Assolto il datore di lavoro se risulta provata la condotta abnorme del lavoratore non avallata da scelte aziendali.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n.32507/2019 in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, con la quale la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul profilo della causalità della colpa ritenendo, nel caso di specie, la condotta del lavoratore causa di interruzione della eziologia tra condotta omissiva ascritta al datore di lavoro e l’exitus fatale.

Nello specifico il Supremo Collegio ha annullato la sentenza impugnata rilevando che la morte del lavoratore fosse da imputare in via esclusiva all’uso improprio del mezzo da parte del medesimo, non risultando acquista al compendio probatorio la conoscenza di tale prassi aziendale da parte del suo datore di lavoro.

L’incidente sul lavoro, l’imputazione ed il doppio grado di giudizio.

L’imputato veniva tratto a giudizio nella qualità di legale rappresentante della società alle cui dipendenze lavorava l’operatore ecologico deceduto per rispondere del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme poste a presidio della sicurezza sul lavoro.

Secondo l’accusa il fatto era addebitabile al datore di lavoro per aver egli omesso di valutare i rischi relativi all’attività di raccolta di rifiuti e per non aver fornito a quest’ultimi un’adeguata formazione/informazione sulla sicurezza, creando così  le condizioni di rischio per il decesso dell’operatore ecologico, che nello svolgere attività di raccolta dei rifiuti, ed in particolare nel rimontare sul veicolo  per avvicinarsi alla successiva postazione, utilizzava erroneamente come postazione di lavoro la staffa ad U posizionata sul retro del mezzo VRR, invece della cabina, cadendo così fatalmente al suolo nel tentativo di risalire sulla staffa mentre il veicolo era in movimento.

Il giudicabile veniva ritenuto responsabile nel doppio grado di merito.

 

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli interponeva ricorso per cassazione l’imputato, lamentando violazione di legge e vizio motivazionale con plurimi motivi di impugnazione impingenti, per quanto qui di interesse, anche il tema della condotta abnorme del lavoratore dovuta all’uso improprio del mezzo e della correlativa interruzione del nesso causale con la morte del lavoratore.

Il Supremo Collegio ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata ritenuto assorbente l’accoglimento della censura di cui sopra.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento di particolare interesse per gli operatori di diritto che si occupano della materia del diritto penale del lavoro.

(i) La condotta del datore di lavoro ed il principio della “causalità della colpa”.

Occorre adesso dare risposta al quesito se la condotta imprudente del lavoratore sia tale da incidere sulla ravvisabilità della colpa. Ciò che si contesta alla ricorrente è, in sostanza, secondo quanto evidenziato nella motivazione della sentenza in esame, di avere, in qualità di datore di lavoro, omesso, nell’organizzazione dell’attività alla quale il soggetto passivo era addetto, di assicurare che i veicoli adibiti alla raccolta dei rifiuti venissero utilizzati dai dipendenti in maniera conforme alle prescrizioni e soprattutto di fornire loro un’adeguata formazione e informazione sui rischi connessi all’uso improprio e scorretto dei veicoli, anche con riferimento a condotte gravemente pericolose per la loro incolumità, come appunto quella oggetto del processo.

È stato infatti disatteso dai giudici di merito l’assunto difensivo secondo cui vi era stata comunque una sufficiente preparazione dei dipendenti al riguardo, così come l’indimostrato e non documentato asserto secondo cui dei corsi di formazione erano stati tenuti, sia pure con risultato nullo, per la mancata partecipazione dei lavoratori. Occorre però chiedersi, in questa sede, quale sia la rilevanza giuridica di tali addebiti.

E’, in primo luogo, necessario porsi il quesito inerente alla ravvisabilità della c.d. causalità della colpa in relazione all’addebito relativo all’omessa formazione e informazione dei lavoratori sui rischi connessi all’uso improprio e scorretto dei veicoli. Come è noto, infatti, nei reati colposi, l’indagine sull’esistenza del nesso di condizionamento deve affrontare un problema d’importanza focale: è infatti necessario accertare se la violazione della regola cautelare riscontrata abbia o meno cagionato l’evento.”

“L’intera struttura del reato colposo si fonda su questo specifico rapporto tra inosservanza della regola cautelare di condotta ed evento, che viene designato con l’espressione “causalità della colpa”. Questo concetto, come è noto, si fonda normativamente sul dettato dell’art. 43 cod. pen., a tenore del quale è necessario che l’evento si verifichi “a causa” di negligenza, imprudenza, imperizia ovvero “per” inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La formulazione della disposizione è senz’altro imprecisa, in quanto la violazione del dovere di diligenza, quale entità concettuale, non può essere considerata effettivamente causa dell’evento in senso fisico-materiale. La causa dell’evento è sempre la condotta materiale, la quale però, nei reati colposi, deve essere caratterizzata dalla violazione del dovere di diligenza.

Questo quindi il significato da attribuirsi alla norma in esame: nel richiedere che l’evento si verifichi “a causa ” di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi e via dicendo, essa esige, ai fini del rimprovero a titolo di colpa, la materializzazione del profilo di colpa nell’evento concretamente verificatosi. La verifica se quella specifica violazione della regola cautelare abbia o meno cagionato l’evento (causalità della colpa), in sostanza, non è altro che un giudizio controfattuale compiuto in relazione alla violazione della regola di cautela.”

“E’ nota la nozione di giudizio controfattuale (“contro i fatti”). Esso consiste nell’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione, ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza. Esso costituisce pertanto il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica.

Il controfattuale è un periodo ipotetico dell’irrealtà. Nel suo antecedente si ipotizza la falsità di una certa proposizione che si sa essere vera, mentre nel suo conseguente si enuncia una implicazione della supposizione contenuta nell’antecedente. Come è stato chiarito dalle Sezioni unite, il giudizio controfattuale va compiuto sia nella causalità commissiva che in quella omissiva, ipotizzando nella prima che la condotta sia stata assente e nella seconda che sia stata invece presente e verificando il grado di probabilità che l’evento si producesse ugualmente (Sez. U., 10 luglio 2002, Franzese).”

(ii) La condotta del lavoratore quale causa di interruzione del nesso di causalità.

Occorre adesso analizzare l’ulteriore addebito formulato nei confronti dell’imputata, che si sostanzia nell’aver omesso di vigilare affinché i veicoli adibiti alla raccolta dei rifiuti venissero utilizzati dai dipendenti in maniera conforme alle prescrizioni.

Al riguardo, occorre osservare come dalla motivazione della sentenza impugnata emerga che è stato accertato che, come si diceva poc’anzi, l’autista del mezzo, quale caposquadra preposto allo svolgimento del lavoro, aveva più volte ammonito i due operatori componenti la squadra affinché si astenessero dalla condotta rischiosa in esame, minacciandoli anche di una segnalazione ai superiori. Egli, però, dall’interno dell’automezzo, non era oggettivamente in condizione di accorgersi che omissis e  omissis avevano disatteso le sue disposizioni, stante la verificata assenza di dispositivi che gli consentissero, al momento di ripartire, di vedere cosa stessero facendo i due operatori sul retro del veicolo. È stato altresì accertato che il rischio di caduta connesso ad un uso improprio del veicolo da parte dei dipendenti, sotto il profilo in esame, era contemplato nel Documento di valutazione dei rischi, acquisito agli atti. Dunque la ricorrente aveva proibito ai lavoratori di effettuare manovre come quella posta in essere dal omissis;aveva ordinato ai capisquadra di inibirne l’effettuazione; aveva previsto lo specifico rischio nel Documento di valutazione dei rischi. Occorre dunque chiedersi cos’altro avrebbe potuto fare la ricorrente per vigilare adeguatamente affinchè i veicoli adibiti alla raccolta dei rifiuti venissero utilizzati dai dipendenti in maniera conforme alle prescrizioni. Non può, infatti, al riguardo, essere trascurata la circostanza che l’attività, per sua natura, non si svolgeva in un unico ambiente o in più ambienti ben individuati, circoscritti e quindi, in modo più o meno agevole, controllabili e sorvegliabili ma si esplicava mediante una pluralità di veicoli destinati a circolare continuamente.”

“Dunque era impossibile una assidua sorveglianza di tutti i mezzi, momento per momento. Viene, in quest’ottica, in rilievo il c.d. principio di esigibilità. La colpa ha, infatti, un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare. Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’osservanza delle norme cautelari violate (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhan). Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa: in poche parole, nell’esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che può essere collocato nell’ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente. Si tratta di un profilo della responsabilità colposa cui la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato (Sez. 4, n. 12478 del 19-20.11.2015, P.G. in proc. Barberi ed altri, Rv.267811-267815, in motivazione; Sez. 4, 3-11-2016, Bordogna). Nel caso in esame, una diuturna sorveglianza sui mezzi, che espletavano la loro attività circolando ininterrottamente, era impossibile. L’unica soluzione era quella di delegare i capisquadra, presenti sul mezzo, alla vigilanza sull’osservanza delle disposizioni volte ad evitare manovre come quella posta in essere dall’omissis.”

“ Ciò fece la ricorrente, alla quale non è dunque addebitabile una culpa in vigilando, poiché non era esigibile dalla Romano l’adozione di misure ulteriori e più pregnanti. E’ vero, infatti, che il giudice a quo ha evidenziato che quella dell’aggrapparsi al mezzo, pur in assenza delle pedane, e perfino di slanciarsi verso lo stesso, aggrappandosi alla staffa per evitare di risalire ogni volta all’interno, era, secondo quanto emerso con chiarezza dall’istruttoria dibattimentale, una deprecabile prassi, ragion per cui tale pericolosa manovra non costituì frutto di un’estemporanea iniziativa da parte dell’omissis. Ma da ciò non può inferirsi che l’omissis fosse a conoscenza di tale prassi o l’avesse colpevolmente ignorata. Infatti, dalla circostanza che i capisquadra, in quanto presenti sui mezzi, non potessero non essere a conoscenza di tale prassi o addirittura l’avallassero, non può desumersi che essi ne avessero resa edotta la omissis. In giurisprudenza, si è, infatti, posto, di recente, in evidenza che il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro non costituisce di per sé prova nè della conoscenza né della conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di prassi aziendali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica. D’altronde, il datore di lavoro è certamente responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza ma tale condotta omissiva non può essergli ascritta laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l’ avesse colposamente ignorata. Tale certezza può, in alcuni casi, inferirsi da considerazioni di natura logica, laddove, ad esempio, possa ritenersi che la prassi elusiva costituisca univocamente frutto di una scelta aziendale, finalizzata, in ipotesi, ad una maggiore produttività. Ma quando, come in questo caso, non vi siano elementi di carattere logico per dedurre la conoscenza o la conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del garante, è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che dimostrino tale conoscenza o conoscibilità. Diversamente opinando, si porrebbe in capo al datore di lavoro una inaccettabile responsabilità penale “di posizione”, tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva ( Cass., Sez. 4, n. 20833 del 3-4-2019).

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La norma incriminatrice: art. 589 cod. pen.

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

[Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

  1. soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
  2. soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.]

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.

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Quadro giurisprudenziale (penale e della sezione lavoro) di riferimento in tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle norme antinfortunistiche e sulla causa di interruzione del nesso causale per condotta abnorme del lavoratore.

 Cassazione penale sez. IV, 29/05/2018, n.26858

Il comportamento colposo concausativo dell’infortunio del lavoratore non esclude la responsabilità primaria del suo superiore e non deve essere confuso con la condotta abnorme del dipendete, che è la sola che può condurre all’esonero del datore di lavoro.

Cassazione civile sez. lav., 10/10/2018, n.25102

La responsabilità datoriale per l’infortunio occorso al dipendente può fondarsi sulla violazione degli obblighi di informazione e formazione del lavoratore quanto ai pericoli connessi allo svolgimento della specifica operazione lavorativa ed alle misure di sicurezza per prevenirli. La condotta del dipendente, non abnorme, benché imprudente, non può considerarsi concausa dell’evento dannoso quante volte, la stessa imprudenza, sia riconducibile all’inadempimento del datore di lavoro e questi non dimostri di aver fornito al lavoratore tutte le necessarie istruzioni per evitare di commettere l’errore che fu causa dell’infortunio.

Cassazione penale sez. IV, 19/07/2018, n.43852

In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia eccezionale ed imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Non integra il “comportamento abnorme”, idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale patito dal lavoratore, il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo, che il garante è chiamato a governare.

Cassazione civile sez. lav., 23/05/2018, n.12807

Il rischio elettivo si determina allorquando venga tenuto dal lavoratore una condotta “abnorme, inopinabile ed esorbitante” che si pone al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico” con la prestazione e quindi non rientrante nella copertura dell’obbligo di sicurezza datoriale, notoriamente esteso, viceversa, alla prevenzione rispetto ad eventuali comportamenti meramente colposi del lavoratore (confermata, nella specie, la responsabilità del datore per l’infortunio occorso al lavoratore causato dalla caduta del dipendente che in quel momento stava fumando appoggiato al camion della raccolta rifiuti e si era sorretto alla barra laterale e non a quella orizzontale, così finendo con la mano schiacciata tra tale barra ed il muro del limitrofo edificio).

Cassazione penale sez. IV, 29/03/2018, n.31615

In tema di responsabilità per violazione della normativa antinfortunistica, compito del datore di lavoro, titolare della posizione di garanzia, è quello di evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturati all’esercizio dell’attività lavorativa, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti a eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante, dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, la legittima aspettativa in ordine all’assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa. Il datore di lavoro, quindi, non può essere considerato esente da responsabilità ove il lavoratore esplichi un incombente che, anche se inutile e imprudente, rientri comunque nelle sue attribuzioni e non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificatamente assegnate, nell’ambito del ciclo produttivo. Vi è però esonero da responsabilità del datore di lavoro ove, a norma dell’articolo 41, comma 2, del Cp, il nesso causale tra la sua condotta in ipotesi colposa e l’evento lesivo risulti interrotto da una causa sopravvenuta, sufficiente sa sola a determinare l’evento, ciò che si verifica nei casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta. Tale interruzione del nesso causale è ravvisabile qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto e incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche, ponendo in essere un comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. In questi casi è configurabile la colpa dell’infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (nella specie, la Corte ha annullato la sentenza di condanna pronunciata a carico del titolare della posizione di garanzia evidenziando come nella eziologia dell’incidente fosse subentrata una manovra compiuta dall’infortunato che aveva innescato una categoria di rischio del tutto nuova rispetto a quella determinata dal difetto di un’adeguata manutenzione del macchinario oggetto di contestazione: il comportamento del lavoratore doveva considerarsi abnorme essendosi risolto, nella vicenda, in una condotta radicalmente, ontologicamente, lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, di un lavoratore, nell’esecuzione del lavoro, con conseguente esonero da responsabilità del titolare della posizione di garanzia).

Cassazione penale sez. IV, 20/03/2018, n.17404

Nel sistema della normativa antinfortunistica, per potere considerare interrotto il nesso causale tra l’incidente e la condotta del datore di lavoro, è necessario che la condotta del lavoratore cui si vuole ricondurre la causa esclusiva dell’evento sia caratterizzata dalla cosiddetta “abnormità”; ossia da quel comportamento del lavoratore che assume valenza interruttiva nel nesso di causalità fra la condotta del garante in tema di sicurezza e l’evento dannoso verificatosi a suo danno: tale condizione, peraltro, si verifica non perché il comportamento del lavoratore qualificato come abnorme sia “eccezionale”, ma perché esso risulta eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (cfr. sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn e altri) (ciò che la Corte, nella specie, ha escluso, versandosi in un’ipotesi disciplinata dall’articolo 71, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008, che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di mettere “a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all’articolo 70, idonee ai fini della salute e della sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie”).

Cassazione civile sez. lav., 15/01/2018, n.749

L’art. 2087 c.c., nella misura in cui costruisce quale oggetto dell’obbligazione datoriale un facere consistente nell’adozione delle “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità dei prestatori di lavoro”, permette di imputare al datore di lavoro non qualsiasi evento lesivo della salute dei propri dipendenti, ma solo quello che concretizzi le astratte qualifiche di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, dovendo per contro escludersi la responsabilità datoriale ogni qualvolta la condotta sia stata diligente ovvero non sia stata negligente (imprudente, imperita, ecc.) in ordine allo specifico pericolo di cagionare proprio quell’evento concreto che in fatto si è cagionato (nella specie, relativa all’infortunio occorso ad una insegnante colpita ad un occhio da un tappo di bottiglia aperta da un alunno durante dei festeggiamenti, il non aver proibito l’iniziativa del festeggiamento attesa la partecipazione di ragazzi maggiorenni o comunque prossimi alla maturità, e dunque in età adolescenziale avanzata, e il carattere usuale della stessa, non consentivano di ravvisare un aggravamento del rischio professionale; non vi erano elementi che consentivano di affermare che l’uso di alcolici fosse stato assentito; non vi era evidenza che la manovra inopinata dell’alunno fosse in qualche modo determinata da sue condizioni di alterazione per intossicazione alcolica. La condotta abnorme e imprevedibile dell’alunno non consentiva di ravvisare una serie causale prevedibile e adeguata rispetto alla permessa organizzazione del festeggiamento durante l’ordinario orario di lezione scolastiche).

Cassazione penale sez. IV, 13/12/2016, n.15124

In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso l’abnormità della condotta di due lavoratori che erano deceduti, per mancanza di ossigeno, all’interno di una cisterna in cui si erano calati per svolgere le proprie mansioni, ma senza attendere l’arrivo del responsabile della manutenzione e senza utilizzare dispositivi di protezione).

Cassazione penale sez. IV, 30/09/2016, n.44327

Le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine a incidenti derivanti da sua negligenza, imprudenza e imperizia, sicché la condotta imprudente dell’infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore e all’omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. Piuttosto, è interruttiva del nesso causale la condotta abnorme del lavoratore se e quando si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso: tale comportamento è interruttivo non perché “eccezionale” ma perché “eccentrico” rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (sezioni Unite, 24 aprile 2014, E. e altri) (fattispecie in cui si è esclusa la valenza interruttiva della responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore, il quale imprudentemente aveva utilizzato un macchinario cui era stata rimossa la protezione per sveltire le operazioni di lavoro trattandosi di situazione appartenente all’area di rischio lavorativo rientrante nei compiti di controllo del titolare della posizione di garanzia).

 Cassazione penale sez. IV, 22/10/2015, n.44811

L’unica circostanza idonea ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, che abbia violato le norme in materia antinfortunistica, è la condotta abnorme del lavoratore, dovendosi intendere con tale espressione il comportamento che, per la sua imprevedibilità, si collochi al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’attuazione delle misure di prevenzione; la mera colpa concorrente del lavoratore, dunque, non esclude la responsabilità del datore di lavoro (fattispecie relativa all’infortunio occorso ad un lavoratore dipendente che aveva usato un

Cassazione penale sez. IV, 14/07/2015, n.36882

Posto che, in caso di infortunio subìto dal lavoratore, soltanto la condotta c.d. abnorme di quest’ultimo è idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta ascritta al datore di lavoro e l’evento lesivo, sussiste la responsabilità di quest’ultimo in caso di carenza dei dispositivi di sicurezza poiché la stessa non può essere sostituita dall’affidamento sull’osservanza, da parte del lavoratore, di una condotta prudente e diligente.

Cassazione penale sez. IV, 17/06/2015, n.29794

In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato può escludere la responsabilità del datore di lavoro solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità e dell’abnormità, potendosi attribuire però tale carattere non solo alla condotta del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite (come ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi a un’altra macchina o a un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite ad altro lavoratore), ma anche a quella che, pur rientrando nelle mansioni proprie del lavoratore, sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (da queste premesse, rigettando il ricorso del datore di lavoro, la Corte ha comunque escluso potesse attribuirsi il carattere di comportamento abnorme e imprevedibile a un comportamento definito come “istintivo” del lavoratore, che non risultava abnorme ed esorbitante rispetto alla procedura di lavoro da determinare l’interruzione del nesso causale e di cui si doveva piuttosto tener conto nella previsione delle procedure di sicurezza del lavoro).

Cassazione penale sez. IV, 05/05/2015, n.41486

Nel sistema della normativa antinfortunistica, trasformatosi ormai da un modello iperprotettivo, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, a un modello collaborativo, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi gli stessi lavoratori, il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, ma una volta che abbia fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione e abbia adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell’evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore. Ciò non solo, ovviamente, in presenza di un comportamento abnorme del lavoratore (nozione che si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo e che, quindi, nulla hanno a che vedere con l’attività svolta), ma anche in presenza di un comportamento esorbitante del lavoratore (nozione che riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’area di rischio che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, e che non rientrano nell’ambito delle mansioni, ordini, disposizioni concernenti il contesto lavorativo). (Nella specie, peraltro, la Corte ha escluso che potesse invocarsi la colpa del lavoratore, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, giacché era rimasto provato che quest’ultimo aveva omesso di valutare il rischio nel piano di sicurezza, non potendosi ritenere sufficiente il richiamo a una pretesa prassi operativa aziendale, inidonea a essere considerata equipollente al documento di valutazione dei rischi).

Cassazione penale sez. IV, 25/09/2014, n.46437

L’ipotesi tipica del comportamento ‘abnorme’ è quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento esorbitante rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed inevitabile) per il datore di lavoro (esclusa, nella specie, l’abnormità della condotta del lavoratore che, nello smontare, sporgendosi, degli elementi di un ponteggio, privo della cintura di sicurezza collegata alla fune di trattenuta, era precipitato da un’altezza di circa 14 metri).

Cassazione penale sez. IV, 25/06/2014, n.46820

In materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (nella fattispecie, si è escluso costituisse comportamento abnorme quello tenuto dal lavoratore che aveva utilizzato in modo anomalo una scala, giacché trattavasi di condotta tenuta durante l’ordinaria attività di lavoro mentre si utilizzava un mezzo di lavoro messo a disposizione dall’azienda).

Cassazione penale sez. IV, 03/11/2004, n.3455

In tema di infortuni sul lavoro, poiché le norme di prevenzione mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adozione delle misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedibile e opinabile e tale, dunque, da presentare i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, sempre che l’infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza, nel qual caso nessuna efficienza causale può essere attribuita alla condotta del lavoratore che abbia dato occasione all’evento.

Cassazione penale sez. IV, 19/02/2013, n.10626:

Non può essere imposto al medico l’obbligo di pretendere l’effettiva verifica di quanto prescritto, non potendo al medesimo imporsi il potere/dovere di procedere ad un’azione impositiva nei confronti di un ammalato capace di intendere e di volere, nonché di parenti in grado di intervenire a supporto. I casi di trattamento sanitario obbligatorio sono tipici e tassativi, discendendone coerentemente che l’indicazione del medico di seguire un determinato percorso terapeutico, in assenza di tali tassative condizioni, è rimessa alla scelta del paziente.

Cassazione penale sez. IV, 28/04/2011, n.23292:

In materia antinfortunistica, anche il lavoratore è onerato di obblighi prudenziali finalizzati a prevenire la verificazione dell’infortunio a danno proprio o di altri lavoratori, come si desume, del resto, dal disposto dell’art. 20 d.lg. 9 aprile 2008 n. 81, che dettaglia una serie di obblighi cautelari specifici posti a carico del lavoratore, la cui violazione integra un addebito a titolo di “colpa specifica”, con la conseguenza che, in caso di danno alle persone, correttamente sono contestabili le fattispecie aggravate di cui agli art. 589, comma 2, e 590, comma 3, c.p.

Cassazione penale sez. IV, 27/03/2009, n.18998:

Il responsabile della sicurezza sul lavoro, che ha negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze, purché connesse allo svolgimento dell’attività lavorativa. (In applicazione del principio, si è ritenuto che il direttore e delegato alla sicurezza di uno stabilimento, cui era stato contestato di non avere predisposto o fatto predisporre idonee protezioni al fine di evitare cadute dall’alto degli operai che si recassero sui lucernai dello stabilimento per lavori di manutenzione dei canali di gronda, non potesse invocare a sua discolpa la condotta imprudente del lavoratore).

Cassazione penale sez. IV, 10/11/2009, n.7267:

Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto del tutto imprevedibile il comportamento imprudente del lavoratore, addetto all’esecuzione di lavori ad una altezza di sei metri, di utilizzare, per accelerare i tempi di lavorazione, un improprio carrello sollevatore, in luogo del regolare mezzo di sollevamento già impegnato per altri lavori).

Cassazione penale sez. IV, 28/02/2008, n.15241:

In tema di infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia del datore di lavoro sussiste esclusivamente nell’arco di tempo dell’orario di lavoro ovvero in riferimento alle attività poste in essere dal lavoratore che risultino comunque connesse alle mansioni inerenti al rapporto di lavoro.

by Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA