Risponde del reato di omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina anche la “parte pubblica” comproprietaria nell’immobile se non osserva gli obblighi di manutenzione.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 42398/2019 – depositata il 16.10.2019 con la quale la Suprema Corte ha annullato la sentenza assolutoria di secondo grado, confermando il principio statuito dal primo Giudice che aveva ritenuto sussistere la responsabilità penale della parte pubblica inadempiente agli obblighi di manutenzione e prevenzione dell’immobile.
La sentenza si pone nell’alveo dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui ciascun proprietario è tenuto ad intervenire per il ripristino delle parti strutturali a rischio.
L’imputazione e il doppio grado di giudizio.
La Corte di Appello di Genova riformava parzialmente la sentenza emessa dal locale Tribunale riqualificando il fatto in contestazione, inizialmente sussunto nella violazione di cui all’art 677, comma 3 cod. pen., nel reato di cui all’art 434 cod. pen., dichiarando così l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione nei confronti di due imputati, già dichiarati colpevoli all’esito del primo grado di giudizio.
I medesimi erano stati condannati al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, per aver cagionato colposamente il crollo del tetto e del solaio di alcuni piani dell’immobile di proprietà pubblica/privata.
Gli altri imputati venivano assolti con la formula per non aver commesso il fatto.
Il principio di diritto e il giudizio di legittimità.
Avverso la sentenza emessa dalla Corte distrettuale genovese interponevano ricorso per cassazione le parti civile costituite, censurando la sentenza di appello nella parte in cui aveva escluso la responsabilità del comproprietario pubblico.
Il Supremo Collegio ha accolto il ricorso, rilevando la responsabilità anche della parte pubblica comproprietaria della communio pro indiviso in quanto inadempiente, al pari dei privati, in ordine agli obblighi di vigilanza e manutenzione, tesi ad evitare il verificarsi di danni strutturali.
Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento di particolare interesse per gli operatori di diritto in materia di diritto penale del lavoro.
(i) il vizio della sentenza impugnata e la ricostruzione delle condotte colpose:
“Correttamente il primo giudice ha evidenziato come nello stabile coesistesse la comproprietà della parte pubblica (Comune di Genova) e di quella privata in una condizione condominiale di tipica communio pro indiviso, che vedeva i titolari egualmente tenuti agli obblighi di vigilanza e prevenzione per ogni evento di danno. Il solaio sottotetto era stato sgomberato già dal 2003, essendosi verificate copiose infiltrazioni di acqua, a seguito di eventi piovosi, richiamati e documentati sin dal 24/11/2003.
Il Giudice di primo grado aveva richiamato la disposta perizia e spiegato che l’avvenuto sgombero non manlevasse il Comune dalle responsabilità che competevano, comunque, all’ente pubblico.
Il non aver attivato i dovuti interventi, finalizzati a mantenere l’edificio in condizioni di adeguata manutenzione, alla luce della conoscenza della situazione, determinava le responsabilità ritenute a carico di ciascuno che, nella rispettiva qualità di funzionario pubblico (che rappresentava la comproprietà) aveva l’obbligo di occuparsi della gestione e della manutenzione del patrimonio dell’ente. La motivazione di assoluzione della Corte d’appello è decisamente carente.”
“Il Giudice di secondo grado, infatti, a prescindere dalla derubricazione e dalla qualificazione giuridica del fatto, che non costituisce oggetto di devoluzione, si affida, per giungere all’assoluzione, a due affermazioni non risolutive e prive della capacità di disarticolare il ragionamento svolto dal giudice di primo grado. Si legge nella sentenza impugnata di una complessità nell’organizzazione del Comune e della difficoltà di distinguere i ruoli svolti dagli imputati, senza indicare in che termini e per quali mansioni e qualifiche si sarebbe posto un problema siffatto. Né si spiega in che termini l’indicata circostanza incidesse sul ragionamento che aveva operato il primo giudice. Si tratta, allora, di un argomento privo di ogni correlazione e decisività che si risolve in una affermazione apodittica. In secondo luogo la Corte d’appello afferma che non si comprenderebbe come si possano ritenere responsabili i proprietari dei piani sottostanti per un crollo avvenuto dall’alto. Così ragionando, aggiunge, si ipotizzerebbe un obbligo di controllo nell’altrui proprietà.”
(ii) Il principio di diritto in tema di responsabilità penale dei comproprietari comunionisti per le omissioni causa del crollo della costruzione:
“Deve osservarsi come, in punto logico, l’iter argomentativo non si confronti con il ragionamento svolto dal primo giudice.
La decisione di primo grado non ha, infatti, postulato un obbligo di verifica sulle altrui proprietà secondo una logica irrazionale.
Piuttosto, ha richiamato una responsabilità dei comunionisti in ragione della comproprietà esistente.
Il problema derivava non dalla caduta del singolo solaio, ma dal cedimento di esso in ragione dei danni e delle infiltrazioni alle parti strutturali e portanti dell’edificio.
Si trattava di parti comuni che vedevano tutti gli imputati obbligati all’intervento e al ripristino.
La sentenza impugnata non si confronta con questo dato che risulta centrale e con il materiale istruttorio.
Esso documentava come la realtà di criticità estrema fosse risultata oltre che attraverso le verifiche tecniche eseguite anche all’esito delle segnalazioni e delle lamentele operate dai condomini dello stabile limitrofo di via [omissis].
Si dava conto, invero, di infiltrazioni umidità anche alla scala comune e di erosione al tetto, alle pareti e agli elementi portanti dei solai lignei. Non si trattava, allora, di aspetti che involgevano in via esclusiva i proprietari del singolo piano, ma di una compromissione derivata ai piani stessi dai cedimenti indotti dalle infiltrazioni alle strutture portanti di proprietà comune.”
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Riferimento normativo:
Art. 434 Cod. pen., crollo di costruzioni o altri disastri dolosi:
Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.
Art. 677 comma 3 cod. pen.,omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina:
Il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da centocinquantaquattro euro a novecentoventinove euro.
La stessa sanzione si applica a chi, avendone l’obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall’avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione.
Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore a trecentonove euro.
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Rassegna giurisprudenziale in ordine ai delitti di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina e disastro ambientale
Cassazione penale sez. III, 18/06/2018, n.29901:
Il reato di disastro ambientale di cui all’art. 452-quater c.p. ha, quale oggetto di tutela, l’integrità dell’ambiente e in ciò si distingue dal disastro innominato di cui all’art. 434 c.p., menzionato nella clausola di riserva [“fuori dai casi previsti dall’articolo 434”], posto a tutela della pubblica incolumità, peraltro come norma di chiusura rispetto alle altre figure tipiche di reati contro l’incolumità pubblica disciplinate dagli articoli che lo precedono. Inoltre, quale ulteriore differenza, vi è il fatto che nei reati contro l’incolumità pubblica si fa esclusivo riferimento a eventi tali da porre in pericolo la vita e l’integrità fisica delle persone e il danno alle cose viene preso in considerazione solo nel caso in cui sia tale da produrre quelle conseguenze, mentre il disastro ambientale può verificarsi anche senza danno o pericolo per le persone, evenienza che semmai viene presa in considerazione quale estensione degli effetti dell’alterazione dell’ecosistema.
Cassazione penale sez. I, 17/05/2017, n.58023:
In tema di disastro ambientale, anche dopo la l. 22 maggio 2015, n. 68, che ha introdotto specifici delitti contro l’ambiente disciplinati negli artt. 452-bis ss. c.p., la previsione di cui all’art. 434 c.p. continua a trovare applicazione nei processi in corso per fatti commessi nel vigore della disposizione indicata in forza della clausola di riserva contenuta nell’art. 452-quater c.p. (“Fuori dai casi previsti dall’articolo 434”).
Cassazione penale sez. I, 11/06/2014, n.28128:
Il reato di cui all’art. 677 comma 3, c.p. è integrato, nella sua materialità, dalla minaccia di rovina da cui derivi pericolo per le persone di un “edificio” o di una “costruzione” imponendo, per il principio di tipicità, il divieto di analogia in malam partem per ciò che non attiene a edifici e costruzioni che possano rovinare, come avvenuto nella fattispecie ove viene messa in evidenza la mera non corretta edificazione di una canna fumaria comportante, non il pericolo di crollo della medesima, ma solo una paventata dispersione di fumi non consentiti.
Cassazione penale sez. IV, 22/11/2012, n.3290:
Non esclude la responsabilità per il reato di cui all’art. 677, comma 3, c.p. l’eventuale rapporto civilistico intercorso tra il soggetto obbligato alla manutenzione e imprese appaltatrici che eseguirono lavori nell’immobile. Invero, quali che siano gli obblighi dell’appaltatore in caso di consegna anticipata di parte dell’opera, derivanti da vizi della stessa, non può essere messo in dubbio che il committente, il quale riceve il fabbricato, assume, per ciò stesso, la funzione di garante nei confronti dei soggetti che il detto fabbricato frequenteranno o in esso, addirittura, stazioneranno in permanenza.
Cassazione penale sez. I, 01/03/2012, n.12883:
Il Comune è legittimato a costituirsi parte civile nel processo per la contravvenzione di cui all’art. 677 c.p., in quanto titolare di un interesse diffuso all’osservanza dei provvedimenti sindacali volti alla tutela della sicurezza ed al bene specifico del territorio, il cui assetto urbano viene ad essere pregiudicato dal pericolo di crolli di manufatti immobiliari.
Cassazione penale sez. I, 22/03/2011, n.13596:
La fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 677, comma 3, c.p., configurabile allorquando dall’omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina derivi un concreto pericolo per l’incolumità delle persone, è correttamente ravvisata, dovendosi escludere una responsabilità oggettiva, argomentandosi in punto di colpa il cosciente e inveterato disinteresse dei comproprietari dell’edificio, a fronte di una situazione oggettiva macroscopicamente gravissima, caratterizzata da lesioni e distacchi, e aggravata anche da interventi di abusivismo edilizio, anziché riparatori, al punto di essere stata oggetto di intervento dei vigili del fuoco prima e dell’autorità comunale poi (con ordinanza non ottemperata).
by Claudio Ramelli @Riproduzione Riservata