L’errore diagnostico dell’ortopedico connotato da colpa grave esclude le cause di non punibilità previste dal Decreto Balduzzi e dalla legge Gelli – Bianco.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 41002/2019 – depositata il 07.10.2019 con la quale, la Suprema Corte, ha escluso che le condotte colpose contestate ai due sanitari e scrutinate in sede di legittimità per i denunciati vizi di legge e di motivazione,  potessero rientrare nell’alveo delle cause di non punibilità previste dal Decreto Balduzzi e dalla legge Gelli – Bianco succedutesi nel tempo a far data dal commesso reato.

Il caso clinico, l’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Taranto confermava la sentenza di condanna  emessa dal locale Tribunale in sede appellata dagli imputati, ritenuti penalmente responsabili del reato di lesioni colpose aggravate (art 590 cod. pen.), poiché entrambi nella qualità di specialisti in  ortopedia, operanti  presso la struttura ospedaliera, omettevano di rilevare all’esito dell’esame radiografico la lussazione posteriore delle articolazioni omero-radiale ed omero-ulnare in esiti di frattura scomposta dal capitello radiale e del processo coronide dell’ulna nonché la lesione totale del legamento collaterale ulnare,  refertando all’esito della radiografia solo “una lussazione dell’articolazione del gomito e frattura del capitello radiale”, per la quale nei giorni successivi il paziente veniva sottoposto dai due sanitari, in qualità di primo e secondo operatore, ad intervento chirurgico per stabilizzare l’articolazione con l’introduzione di una capsula plastica, quindi per colpa consistita in negligenza e imperizia valutavano erroneamente le risultanze del predetto esame, dal quale, viceversa,  si evincevano condizioni cliniche che troveranno riscontro nell’esame di risonanza magnetica al quale il paziente si sottoponeva nei mesi successivi all’intervento per il forte dolore patito.

L’esame confermava un “mal consolidamento della frattura di gomito con perdita dei rapporti articolari e marcate calcificazioni pariarticolare”: da qui l’imputazione di lesioni colpose aggravate.

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Supremo Collegio ha dichiarato l’estinzione del reato per  intervenuta prescrizione del reato rigettando il ricorso agli effetti civili

Di seguito si riportano i passaggi di maggiore interesse per gli operatori di diritto che si occupano della colpa medica.

(i) La ricostruzione delle condotte connotate da colpa grave dei sanitari sia in fase diagnostica che terapeutica:

Quanto all’art. 590-sexies cod. pen., se ne evidenzia l’inapplicabilità, essendo emerso, appunto dalla doppia conforme di merito, un grave errore terapeutico (apposizione di fissatore esterno anziché intervento chirurgico) derivante da un gravissimo errore diagnostico, cioè la esclusione della frattura, invece esistente, nonostante le evidenze radiografiche, ciò che ha comportato la scelta di linee-guida assolutamente inadeguata nel caso concreto: si tratterebbe, dunque, di negligenza e non già di imperizia, e, richiamata al riguardo parte della motivazione di Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 2018, Mariotti, assume che ciò comporterebbe anche l’inapplicabilità dell’art 3, comma 1, prima parte della previgente legge-Balduzzi («L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve») circa l’irrilevanza penale delle condotte dei sanitari connotate da colpa lieve.”

(ii) Il principio di diritto dettato in ordine criteri motivazionali di colpa medica per condotte omissive:

“I giudici di merito, infatti, in primo luogo, hanno ritenuto che i due sanitari non abbiano approfondito adeguatamente il tipo di problema che emergeva – quantomeno – dalla radiografia effettuata sei giorni prima.

Infatti, seppure anche risultassero fondate le – articolate – censure difensive circa la ravvisabilità di una lieve infrazione piuttosto che di una seria frattura del capitello radiale, emergono dalle sentenze di merito anche gli aspetti dell’inadeguato approfondimento del caso e della non evidenziazione da parte dei due ortopedici della rottura dei legamenti, rottura dei legamenti che sarebbe poi inoppugnabilmente emersa come presente e non risolta in base agli esami svolti tempo dopo, il 21 febbraio 2011 (p. 5 della sentenza impugnata), aspetto con il quale i ricorsi non si confrontano e rispetto alla quale non sono stati nemmeno prospettati i fattori causali alternativi che sono stati adeguatamente disattesi, quanto alla tesi della scomposizione successiva della frattura, dai giudici di merito (pp. 5-6 della decisione) .

In conseguenza, i sanitari sono stati riconosciuti responsabili sia di un errore diagnostico, prima, sia di un errore nel trattamento sanitario, poi, senza adeguarsi alle leges artis e, quindi, con applicazione di linee-guida inadeguate. Pertinente è, pertanto, il richiamo da parte della Corte territoriale (alla p. 6) alle molteplici puntualizzazioni recentemente svolte dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 2018, Mariotti ed altro).”

La valutazione circa il grado di colpa svolta dai giudici di merito è sostanzialmente svolta in termini di gravità, dovendosi intendere il passaggio finale della sentenza (p. 8) a proposito della non gravità dei fatti, passaggio sul quale, come si è visto, insistono le difese, come impreciso e facente riferimento, in realtà, non già al grado della colpa dei medici ma – come chiarito dal prosieguo del discorso (pp. 8-9) – alla constatazione che le conseguenze residue per il paziente non sono attribuibili esclusivamente al riconosciuto errore diagnostico-terapeutico dei medici ma anche al tipo di infortunio in sé, cioè alla situazione “a monte” che ha determinato il ricorso alle cure dei sanitari.

In tale complessivo contesto argomentativo, la questione della somministrazione dell’antibiotico, ove il richiamo alla linee-guida internazionali da parte dei giudici di merito appare innegabilmente generico, non è, a ben vedere, di centrale importanza, dovendosi, comunque, evidenziare il riferimento, che risulta, seppure stringato, logico e congruo, da parte dei giudici di merito alla presenza di viti che fuoriuscivano dal braccio per il fissaggio esterno dell’apparecchio, ciò che avrebbe consigliato – si è ritenuto la somministrazione di antibiotico (p. 7 della sentenza impugnata). Infine, il secondo motivo della difesa  omissis trascura la circostanza che la sentenza impugnata, alle pp. 7-8, ha emendato la chiara imprecisione concettuale che si rinviene alla p. 6 della sentenza di primo grado.

In definitiva, il tessuto motivazionale della decisione censurata risulta complessivamente conforme all’insegnamento della S.C., secondo cui «In tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, in base all’art. 2, quarto comma, cod. pen., la motivazione della sentenza di merito deve indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, specificare di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza), appurare se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinicoassistenziali» (Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018, ric. De Renzo, Rv. 273463-01).”

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Riferimento normativo:

Art. 590 sexies cod. pen., responsabilità  colposa  per  morte o lesioni personali in ambito sanitario:

Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilita’ e’ esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificita’ del caso concreto.

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Rassegna giurisprudenziale in materia di colpa medica sulla prova del nesso di causalità fra l’errore diagnostico-terapeutico e l’evento lesivo prodotto:

Cassazione penale sez. IV, 22/06/2018, n.37794

In tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, in base all’art. 2, quarto comma, cod. pen., la motivazione della sentenza di merito deve indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, specificare di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza), appurare se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali.

Cassazione penale sez. IV, 29/01/2019, n.28086

Il secondo comma dell’ art. 590 sexies c.p., introdotto dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), è norma più favorevole rispetto all’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, in quanto prevede una causa di non punibilità dell’esercente la pro­fessione sanitaria collocata al di fuori dell’area di operatività della colpevolezza, operante nel solo caso di imperizia e indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta (anche gravemente) imperita nell’applicazione delle stesse. La pronunzia peraltro ha ritenuto inapplicabile al caso concreto la causa di non punibilità, essendo la colpa dell’agente connotata anche da imprudenza e negligenza.

Cassazione penale sez. un., 21/12/2017, n.8770

Alla luce del principio posto dall’art. 2, IV comma c.p. sulla successione delle leggi penali nel tempo e del connesso tema concernente l’individuazione della legge più favorevole, l’art. 3 della l. 189/12 (abrogato dal successivo art. 590-sexies c.p. della l  24/17), risulta più favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario – commessi prima dell’entrata in vigore della l. 24/17 – connotati: a) da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve, in quanto solo per la l. 189/12 erano esenti da responsabilità quando risultava provato il rispetto delle linee guida o delle buone pratiche accreditate; b) da imperizia, con configurazione di colpa lieve, nel momento selettivo delle linee-guida e ciò su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida in quanto coperto da esenzione da responsabilità. Quanto, invece, sempre nell’ambito dell’imperizia, ad errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa, è ininfluente l’individuazione della legge più favorevole posto che la fattispecie è esente da responsabilità ex art. 3 l. 189/12 ed è altresì oggetto di causa di non punibilità in base all’art. 590-sexies c.p. ex legge 24/17.

