Risponde di bancarotta fraudolenta patrimoniale l’extraneus che concorre a distrarre il patrimonio della società in danno del ceto creditorio avendo la consapevolezza della qualità di imprenditore in capo al fallito.
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n. 37194/2019, con la quale la Suprema Corte si è pronunciata sui criteri legali della prova necessaria e sufficiente a ritenere dimostrata la penale responsabilità dell’extraneus per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Nello specifico, il Supremo Collegio, ha annullando con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo che l’elemento costitutivo del dolo sia provato, per la fattispecie scrutinata, dalla consapevolezza dello stato di dissesto della società e della qualità di imprenditore individuale del fallito.
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte di appello di Milano riformava la sentenza di condanna del locale Tribunale del luogo ha assolto l’imputato, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, tratto a giudizio con l’accusa di concorrente extraneus (con l’imprenditore individuale), nel reato di bancarotta patrimoniale fraudolenta p. e p. dall’ art 216 l.f. consumato attraverso la distrazione di somme di denaro che venivano corrisposte in tre tranche a titolo di prestito infruttifero per un importo di euro 2.750.000,00.
Secondo la Corte distrettuale le suddette operazioni venivano compiute in difetto del dolo richiesto dalla norma incriminatrice, non essendo l’imputato – extraneus assolto in secondo grado – a conoscenza della qualità di imprenditore commerciale del fallito né, tanto meno, dello stato di decozione della società.
Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.
Contro la sentenza emessa dalla Corte distrettuale milanese interponevano ricorso per cassazione sia il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Milano sia la parte civile, con due distinti atti, per ottenerne l’annullamento con rinvio della sentenza, articolando, ciascuna parte, plurimi motivi di impugnazione.
Secondo la tesi promossa dalla difesa di parte civile la motivazione resa dalla Corte di appello di Milano era censurabile per aver escluso la punibilità dell’extraneus escludendo profili di dolo nelle condotte distrattive poste in essere in concorso con l’imprenditore dichiarato fallito malgrado tale consapevolezza fosse emersa in sede dibattimentale, denunciando il vizio di travisamento della prova.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso della curatela fallimentare annullando con rinvio la sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al giudice civile di grado di appello competente per l’ulteriore corso, dichiarando inammissibile il ricorso incardinato dal PM per aspecificità dei motivi
Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento di particolare interesse per gli operatori di diritto che si occupano del diritto penale fallimentare.
- La ricostruzione operata dal Tribunale delle condotte distrattive ascritte all’extraneus nel reato di bancarotta patrimoniale fraudolenta:
“Il Tribunale svolge un’ampia premessa per affermare, sulla scorta delle Sezioni Unite Niccoli (n. 19601 del 28/02/2008, Rv. 239398), che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore.
Da tale principio il giudice di primo grado fa derivare l’affermazione della «impossibilità (in sede penale) di procedere ad una valutazione dell’atteggiamento psicologico del concorrente esterno, imputato nel procedimento penale, in relazione alla sua conoscenza dei presupposti di operatività del fallimento» (pag. 7).
Quindi, ricostruiti i fatti sulla base delle risultanze probatorie acquisite (pagg. 9-19), il Tribunale perviene alla affermazione di colpevolezza dell’imputato sulla scorta delle seguenti considerazioni. Dall’istruttoria dibattimentale è emerso che fu proprio omissis, in occasione di una cena con omissis e omissis, ad avanzare la richiesta di denaro a quest’ultimo.
In particolare omissis ebbe a descrivere a omissis la difficile situazione finanziaria di omissis, affermando che tramite la concessione di un prestito tale criticità sarebbe stata superata. Inoltre è stato accertato che omissis e omissis non si erano in origine accordati per spartirsi il denaro, e che l’imputato, una volta che omissis aveva ricevuto la prima tranche di denari, pretese da omissis una percentuale pari al 40% circa a titolo di contropartita per l’attività di “mediazione”.
Lo stesso accadde, in proporzioni analoghe, per la seconda e per la terza tranche.”
- La diversa valutazione della Corte di appello legittimante l’assoluzione.
“La pronuncia di condanna viene rimossa dalla Corte di appello sul rilievo, “centrale e dirimente”, della insussistenza dell’elemento soggettivo del concorso di omissis quale extraneus nel reato fallimentare “proprio” attribuito a omissis.
La Corte distrettuale evidenzia che il vaglio del Tribunale si è arrestato alla insindacabilità in sede penale della sentenza di fallimento, senza tuttavia interrogarsi sulla necessità che extraneus fosse a conoscenza della qualità soggettiva dell’imprenditore con il quale concorre nella distrazione prefallimentare.
Il ragionamento del giudice di secondo grado si dipana attraverso gli snodi argomentativi di seguito sintetizzati.
Al fine di configurare la responsabilità del concorrente esterno nel reato proprio di bancarotta è indispensabile, tra l’altro, la sua consapevolezza della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico, nella specie l’imprenditore commerciale, come tale assoggettabile a fallimento.
Il fallimento di omissis, quale titolare dell’omonima impresa individuale (operante di fatto e non iscritta al Registro delle imprese), è stato dichiarato dal Tribunale di Milano con sentenza del 7 aprile 2011 a seguito dei ricorsi presentati dal fallimento omissis e dal pubblico ministero, sul presupposto che il omissis svolgesse in proprio, da diversi anni, procacciando contratti per personaggi dello spettacolo e promuovendone l’immagine, quell’attività di intermediazione e di management artistico, che era tipica della predetta omissis.
I finanziamenti di omissis a omissis (tramite il rag. omissis sono avvenuti il 21 gennaio 2010 (per euro 950.000,00 di cui euro 450.000,00 girati a omissis), il 18 marzo 2010 (per euro 1.500.000,00, di cui euro 500.000,00 girati a omissis ) e nel periodo luglio-ottobre 2010 (per complessivi euro 300.000,00 di cui euro 160.000,00 consegnati a omissis).”
- Il vizio di travisamento della prova, la illogicità manifesta della motivazione della sentenza impugnata ed il principio di diritto applicato al caso di specie in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
“La sentenza impugnata è affetta dai denunciati vizi di travisamento della prova e di illogicità manifesta.
Il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (tra le altre Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 – 01).
In tal caso il controllo di legittimità consiste nel verificare che la motivazione non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Nel caso in esame la Corte distrettuale ritiene non raggiunta la prova della consapevolezza in capo a omissis, al momento di realizzazione delle operazioni distrattive (collocate nel 2010), della qualità di imprenditore in proprio di omissis poiché, secondo la predetta Corte, la “esteriorizzazione” di detta qualifica è avvenuta soltanto nel 2011, a seguito della presentazione dei ricorsi per la dichiarazione del fallimento nei confronti di omissis in proprio, mentre, fino a quel momento, il dato conosciuto, ai più e a omissis stesso, era che omissis svolgesse attività imprenditoriale in forma societaria, non come imprenditore individuale.
La parte civile attacca l’affermazione della Corte di appello sulla carenza di prova e indica gli atti del processo idonei a confutarla, nel senso che da essi risultano informazioni decisive, ignorate dal giudice di merito, suscettibili di dimostrare come l’imputato fosse stato pienamente consapevole della qualifica di imprenditore individuale di omissis sin da epoca anteriore a quella in cui si collocano le operazioni distruttive.
Va anzitutto chiarito che la sentenza di fallimento ha natura dichiarativa erga omnes (cfr. da ultimo Sez. 1 civ., n. 30107 del 21/11/2018, Rv. 651492 – 01). Ne consegue che sotto il profilo della imputazione soggettiva del reato di bancarotta fraudolenta, la dichiarazione di fallimento è irrilevante, mentre, come detto, quel che occorre accertare è la conoscenza da parte dell’extraneus della qualifica dell’intraneus.
Sul piano formale la Corte di appello ha trascurato che l’impresa individuale del omissis non ha fatto la sua prima comparsa con la dichiarazione di fallimento, perché si era “esteriorizzata” già prima, attraverso la titolarità sia di una partita Iva fino al 31 maggio 2010 (epoca successiva al versamento delle prime due tranche del finanziamento) sia di marchi detenuti dal omissis personalmente.
Sotto il profilo soggettivo, poi, dalle stesse dichiarazioni raccolte nel corso del processo emerge come l’extraneus fosse consapevole della qualifica rivestita dal soggetto qualificato, poiché sono omissis, in sede di esame dibattimentale, e lo stesso omissis, in sede di interrogatorio reso al P.M. e acquisto al fascicolo del dibattimento, a riferire che il secondo si è avvalso delle prestazioni offerte dal primo come agente di spettacolo.”
“La Corte distrettuale, nel tirare le fila del proprio ragionamento, osserva: «Insomma nel registro probatorio c’è un elemento non indispensabile (sebbene la consapevolezza dello stato di insolvenza costituisca un indice inequivocabile del dolo del concorrente che alla distrazione abbia prestato il proprio consenso, giacché tale consapevolezza contiene – senza necessità di prova ulteriore – la rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi della massa), ma difetta la prova della conoscenza da parte dell’extraneus circa la qualità soggettiva dell’intraneus» (pag. 16).
Questo incedere motivazionale presenta la frattura logica denunciata dalla parte civile.
Invero le due proposizioni, in cui si struttura il citato fondamentale passaggio argomentativo, si pongono in evidente contrasto tra loro: affermare che il registro probatorio copre la consapevolezza, da parte di Fede, dello stato di insolvenza che a sua volta contiene – senza necessità di prova ulteriore – la rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi della massa, significa riconoscere, non negare, che Fede abbia avuto contezza della qualità di imprenditore di Mora, altrimenti l’imputato non avrebbe mai potuto prefigurarsi quella pericolosità per la “massa” che la stessa Corte afferma sia stata dimostrata.
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Riferimento normativo.
Art. 216 l.f., bancarotta fraudolenta:
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:
- 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato (1) in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
- 2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (2).
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione (3).
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Art. 110 c.p. Pena per coloro che concorrono nel reato:
Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.
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La giurisprudenza di legittimità.
Quadro giurisprudenziale in tema di concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta propria.
Cassazione penale sez. V, 19/03/2019, n.15796:
Risponde del reato di bancarotta fraudolenta colui che, pur non rivestendo la qualifica di imprenditore commerciale (ovvero di amministratore, direttore generale, sindaco o liquidatore di società fallita) apporti un concreto contributo materiale o morale alla produzione dell’evento, sempre che l’attività di cooperazione col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento, occorrendo, in punto di elemento soggettivo del reato, la volontarietà della condotta dell'”extraneus” di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori.
Cassazione penale sez. V, 05/07/2018, n.49499:
Un comportamento postumo del terzo extraneus non è idoneo a configurare la fattispecie del concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso dall’intraneus, dovendo la condotta del terzo essere anteriore o comunque concomitante a quella distrattiva dell’imprenditore fallito (o dell’amministratore della società fallita).
Cassazione civile sez. I, 21/11/2018, n.30107:
Ai sensi dell’art. 18 l.fall. “qualunque interessato” è legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento e, perciò, ogni soggetto che possa riceverne un pregiudizio specifico, di qualsiasi natura, anche solo morale, attesa la natura dichiarativa “erga omnes” della sentenza che comporta l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante e non di mero fatto in capo a chi possa ottenere una qualche utilità giuridica semplicemente per effetto della sua rimozione (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte d’appello che aveva escluso la legittimazione dei lavoratori dipendenti di una società fallita a proporre reclamo avverso la sentenza di fallimento; e ciò avuto riguardo alla circostanza che già con l’apertura della procedura ai rapporti di lavoro subordinato in corso si applica l’art. 72 l.fall.)
Cassazione penale sez. V, 27/03/2018, n.27141:
In tema di concorso nel reato di bancarotta preferenziale, il dolo dell'”extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.
Cassazione penale sez. V, 21/11/2017, n.2298:
Non è configurabile il reato di riciclaggio del denaro provento di bancarotta fraudolenta per distrazione, bensì quello di concorso dell’extraneus nel reato di cui all’art. 216 l. fall., nella condotta del soggetto che riceve somme di denaro provenienti dalla società poi fallita, con la consapevolezza dello stato di dissesto finanziario della stessa ed in mancanza di titolo giustificativo.
Cassazione penale sez. V, 24/03/2017, n.17819:
L’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale si giustifica, dato il rapporto di specialità specifica, solo se l’ingiustificato distacco di una parte del valore del bene, frutto dell’atto infedele dell’amministratore, sia anche espressione di una consapevole e concreta esposizione a pericolo degli interessi dei creditori.
Cassazione penale sez. VI, 04/10/2016, n.46645:
È configurabile il concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per l’amministratore della Srl che beneficia dell’attività distrattiva messa in atto dall’amministratore unico di una Spa, il quale aveva fatto confluire, senza ricevere corrispettivo, i beni della Spa da lui gestita quale amministratore unico, condannato per bancarotta per distrazione in un altro processo. Lo afferma la Cassazione per la quale, per il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione “il ruolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un deauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore”, mentre non è richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.
Cassazione penale sez. III, 02/07/2014, n.43322:
La condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli art. 581, comma 1, lett. c), e 591 c.p.p.
Cassazione penale sez. II, 03/10/2013, n.47035:
Il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p., può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. (Fattispecie in tema di usura in cui la Corte ha configurato il vizio di travisamento, per la mancata valutazione di una prova fornita dalla difesa, consistente nella registrazione di una conversazione intercorsa tra l’imputato e la persona offesa, astrattamente idonea a confutare l’ipotesi accusatoria).
Cassazione civile sez. I, 04/12/2012, n.21681:
Secondo l’ampia dizione dell’art. 18 l. fall., è legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento ‘qualunque interessato’ e, perciò, ogni soggetto che ne abbia ricevuto o possa riceverne un pregiudizio specifico, di qualsiasi natura, anche solo morale. Pertanto, seppure il fallimento sia stato chiuso per mancanza di domande di ammissione al passivo o per avvenuto pagamento dei creditori e delle spese di procedura, l’imprenditore fallito resta legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento, essendo “in re ipsa” il pregiudizio che questa infligge alla sua reputazione commerciale.
Cassazione penale sez. un., 28/02/2008, n.19601:
Il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti penali in corso.
Cassazione penale sez. V, 20/03/2007, n.19297:
“In tema di reati fallimentari, alle procedure concorsuali e penali avviate prima della data di entrata in vigore della d.lg. n. 5 del 2006, che ha modificato la nozione di piccolo imprenditore contenuta nell’art. 1 comma 2 l. fall., resta applicabile la l. fall. previgente, anche per quanto attiene alla identificazione del soggetto assoggettabile al fallimento ed alla nozione di piccolo imprenditore, considerato che l’art. 150 d.lg. n. 5 del 2006 detta una chiara disciplina transitoria per la quale “i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del d.lg. n. 5 del 2006, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore”.
Cassazione penale sez. V, 26/06/1990, n.15850:
Il delitto di distrazione fallimentare non è un reato di pura condotta, in quanto in esso è configurabile un evento storico naturalistico. La distrazione, infatti, è il “compimento di qualsiasi atto negoziale di disposizione patrimoniale, affetto da anomalie genetiche e/o funzionali, dal quale deriva una diminuzione patrimoniale oggettivamente certa e prevedibile” (nella specie la cassazione ha ritenuto condivisibile la tesi dei giudici di appello che avevano individuato l’evento naturalistico di una distrazione, operata a mezzo di prestiti-finanziamenti, nella diminuzione del patrimonio delle banche il cui denaro veniva stornato dai loro fondi in violazione di leggi, per fini riguardanti un “gruppo” e senza garanzie patrimoniali – o su garanzie elusive).
by Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA