Morte del feto per ipossia e ritardo nel parto cesareo: un caso clinico allo scrutinio di legittimità.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 41663/2019 – depositata il 07.10.2019 in materia di colpa medica, con la quale, la Suprema Corte, chiamata a scrutinare la posizione di garanzia assunta dal sanitario per il decesso del nascituro, ha chiarito che l’esistenza del rapporto di causalità fra le condotte colpose e l’exitus fatale e quindi la penale responsabilità del sanitario, deve essere accertata in base a regole dotate di copertura scientifica che consentano di affermare che la condotta pretermessa, se attuata, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento infausto secondo il noto paradigma del giudizio controfattuale.
Il caso clinico, l’imputazione e il doppio grado di giudizio.
La Corte di appello di Salerno confermava la penale responsabilità dell’imputato affermata in primo grado dal Tribunale di Nocera Inferiore, condannandolo alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno in favore delle parti civile costituite.
Il giudicabile era stato tratto a giudizio poiché in qualità di medico ginecologo in servizio presso la struttura ospedaliera, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, ometteva di provvedere tempestivamente al taglio cesareo, intervenendo soltanto dopo due ore dall’arrivo della paziente presso il nosocomio, nonostante il feto presentasse evidenti segni cardiotocografici di sofferenza fetale.
I giudici di primo e secondo grado (questi ultimi anche sulla base della perizia collegiale disposta nel grado sulla base delle censure contenute negli atti di appello) nelle due sentenze conformi ravvisavano a carico del sanitario profili di responsabilità riconducibili a grave imperizia e imprudenza, evidenziando, sulla base degli esiti degli accertamenti peritali disposti e dei tracciati cardiotocografici acquisiti agli atti, che il ginecoloco aveva atteso oltre due ore dalle ultime manifestazioni di grave decelerazione cardiaca del feto senza provvedere all’immediato intervento di taglio cesareo cagionando così la morte del feto.
Il principio di diritto e il giudizio di legittimità.
Contro la sentenza resa dalla Corte distrettuale salernitana interponeva ricorso per cassazione il giudicabile, censurandola con plurimi motivi di impugnazione, denuncianti violazione di legge e vizio motivazionale sia in ordine alla ritenuta posizione di garanzia assunta dal sanitario nei confronti della paziente, sia, sul piano probatorio, utilizzato per dimostrare la sussistenza del nesso eziologico fra le condotte omissive e l’exitus fatale.
Il Supremo Collegio ha dichiarato estinto il reato per intervenuta prescrizione annullando, per l’effetto, la sentenza agli effetti penali.
I motivi di ricorsi incidentalmente valutati ex art. 378 c.p.p. sulla responsabilità dell’addebito limitatamente all’azione civile dispiegata, venivano ritenuti destituiti di fondamento con conseguente rimessione dell’ulteriore corso del giudizio alla locale Corte di appello di Civile.
Di seguito si riportano i passaggi di maggiore interesse per gli operatori di diritto che si occupano della colpa medica in ambito penale estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento che affrontano i temi della regola di giudizio, tra scienza e diritto, sulla prova della penale responsabilità nei reati omissivi colposi (giudizio controfattuale) e quello afferente la posizione di garanzia assunta dal sanitario che opera presso una struttura ospedaliera pubblica:
(i) La posizione di garanzia del medico operante nella struttura pubblica:
“Risulta chiaramente delineato in sentenza il rapporto di affidamento della partoriente al ricorrente che, oltre ad essere il ginecologo che l’aveva in cura, era presente nella struttura ospedaliera ed ha seguito il parto della donna (cfr. in argomento, Sez. 4, Sentenza n. 46586 del 28/10/2004, Rv. 230598 – 01, così massimata: “In materia di responsabilità professionale del medico operante in una struttura pubblica, è sufficiente che si instauri un rapporto sul piano terapeutico tra paziente e medico per attribuire a quest’ultimo la posizione di garanzia ai fini della causalità omissiva, cioè quella funzione di garante della vita e della salute del paziente che lo rende responsabile delle condotte colpose che abbiano cagionato una lesione di questi beni”).
(ii) L’applicazione dei principi della responsabilità di équipe ai rapporti tra l’operato del ginecologo e quello dell’ostetrica che tutela l’affidamento della partoriente.
La questione dei rapporti tra l’operato del ginecologo e quello dell’ostetrica Mazza Patrizia, da cui sarebbe unicamente dipesa, secondo quanto si legge nei ricorsi, la somministrazione di ossitocina alle ore 18,00, viene implicitamente risolta, in sentenza, attraverso il richiamo al doveroso comportamento del medico ginecologo, il quale aveva il preciso obbligo di attivarsi – intraprendendo l’intervento di taglio cesareo – a prescindere dall’autonoma iniziativa della ostetrica. Si richiamano in proposito i principi già ribaditi da questa Corte, in numerose precedenti pronunce, con riferimento ai casi di equipe medica, nelle quali si è affermato che: “In tema di responsabilità medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio” (così Sez. 4, Sentenza n. 53315 del 18/10/2016, Rv. 269678 – 01).
(iii) Il perimetro del sindacato del Giudice di legittimità sulla prova scientifica della quale hanno fatto applicazione i giudici di merito:
“Deve peraltro ribadirsi che l’ambito della valutazione del sapere scientifico acquisito nel giudizio attiene alla sfera dell’apprezzamento del Giudice di merito.
Pertanto, rispetto a tale valutazione, la Corte di cassazione non può esercitare alcun sindacato, se non in presenza di manifeste illogicità che, nel caso in esame, risultano essere del tutto assenti ( cfr, ex multis Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, Rv. 276151 – 01: “In tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato”).
“Ne consegue che non compete alla Corte di Cassazione attribuire preferenza a questa o a quella versione dei fatti, dovendo il Giudice di legittimità stabilire soltanto la completezza argomentativa e la congruità logica delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata.
Nel caso in esame, tali ultimi connotati sono certamente riconoscibili: la Corte di merito ha fornito adeguata motivazione in ordine alla preferenza accordata alla ricostruzione scientifica dei periti nominati, offrendo congrua giustificazione dell’attendibilità delle conoscenze scientifiche divulgate e del metodo applicato, coniugando tali aspetti con riferimenti concreti alle circostanze di fatto emerse nella istruttoria.
(iv) La ricostruzione della condotta omissiva ed il nesso eziologico con l’exitus infausto.
Deve pertanto concludersi che la ricostruzione sostenuta dalla Corte territoriale circa le cause del decesso del feto ed il giudizio esplicativo sviluppato sulla base delle osservazioni rappresentate in sentenza non sia meritevole di essere censurato in questa sede.
E’ il caso di rilevare come la lamentata scarsa considerazione della circostanza della somministrazione di ossitocina ad opera della ostetrica [omissis], alle ore 18.00 del giorno 13/10/2010, non possa assumere valore dirimente ai fini della esclusione della responsabilità del sanitario.
Un’attenta lettura della motivazione consente di affermare che la Corte di appello ha ritenuto che tale elemento abbia avuto l’effetto di aggravare il precipitare della situazione, rivelandosi tuttavia ininfluente ai fini dell’autonoma ricorrenza della responsabilità del ginecologo.
La risposta alle doglianze difensive è da rintracciarsi nel seguente passaggio, in cui la Corte di merito mette in rilievo che l’intensificarsi dei fenomeni critici di decelerazione cardiaca, culminati nella brachicardia delle ore 18.05, avrebbe dovuto allarmare l’imputato, che era in servizio in quel momento e che seguiva la paziente, già a partire dalle ore 17,11 inducendolo ad effettuare un immediato intervento di parto cesareo, che avrebbe posto fine alla sofferenza del feto, con effetto salvifico (“Va subito detto che, come ben illustrato nel corso della discussione, l’infusione ossitocica era pratica già di per sé pericolosa in ragione dell’età della paziente, della circostanza che la gravidanza era giunta al termine della quarantaduesima settimana ed addirittura con qualche giorno di ulteriore ritardo, e delle condizioni della placenta, già invecchiata e scarsamente veicolante ossigeno; sicché era assolutamente sconsigliato adottare pratiche che abbassavano ancor di più il ritmo cardiaco del feto provocandogli stress e riducendogli il flusso ematico, imponendogli di attingere alle proprie riserve di ossigeno per sopravvivere. Per di più le decelerazioni si andavano intensificando nel corso dei successivi tracciati: nel tracciato delle ore 11.51 ne compariva una al minuto tredici con nuova perdita della variabilità; nel tredicesimo tracciato delle ore 15.43 ne era presente altra al minuto settimo; addirittura tre in quello delle ore 16.21 mentre dal quindicesimo tracciato delle ore 17.11 si evidenziavano decelerazioni ormai reiterate fino alla grave bradicardia delle ore 16.05 della durata di sette minuti”).”
“Si richiamano in proposito i principi già ribaditi da questa Corte, in numerose precedenti pronunce, con riferimento ai casi di equipe medica, nelle quali si è affermato che: “In tema di responsabilità medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio” (così Sez. 4, Sentenza n. 53315 del 18/10/2016, Rv. 269678 – 01).”
(V) La colpa professionale nel caso di specie connotata da grave imprudenza.
“….Nella specie, deve ritenersi compiuta la suddetta verifica, avendo la Corte di merito sottolineato, per un verso, la inesistenza di linee-guida che impongono di insistere nella pratica del parto naturale, in presenza della critica situazione osservata in sentenza, per altro verso, l’elevata gravità della colpa che ha connotato il comportamento professionale dell’imputato sotto il profilo della imprudenza, il quale ha atteso due ore prima di intervenire chirurgicamente (cfr. pag. 6 della sentenza “sicuramente la mancata scelta del cesareo ha rappresentato gravissima imprudenza, in alcun modo scusabile”). Deve pertanto essere ricondotto alla violazione del rispetto delle regole di prudenza il comportamento serbato dal sanitario, al di là delle pur presenti oscillazioni terminologiche ricorrenti in sentenza, dove si cita anche l’imperizia.
Tali oscillazioni, tuttavia, non mutano la chiara matrice imprudente della colpa del sanitario.
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Norma incriminatrice
Art 589 cod. pen. omicidio colposo:
Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.
Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:
- soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
- soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici
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Quadro giurisprudenziale di riferimento sulla prova scientifica del nesso causale.
Cassazione penale sez. I, 10/10/2018, n.58465:
In tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato.
Cassazione penale sez. IV, 11/05/2016, n.26491:
Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa il ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva dell’anestesista, consistita nel mancato monitoraggio dei tracciati ECG della paziente nel corso di un intervento chirurgico e nel non tempestivo rilevamento delle complicanze cardiache insorte per asistolia, ed i gravi danni cerebrali procurati alla stessa in conseguenza del ritardo con cui era stato eseguito il massaggio cardiaco).
Cassazione penale sez. IV, 04/11/2014, n.49707:
L’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi deve essere svolto in via ipotetica secondo la regola di giudizio della ‘ragionevole, umana certezza’ che impone di verificare, sulla base di coefficienti probabilistici e delle contingenze del caso concreto, se l’adozione dei comportamenti doverosi, omessi dall’agente, sarebbe valsa ad impedire l’evento (esclusa, nella specie, la responsabilità di un medico in servizio presso una clinica privata, il quale, a detta dell’accusa, non aveva assunto all’atto del ricovero di un paziente, deceduto poi per aneurisma, e nelle ore immediatamente precedenti il peggioramento delle condizioni della paziente, alcuna iniziativa utile e opportuna ad impedire o ridurre il rischio di verificazione dell’evento morte, il quale si era determinato due giorni dopo, presso altra struttura dove, nel frattempo, il paziente era stato trasferito).
Cassazione penale sez. IV, 04/10/2012, n.43459:
In tema di responsabilità medica, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha affermato, in ordine al reato di lesioni personali gravi, la responsabilità dei medici – per non aver rimosso, nel corso di un intervento chirurgico, una garza dall’addome del paziente – omettendo di esaminare le doglianze degli appellanti relative all’assenza di dette garze presso la struttura sanitaria in cui venne eseguito l’intervento, alle specifiche patologie del paziente ed all’eventualità che le stesse avessero richiesto esami strumentali endoscopici cui ricollegare la presenza della garza).
by Claudio Ramelli @ Riproduzione Riservata