Cassazione penale sez. IV, 11/05/2016, n.23283

L’intervenuta parziale “abolitio criminis”, realizzata dall’art.3 legge n.189 del 2012 in relazione alle ipotesi di omicidio e lesioni colpose connotate da colpa lieve, comporta che, nei procedimenti relativi a tali reati, pendenti in sede di merito alla data di entrata in vigore della novella, il giudice, in applicazione dell’art.2, comma secondo, cod.pen., deve procedere d’ufficio all’accertamento del grado della colpa, in particolare verificando se la condotta del sanitario poteva dirsi aderente ad accreditate linee guida.

Cassazione penale sez. IV, 14/02/2013, n.18573

In tema di omicidio, sussiste il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del medico specialistico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di contrafattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva. (Fattispecie nella quale il sanitario di turno presso il pronto soccorso non aveva disposto gli accertamenti clinici idonei ad individuare una malattia cardiaca in corso e, di conseguenza, non era intervenuto con una efficace terapia farmacologica di contrasto che avrebbe rallentato significativamente il decorso della malattia, così da rendere utilmente possibile il trasporto presso struttura ospedaliera specializzata e l’intervento chirurgico risolutivo)

Cassazione penale sez. IV, 04/10/2012, n.43459

In tema di responsabilità medica, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha affermato, in ordine al reato di lesioni personali gravi, la responsabilità dei medici – per non aver rimosso, nel corso di un intervento chirurgico, una garza dall’addome del paziente – omettendo di esaminare le doglianze degli appellanti relative all’assenza di dette garze presso la struttura sanitaria in cui venne eseguito l’intervento, alle specifiche patologie del paziente ed all’eventualità che le stesse avessero richiesto esami strumentali endoscopici cui ricollegare la presenza della garza).

Cassazione penale sez. IV, 10/05/2012, n.20650

In tema di responsabilità omissiva del medico per la morte del paziente, la verifica dell’esistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento lesivo presuppone l’effettuazione del cd. “giudizio controfattuale” diretto a stabilire se l’azione o le condotte positive ritenute doverose e invece omesse, nel caso concreto, ove ipotizzate come poste in essere dall’imputato, sarebbero state idonee a evitare l’evento o a ritardarne significativamente la sopravvenienza: tale verifica deve in concreto operarsi, in termini di ragionevole certezza (“alto grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”), secondo tutte le circostanze che connotano il caso, e non già in termini di mera probabilità statistica pur rivelatrice di “serie e apprezzabili probabilità di successo” per l’azione impeditiva dell’evento, Sezioni Unite, 10 luglio 2002, Franzese. (Nella fattispecie, si contestava ai medici l’avvenuto decesso del paziente, sul rilievo che questi, pur in presenza di una sintomatologia – dolore toracico intermittente – che avrebbe dovuto indurre il sospetto di un’angina ingravescente, avevano omesso di richiedere una consulenza cardiologia e di effettuare i necessari accertamenti diagnostici – il dosaggio degli enzimi cardiaci – che avrebbero consentito di instaurare con urgenza la terapia necessaria, dimettendo anzi il paziente, poi deceduto, con l’errata diagnosi di patologia di origine gastrica: la Corte ha annullato con rinvio la decisione, rilevando come fosse mancato il suindicato giudizio controfattuale, risolto in modo apodittico e immotivato con l’affermazione che se il paziente “fosse rimasto in ospedale, anche nell’ipotesi in cui non fossero stati effettuati gli esami ematochimici… avrebbe potuto ricevere le cure necessarie e salvarsi”).

Cassazione penale sez. IV, 06/11/2007, n.840

In tema di responsabilità professionale medica, è da ritenersi di natura commissiva e non omissiva la condotta del medico che adotti una terapia errata (e quindi ometta di somministrare quella corretta), con la conseguenza che in tale caso il giudizio controfattuale si esaurisce nella verifica delle conseguenze derivanti dall’eliminazione mentale della condotta realmente posta in essere, non dovendosi spingere alla valutazione delle conseguenze della condotta impeditiva nei fatti non realizzata (nella specie, la Corte ha ravvisato la responsabilità del medico a titolo di omicidio colposo per aver somministrato le terapie in dosaggi superiori a quelli previsti e senza tener conto della pericolosità dei fattori di accumulo).

Cassazione penale sez. un., 10/07/2002, n.30328

Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La conferma dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio.

By Claudio Ramelli @ RIPRODUZIONE RISERVATA