Integra il reato di trattamento illecito dei dati la divulgazione di fotomontaggi su siti pornografici senza il consenso delle vittime.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 43534/2019, depositata il 24.10.2019, con la quale la Suprema Corte chiamata a pronunciarsi in materia di tutela penale del diritto alla privacy ha confermato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di trattamento illecito di dati.

L’imputazione e il doppio grado di giudizio.

La Corte di appello di Milano confermava con sentenza di condanna inflitta in primo grado all’imputato tratto a giudizio per aver diffuso attraverso varie pubblicazioni sulla piattaforma facebook indicazioni (si presume tramite link) medianti le quali i frequentatori del social network potevano accedere a siti pornografici sui quali erano state precedentemente inserite fotomontaggi di persone conosciute.

Nel caso di specie al giudicabile erano stati originariamente contestato il reato di diffamazione poi riqualificato in quello previsto e punito dall’art. 167, comma 1, D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice della privacy).

Il principio di diritto e il giudizio di legittimità.

Avverso la sentenza di condanna della Corte distrettuale milanese interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, censurandola con plurimi motivi di impugnazione impingenti la prova della condotta del reato e la sussistenza dell’elemento volitivo previsto dalla norma incriminatrice in capo al giudicabile.

Il Supremo Collegio ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento che affrontano il tema della configurabilità del reato di illecito trattamento dei dati.

(i)  La qualificazione della condotta in contestazione ed il dolo specifico.

Prima di soffermarsi sull’inquadramento giuridico dei fatti, appare utile un breve richiamo ai fatti di causa, verificatesi nel febbraio 2012, allorquando diffondeva su due siti pornografici, senza alcun preventivo consenso, le immagini di diverse ragazze di sue conoscenza, dopo averle manipolate, incitando gli utenti a commentare le immagini caricate.

Ben presto le vittime dell’indebita diffusione delle immagini, legate peraltro da legami di reciproca conoscenza, venivano a conoscenza dell’accaduto e non esitavano a sporgere querela, venendo poi rimossi in tempi rapidi da due siti i contenuti visivi divulgati da omissis, il quale provvedeva in seguito a risarcire le denuncianti, corrispondendo a ciascuna di loro la somma di euro 1.300.”

Orbene, la condotta di omissis è stata inquadrata nella fattispecie di cui al comma 1 del citato art 167, essendosi ravvisata l’illegittimità del trattamento dei dati nella violazione dell’art 23 d. lgs. n. 196 del 2003, che subordina la liceità del trattamento, consistente in tal caso nella diffusione sul web delle proprie immagini, al consenso liberamente espresso dalla persona interessata.

Il reato si connota pertanto come delitto a dolo specifico la cui struttura finalistica è incompatibile con la forma del dolo eventuale, che postula l’accettazione solo in via ipotetica, seppur avverabile, del conseguimento di un determinato risultato. Nel caso di specie, le due conformi sentenze di merito, all’esito di un razionale percorso argomentativo, hanno ritenuto configurabile il dolo specifico in capo all’imputato, rimarcando la circostanza che questi aveva manipolato e diffuso le foto delle sue conoscenti, inviandole a siti pornografici, talora incitando i relativi utenti a fare commenti, per cui deve ritenersi abbia agito al fine di ledere la reputazione delle ragazze ritratte nelle foto, a nulla rilevando che le immagini abusivamente divulgate siano state poi rimosse su iniziativa dello stesso imputato, stante la natura del delitto cui si procede, oltre che la potenziale diffusività dei contenuti inoltrati sulla rete anche per poche ore.”

(ii) La valutazione della colpevolezza in ordine al requisito del nocumento previsto dalla norma incriminatrice:

Ribadita la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, deve ritenersi immune da censure anche la valutazione delle sentenze di merito rispetto alla configurabilità dell’ulteriore requisito normativo del nocumento”. Al riguardo occorre più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per gli altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato operando in violazione di quanto disposto dagli art 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’art 129 arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da sei mesi ad un anno e sei mesi, la determinazione del nocumento si configura chiaramente come elemento costitutivo della fattispecie penale. La nozione di nocumento in definitiva, coerentemente con l’etimologia del termine evoca l’esistenza di una concreta lesione della sfera personale o patrimoniale, che, nell’ottica della fattispecie per cui si procede, deve ritenersi direttamente riconducibile a un’operazione di illecito trattamento dei dati protetti.”

“Tanto premesse, deve ritenersi senz’altro corretta la qualificazione in termini di “nocumento” del pregiudizio delle persone offese, le cui immagini, sia pure per poco tempo, sono state diffuse su siti pornografici in assenza di autorizzazione. La divulgazione delle fotografie delle ragazze su quel tipo di sita ha infatti comportato una lesione della loro onorabilità giuridicamente apprezzabile, dovendosi unicamente precisare, interpretando il nocumento come elemento costitutivo del reato, che nella vicenda in esame deve ritenersi che il pregiudizio delle persone offese sua senz’altro entrato nella sfera volitiva dell’imputato, il quale ha inviato le foto delle ragazze dopo averle manipolate, esponendole consapevolmente alla visione e ai commenti degli utenti dei siti pornografici, in tal modo arrecando un evidente e non lieve nocumento alla loro reputazione. Deve pertanto rimarcarsi la manifesta infondatezza delle censure relative all’inquadramento giuridico della condotta illecita dell’imputato, avendo il Tribunale e la Corte di appello ritenuto correttamente ravvisabili tutti i requisiti della norma incriminatrice, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.”

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Riferimento normativo.

Art. 167 D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy), trattamento illecito di dati

  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123126130o dal provvedimento di cui all’articolo 129 arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi.
  2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2 sexies2 octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2 septiesovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell’articolo 2 quinquiesdecies arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
  3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresì a chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli articoli 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all’interessato.
  4. Il Pubblico ministero, quando ha notizia dei reati di cui ai commi 1, 2 e 3, ne informa senza ritardo il Garante.
  5. Il Garante trasmette al pubblico ministero, con una relazione motivata, la documentazione raccolta nello svolgimento dell’attività di accertamento nel caso in cui emergano elementi che facciano presumere la esistenza di un reato. La trasmissione degli atti al pubblico ministero avviene al più tardi al termine dell’attività di accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto.
  6. Quando per lo stesso fatto è stata applicata a norma del presente codice o del Regolamento a carico dell’imputato o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria dal Garante e questa e’ stata riscossa, la pena è diminuita.

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Quadro giurisprudenziale in materia di tutela penale della privacy e configurabilità del reato di trattamento illecito di dati.

Cassazione penale sez. fer., 13/08/2019, n.40140:

L’attuale art. 167 del Codice della privacy sanziona penalmente, ai sensi del primo comma, solo le violazioni delle disposizioni sul trattamento dei dati relativi al traffico, concernenti contraenti ed utenti trattati dal fornitore di una pubblica rete di comunicazioni, nonché quelle riguardanti il trattamento dei dati relativi all’ubicazione dei medesimi soggetti, le violazioni relative alle cd. comunicazioni indesiderate e quelle provenienti dal Garante in materia di inserimento e utilizzo di dati personali all’interno di elenchi cartacei o elettronici a disposizione del pubblico. Al comma successivo, invece, sono previste sanzioni penali per altre condotte ivi elencate. Tali condotte non comprendono anche quella contestata al ricorrente, a cui era stato contestato di avere utilizzato abusivamente i codici di sicurezza di una carta di credito acquisiti per via di un contratto stipulato dal proprietario della stessa con la società di cui egli era dipendente , sicché egli va assolto perché il fatto non costituisce reato.

Cassazione penale sez. III, 28/05/2019, n.42565:

La condotta di diffusione illecita di dati personali (nella specie, iscrizione di una donna, a sua insaputa, ad una chat di incontri), in quanto programmaticamente destinata a raggiungere un numero indeterminato di soggetti, si caratterizza per la continuatività dell’offesa derivante dalla persistente condotta volontaria dell’agente (che ben avrebbe potuto rimuovere i dati personali resi ostensibili ai frequentatori del social network). Ne discende che l’illecito, perfezionatosi nel momento di instaurazione della condotta offensiva, si è consumato, agli effetti di cui all’art. 158, comma 1, c.p. per la decorrenza della prescrizione, dal giorno in cui è cessata la permanenza.

Cassazione penale sez. III, 16/07/2013, n.7504:

Integra il reato di cui all’art. 167, comma secondo, D.Lgs. n. 196 del 2003 la divulgazione per finalità giornalistiche di dati personali diversi da quelli sensibili e giudiziari senza il consenso dell’interessato, effettuata in violazione dei limiti del diritto di cronaca e della essenzialità dell’informazione ovvero dei principi stabiliti dal codice deontologico adottato dall’ordine professionale, cui deve riconoscersi natura di fonte normativa. (Fattispecie relativa alla pubblicazione, di fotografie ed altri dati identificativi, riguardanti un minore vittima di sinistro stradale).

Cassazione penale sez. III, 17/12/2013, n.5107:

L’internet hosting provider (definito dall’art. 16 d.lg. n. 70 del 2003), non esercitando alcun controllo sui dati memorizzati, né alcun potere decisionale in ordine alle finalità e alle modalità del trattamento dei dati stessi ed agli strumenti utilizzati, non può essere considerato titolare del trattamento dei dati caricati sul sito di hosting. Per tale ragione, l’internet hosting provider non può essere ritenuto responsabile, ai sensi dell’art. 167 del codice della privacy, del trattamento illecito di dati idonei a rivelare lo stato di salute con riferimento ad un video diffuso a mezzo internet, qualora non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita, né di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione, e qualora, non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle Autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o l’accesso.Il gestore di un sito sul quale gli utenti possono inserire direttamente propri materiali audiovisivi (nel caso di specie: Google Video) ha l’obbligo giuridico di fornire agli utenti medesimi tutte le necessarie avvertenze in ordine al rispetto della disciplina del trattamento dei dati personali, ed in particolare al rispetto di quelle che concernono la necessità di procurarsi l’obbligatorio consenso in ordine alla diffusione di dati personali sensibili. La violazione di tale obbligo comporta la irrogazione delle sanzioni previste dall’art. 167 codice privacy.

Cassazione penale sez. III, 05/03/2008, n.16145:

In tema di tutela della riservatezza, l’esonero (art. 137 d.lg. n. 196 del 2003), per il trattamento dei dati sensibili nell’esercizio della professione di giornalista, dall’autorizzazione del Garante e dal consenso dell’interessato, non può prescindere dal rispetto, oltre che del diritto di cronaca e dell’essenzialità dell’informazione, anche dei principi stabiliti dal codice deontologico delle attività giornalistiche, cui deve riconoscersi natura di fonte normativa. (La Corte ha disatteso l’assunto dei giudici di merito secondo cui la mancanza, da parte del citato art. 137, di un esplicito richiamo al codice deontologico, conduceva a non ritenere più necessario, a differenza del previgente regime, il rispetto dello stesso ai fini di un lecito trattamento dei dati, in particolare relativi a salute e sfera sessuale).

Cassazione penale sez. III, 17/11/2004, n.5728:

Il trattamento dei dati personali, che non siano sensibili nè abbiano carattere giudiziario, effettuato da un soggetto privato per fini esclusivamente personali è soggetto alle disposizioni del testo unico solo se i dati siano destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione ed è in tal caso subordinato al consenso dell’interessato, a meno che il trattamento riguardi dati provenienti da pubblici registri od elenchi conoscibili da chiunque. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che l’aver comunicato ad alcuni provider le generalità, l’indirizzo, ivi compreso quello di posta elettronica, il numero di telefono e il codice fiscale di una persona senza il suo consenso, al fine di aprire un sito internet e tre nuovi indirizzi di posta elettronica a nome di tale persona, non integra il reato di cui all’art. 167 comma 1 d.lg. n. 196 del 2003).

by Claudio Ramelli @ Riproduzione Riservata