La Cassazione annulla il capo di sentenza che infligge alla società la misura interdittiva in dispregio dei presupposti previsti nel decreto legislativo 231/2001.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n.38115/2019 – depositata il 25.09.2019, con la quale la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi in materia di responsabilità degli Enti, ha annullato la misura interdittiva disposta nei confronti della società, per i reati di truffa e di falso commessi da alcuni dipendenti ai danni di una Asl, annullando senza rinvio il relativo capo di sentenza perché pronunciato in assenza dei presupposti indicati nel decreto 231/2001.

L’imputazione e il doppio grado di giudizio.

La Corte di appello di Messina riformava parzialmente la condanna emessa dal tribunale in sede nei confronti dei giudicabili  tratti a giudizio per associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di vari reati contro il patrimonio.

In sintesi, secondo quanto è ricavabile dalla sentenza in commento, risulta che i prevenuti, per mezzo di una la società che operava nel settore di vendita di apparecchi e riparazione di protesi acustiche presso l’ospedale del luogo, ponevano in essere condotte truffaldine consistite nella presentazione di falsa documentazione afferente esami specialistici e certificati di collaudo di tali strumenti, al fine di trarne un illecito profitto, addebitando i costi delle relative attività al Servizio Sanitario Nazionale in violazione della normativa prevista in materia di assistenza protesica.

Con la declaratoria di condanna, tenuto conto dell’istanza di concordato avanzata da alcuni imputati ex art 599-bis, la Corte rideterminava la pena nei confronti degli altri imputati, rivalutando la sanzione pecuniaria irrogata tenendo conto del valore delle singole quote, rigettando nel resto il gravame confermando, anche, la sanzione interdittiva disposta all’esito del giudizio di primo grado nei confronti dell’ente.

Il giudizio di legittimità ed il  principio di diritto.

Avverso il provvedimento de quointerponevano ricorso per cassazione, con separati atti, la difesa degli imputati e della società destinataria delle comminatorie ai sensi del d.lgs.231/2001

Per quanto qui di interesse, Il Supremo Collegio ha annullato (senza rinvio) la sentenza impugnata disponendo la revoca della misura interdittiva inflitta alla società,  mentre, sempre in accoglimento del ricorso promosso dalla difesa dell’ente, ha annullato il capo di sentenza relativo alla sanzione pecuniaria inflitta alla società con rinvio alla Corte di appello di Messina per nuovo esame.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento che affrontano il tema della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato.

(i) la ricostruzione delle condotte integranti i reati di truffa e falso quale indefettibile  presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente:

“Il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso, ripresi dalla memoria difensiva trasmessa in limine, sono inammissibili in quanto finalizzati alla rilettura degli elementi di prova.

La falsità della prescrizione di apparecchio acustico (capo 111)) e del collaudo (capo 112)) e la materiale contraffazione della cartella clinica n. 20 del 2005 relativa a omissis (capo 113)) sono state ricostruite non solo attraverso le dichiarazioni della medesima paziente, acquisite per sopravvenuta irripetibilità ex art. 512 cod. proc. pen., e della figlia di costei, ma, soprattutto, attraverso i riscontri documentali e le dichiarazioni del Professor omissis, presso il cui studio risultano apparentemente formati gli esami strumentali e che ha esplicitato, anche attraverso l’apporto conoscitivo qualificato derivantegli dalla specializzazione nella materia, l’incongruità del collaudo rispetto alla patologia di cui la medesima paziente era portatrice.

La riconducibilità dei falsi agli imputati, nella rispettiva qualità di tecnico audiometrista il omissis e di medico specialista l’omissis, è stata, del pari, condotta attraverso una trama indiziaria che non evidenzia alcun profilo di criticità, valorizzando i rapporti tra i coimputati, l’accessibilità allo studio omissis e gli interessi perseguiti, nel quadro dell’accertata contraffazione della cartella clinica sub 113). In siffatto contesto, ed a fronte della mancanza di documentazione atta a comprovare l’effettività della visita e degli esami, sono state correttamente valutate le dichiarazioni della teste… e quelle rese nella fase investigativa dalla stessa omissis. Di guisa che le censure dei ricorrenti finiscono per richiedere, sostanzialmente, una inammissibile rivalutazione dei fatti e delle prove (ex multis Sez. 5, n.51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623) mediante deduzioni, reiterative dell’appello ed analiticamente superate nella sentenza impugnata, in toto versate in fatto.”

“Nella delineata prospettiva, il giudizio probatorio non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli elementi acquisiti al processo, né procedere ad una mera sommatoria quantitativa di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli dati dimostrativi per verificarne l’affidabilità e l’intrinseca valenza persuasiva e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano comunque rimaste prive di adeguato riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (V. Sez. 1, n.20461 del 12/04/2016, P.C. in proc. Graziadei, Rv. 266941).Nel caso in esame, lo sviluppo argomentativo rappresentato nelle conformi sentenze di merito appare corrispondente al predetto standard giustificativo, mentre le censure riproposte ancora nella presente sede di legittimità finiscono con il richiedere alla Corte una impropria rilettura dei dati probatori che – come rilevato – non è idonea ad incrinare anche solo in astratto la tenuta logica della motivazione.

La sentenza impugnata dà, pertanto, conto dell’affermazione di responsabilità dell’imputato attraverso una trama motivazionale logica ed aderente alle emergenze processuali, mentre le relative censure intendono richiedere alla Corte un apprezzamento ponderato tra opposte ricostruzioni della vicenda, compiutamente scrutinata dal giudice di merito, inammissibile in sede di legittimità.

Di guisa che dal testo della sentenza impugnata non è dato ravvisare alcuna omissione valutativa, né alcuna disarticolazione del ragionamentogiustificativo, con il quale i ricorrenti omettono di confrontarsi (Sez. U. n.8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).”

 (ii) Le condizioni che legittimano l’adozione di una misura interdittiva di cui al combinato disposto degli artt. 13 e 20  D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 e l’errore dei Giudici di merito.

“La sanzione interdittiva è stata, invece, applicata fuori dei casi previsti dalla legge.

L’art. 13 del d. Igs. 231/2001 subordina l’irrogazione della predetta sanzione, ove espressamente prevista, all’alternativa ricorrenza o di un profitto di rilevante entità, ovvero in ipotesi di reiterazione degli illeciti, a termini del successivo art. 20.

Nel caso in disamina, nel quale non risulta contestata la rilevante entità del profitto, difetta il requisito alternativo della reiterazione dell’illecito, che si configura solo quando l’ente, già condannato in via definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commetta un altro nei cinque anni successivi alla condanna definitiva. In altri termini, non sussiste quella forma di recidiva, declinata dall’art. 20 del d. Igs. 231/2001 che, in assenza della rilevante entità del profitto, avrebbe potuto giustificare l’irrogazione anche della sanzione interdittiva. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio quanto alla sanzione interdittiva in quanto illegalmente irrogata e, quanto alla sanzione pecuniaria, con rinvio al giudice del merito perché, con piena libertà di giudizio ma facendo corretta applicazione dei principi enunciati, proceda a nuovo esame sul punto.

(iii) Il vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio a carico dell’Ente.

“Il ricorso proposto da omissis s.n.c. è fondato solo in riferimento al trattamento sanzionatorio. Dalla sentenza di primo grado, alla quale la decisione impugnata – limitandosi a determinare l’importo corrispondente alla singola quota – ha fatto riferimento, non risulta esplicitato il percorso argomentativo che ha condotto il giudice di merito alla quantificazione della sanzione pecuniaria in numero di trecento quote.

Di guisa che non risulta giustificato l’esercizio del potere discrezionale di cui all’art. 11 d. Igs. 231/2001, censurato con il gravame, che, anche in tema di sanzioni irrogate all’ente ai sensi dell’art. 10, deve confrontarsi con i criteri declinati dall’art. 133 cod. pen., esplicitamente richiamati anche in tema di trattamento sanzionatorio nel generale statuto della responsabilità degli enti derivante da reato.

E’, invece, priva di pregio la deduzione che pretende di far discendere dalla confisca del profitto dei reati, peraltro non documentata – con conseguente difetto di autosufficienza del ricorso sul punto – la diminuzione della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 12, comma secondo, lett. a) d. Igs. 231/2001, prevista per il caso di condotte riparatorie dell’ente, alle quali è del tutto estranea l’esecuzione della misura ablatoria disposta dall’autorità giudiziaria.”

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Riferimento normativo.

Art 13 D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, Sanzioni interdittive:

  1. 1. Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
  2. a) l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entitàe il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
  3. b) in caso di reiterazione degli illeciti.
  4. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 25, comma 5, le sanzioni interdittive hanno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni.
  5. Le sanzioni interdittive non si applicano nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento sulle misure interdittive in danno dell’Ente.

Cassazione penale sez. III, 08/06/2016, n.45472:

In caso di responsabilità da reato degli enti, le sanzioni interdittive sono sanzioni “principali” e non “accessorie”; pertanto, in caso di sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. queste ultime devono essere oggetto di un espresso accordo processuale tra le parti in ordine al tipo ed alla durata delle stesse e non possono essere applicate dal giudice in violazione dell’accordo medesimo.

Cassazione penale sez. un., 25/09/2014, n.11170:

In tema di responsabilità da reato degli enti, il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita. (In motivazione la Corte ha precisato che il curatore, in quanto soggetto terzo rispetto al procedimento cautelare, non è titolare di diritti sui beni in sequestro, né può agire in rappresentanza dei creditori, non essendo anche questi ultimi, prima assegnazione dei beni e della conclusione della procedura concorsuale, titolari di alcun diritto sugli stessi).

Cassazione penale sez. VI, 25/01/2010, n.20560:

Il giudice, nell’applicazione delle sanzioni interdittive, deve tener conto della realtà organizzativa dell’ente per neutralizzare il luogo nel quale si è originato l’illecito, valorizzando l’adeguatezza e la proporzionalità della sanzione, nel rispetto del criterio dell'”extrema ratio”. La “specifica attività” richiamata dall’art. 14 d.lg. 231/2001 in materia di scelta delle sanzioni, ad opera del giudice, impone che la tipologia sanzionatoria non operi in modo generalizzato e indiscriminato, ma si adatti, ove possibile, alla specifica attività dell’ente che è stata causa dell’illecito.

Tribunale Milano sez. XI, 19/01/2010:

In forza del principio di proporzione delle misure cautelari, codificato dall’art. 46 comma 2 d.lg. n. 231/2001, il soggetto passivo della cautela non può subire più di quanto debba poi subire in via di applicazione della sanzione: conseguentemente, per poter applicare una misura cautelare interdittiva occorre che sussistano tutti i presupposti necessari per l’applicazione della relativa sanzione interdittiva. Con espresso riferimento al tipo di sanzione da infliggere, l’art. 25 comma 4 d.lg. 231/2001 richiama la corruzione internazionale come reato presupposto esclusivamente per l’applicazione di sanzioni pecuniarie consentendo così di configurare l’illecito a carico dell’ente, altrimenti non possibile in forza del principio di tassatività degli illeciti amministrativi.

Cassazione penale sez. un., 27/03/2008, n.26654:

Il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto, ai sensi degli art. 19 e 53 del d. lg. n. 231/01, nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.

Cassazione penale sez. II, 26/02/2007, n.10500:

In materia di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, le sanzioni interdittive che, a norma dell’art. 45 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, possono essere applicate anticipatamente in via cautelare sono le stesse irrogabili all’esito del giudizio di merito e, correlativamente a quanto accade per l’irrogazione della sanzione interdittiva con la sentenza di condanna, presuppongono la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 13 decreto n. 231 del 2001, e cioè: la gravità indiziaria della responsabilità dell’ente per uno dei reati per i quali tali sanzioni siano espressamente previste, nonché almeno una delle condizioni previste dalla stessa norma (la reiterazione degli illeciti ovvero l’avere l’ente tratto dal reato un profitto di rilevante entità, con l’aggiunta, se si tratta di reato commesso da soggetti sottoposti all’altrui direzione, dell’essere stata determinata o agevolata la commissione del reato da gravi carenze organizzative).

Tribunale Agrigento, 18/07/2005:

Il presupposto per l’applicazione, a titolo cautelare, delle misure interdittive di cui all’art. 9 comma 2 l. 8 giugno 2001, n. 231, è che devono sussistere gravi indizi di colpevolezza dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato, che si può unicamente configurare quando l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale.

by Claudio Ramelli @Riproduzione Riservata