 74/2000.

Il giudicabile, tratto a giudizio quale legale rappresentante di una società di capitali, secondo quanto dedotto induttivamente dallo “spesometro” avrebbe contabilizzato elementi passivi fittizi conseguendo, per l’effetto, un risparmio del gettito fiscale effettivamente dovuto.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Avverso la summenzionata sentenza emessa dalla Corte distruttale di Brescia interponeva ricorso per cassazione l’imputato, per ottenerne l’annullamento, articolando due motivi di impugnazione censurando, per quanto di interesse per l’analisi della sentenza in commento, vizio motivazionale per illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’ipotesi delittuosa della dichiarazione fraudolenta ritenuta in sentenza.

Secondo la tesi promossa dalla difesa la motivazione resa dalla Corte territoriale bresciana era censurabile per aver interpretato la valenza dello “spesometro” al pari delle dichiarazioni annuali o delle annotazioni nelle scritture obbligatorie delle quali non vi era prova.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso censurando l’erronea qualificazione giuridica operata dal Collegio di appello, annullando la sentenza con rinvio la sentenza impugnata affinché possa essere valutata la configurabilità del delitto p. e p. dell’art. 4 d.lgs 74/2000, rimettendo al giudice del merito l’accertamento del superamento delle soglie di punibilità innalzate dal decreto legislativo n.158/2015 che ha introdotto una disciplina più favorevole.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento di particolare interesse per gli operatori di diritto in ambito tributario.

(i) La riqualificazione giuridica della condotta contestata.

“Va, anzitutto, precisato che, nel caso in esame, trova applicazione la fattispecie di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000 nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015, vigente al momento del fatto, trattandosi di una disposizione più favorevole rispetto a quella attualmente in vigore.

Ciò posto, la norma previgente, puniva, fuori dai casi previsti dall’art. 2, la condotta di chi, “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi“, purché fossero congiuntamente superate le soglie indicate alle lett. a) e b). Orbene, tra gli elementi del fatto la norma previgente prevedeva anche la “falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”

Nel caso di specie, si osserva che la Corte territoriale ha escluso la sussistenza dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 difettando la prova dell’annotazione in contabilità delle false fatture, avendo la società trasferito la sede in Romania, il che ha impedito gli accertamenti fiscali (p. 3-4 della sentenza impugnata).

La Corte territoriale ha perciò riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 784 del 2000, evidentemente facendo riferimento, in maniera erronea, alla fattispecie modificata dal d.lgs. n. 158 del 2015.

Viceversa, come anticipato, astrattamente trova applicazione la norma vigente al momento del fatto, la cui violazione, nel caso concreto, non è però ravvisabile proprio perché, come accertato dalla Corte territoriale, non vi è prova della falsa rappresentazione nelle scritture contabili.”

(ii) Il principio di diritto e la sussunzione nell’illecito di dichiarazione infedele, sempre che sia accertato il superamento delle soglie di punibilità.

“Nondimeno, i giudici dì merito hanno accertato la fittizietà delle poste passive afferenti alle operazioni riferibili ai vari soggetti economici indicati nel capo di imputazione, annotate nella dichiarazione presentata dalla società di cui il ricorrente era il legale rappresentante per un importo imponibile complessivo, quanto all’anno 2010, pari a 1.118.994 euro, con sottrazione all’imposta sui redditi per 67.924,82 euro e iva per 223.799 euro; tale fatto può integrare il delitto di “dichiarazione infedele”, punito dall’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, a condizione che sia accertato il superamento delle soglie come rimodulate, in senso più favorevole per l’agente, dal d.lgs. n. 158 del 2015.

A tal fine, la sentenza deve perciò essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia perché accerti, con apprezzamento fattuale non consentito in sede di legittimità, se il fatto integri la fattispecie di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, con riferimento alle più elevate soglie di punibilità introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015.

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Riferimento normativo:

Art. 4. Dichiarazione infedele 

  1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: 
  2. a)  l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; 
  3. b)  l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni. 

1-bis.  Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. 

1-ter.  Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

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Giurisprudenza di legittimità.

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

La ritenuta sussistenza del “fumus commissi delicti” ai fini dell’adozione di una misura cautelare reale in relazione al reato di dichiarazione infedele previsto dall’ art. 4 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 ben può fondarsi, ove trattisi di redditi derivanti dall’esercizio di professioni, sulla presunzione legale che costituiscano “ricavi”, ai sensi dell’ art. 32 d.P.R. n. 600/1973 , (pur dopo la modifica apportata dall’ art. 7 quater, comma 1, lett. a, d.l. n. 193/2016 , conv. con modif. in l. n. 225/2016 ), quelli risultanti da versamenti sui conti correnti del professionista che quest’ultimo non sia in grado di giustificare diversamente, nulla rilevando in contrario la parziale dichiarazione di incostituzionalità del citato art. 32, pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 , avendo essa avuto ad oggetto l’equiparazione tra attività imprenditoriale ed attività professionale solo limitatamente ai prelevamenti dai conti correnti e non ai versamenti.

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

I professionisti, ai fini dell’esclusione dal computo per la determinazione del reddito di imposta, devono dimostrare, con riferimento alle sole operazioni di versamento in conto corrente, che le stesse non rientrano tra i compensi riferibili alla loro attività, potendo diversamente costituire proventi utili ai fini dell’eventuale integrazione della fattispecie di dichiarazione infedele.

Cassazione penale sez. III  26/10/2017 n. 9378  

A seguito della introduzione dell’art. 10 bis l. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), ad opera del d.lg. n. 128/2015, che al comma 13 stabilisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto detta disposizione esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti. La portata dell’art. 4 d.lg. 74/2000, per effetto di tale innovazione, che ha sottratto all’area del penalmente rilevante le condotte costituenti mero abuso del diritto, è stata delimitata in negativo. Conseguentemente va revocata, ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna in tutti quei casi in cui le operazioni che hanno comportato l’infedeltà della dichiarazione siano state effettivamente realizzate, seppur con finalità elusive.

Cassazione penale sez. III  19/10/2017 n. 4733  

In tema di reati tributari, la confisca può essere adottata anche a fronte dell’impegno assunto dal contribuente di pagamento all’erario, producendo, tuttavia, effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Precisando ciò, la Cassazione ha accolto il ricorso contro l’applicazione della misura ablatoria su tutta la somma dovuta per dichiarazione infedele, malgrado la totale estinzione del debito fosse arrivata prima della sentenza di patteggiamento.

Cassazione penale sez. VII  13/07/2017 n. 44293  

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lg. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la condanna dall’imputato imprenditore, ritenendo non scusabile l’invocata mancata conoscenza delle prescrizioni contenute nell’art. 8 d.P.R. n. 633 del 1972 riguardanti le cessioni all’esportazione non imponibili).

by Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA