Bancarotta semplice documentale: la delega al commercialista non esclude la responsabilità dell’imprenditore per l’irregolare tenuta delle scritture e dei libri contabili.
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n. 45358/2019, con la quale la Suprema Corte ha precisato che la omessa tenuta della contabilità comporta quanto meno la responsabilità dell’imprenditore per culpa in eligendo quando non verifica il corretto operato del commercialista cui è stata affidata la gestione fiscale della società.
L’imputazione e il doppio grado di giudizio.
La Corte di appello di Milano, per quanto di interesse nel presente commento, riqualificava il fatto inizialmente contestato all’imputato come bancarotta fraudolenta documentale nel reato di bancarotta semplice documentale, per il quale veniva inflitta condanna alla pena ritenuta di giustizia.
La Corte distrettuale confermava la penale responsabilità per la contestata ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
Il Supremo Collegio ha dichiarato parzialmente fondato il ricorso limitatamente alle censure relative alle pene accessorie inflitte, rigettando il ricorso nel resto.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento di maggiore interesse per gli operatori di diritto che si occupano di reati fallimentari:
(i) La ricostruzione delle condotte e il principio di diritto in materia di responsabilità penale che ricade sull’amministratore di diritto:
“Il primo motivo non merita accoglimento. Richiamando la sentenza di primo grado, la Corte distrettuale ha rilevato che l’imputato aveva effettuato numerosi prelievi ravvicinati sui conti corrente societari, per cifre comprese tra i mille e i 25 mila euro; il curatore inoltre, ha riscontrato diversi pagamenti in favore di presunti collaboratori, tuttavia non documentati da fatture e senza l’attestazione della ritenuta fiscale, nonché pagamenti a società con oggetto sociale totalmente estraneo a quello della fallita.
In replica al motivo di gravame teso a qualificare i prelievi come compensi per l’attività prestata, la sentenza impugnata ha poi osservato che l’apprensione del denaro è avvenuta in un periodo in cui la società poi fallita si trovava in stato di decozione e in assenza di delibere di autorizzazione all’erogazione di compensi da parte degli organi sociali; inoltre, i prelievi hanno avuto cadenze ravvicinate e irregolari e per importi tutti molto diversi tra loro.”
“La motivazione della sentenza impugnata non è scalfita dalle censure proposte dal ricorrente, che neppure deduce di aver rivestito la carica amministrativa in assenza di deleghe, sì da imporre la valutazione di “segnali d’allarme” delle condotte illecite (ex plurimis, Sez. 5, n. 21581 del 28/04/2009, Mare, Rv. 243889), laddove l’attribuzione al coimputato del ruolo di amministratore di fatto (peraltro solo nell’imputazione, non essendo stata articolata alcuna deduzione in merito alla posizione di Vablais processualmente accertata) non priva, di per sé, il ruolo di vertice amministrativo, protrattosi anche con la messa in liquidazione della società, dei suoi contenuti decisionali tipici, tanto più quando, come nel caso di specie, parte dei prelievi risulta specificamente riconducibile a [omissis]: rilievi, questi, che privano di consistenza le censure relative alla divisione dei compiti (peraltro dedotta in termini del tutto aspecifici) e alla riqualificazione in melius del fatto di bancarotta documentale, determinato dalle peculiarità del caso di specie, ossia, come sottolinea il giudice di appello, dall’affidamento della gestione contabile a un professionista poi resosi irreperibile.”
(ii) I profili di colpa sussistenti in capo all’imprenditore non dal mero incarico conferito al professionista contabile.
“Anche il secondo motivo non merita accoglimento. Se, come si è visto, la peculiarità del caso di specie rappresentata dalla condotta del professionista al quale era stata affidata la gestione contabile ha giustificato l’esclusione della bancarotta fraudolenta documentale e la riqualificazione in melius del fatto, con riferimento alla bancarotta semplice documentale, la colpa dell’imprenditore non è esclusa dall’affidamento a soggetti estranei all’amministrazione dell’azienda della tenuta delle scritture e dei libri contabili, perché su di lui grava, oltre all’onere di un’oculata scelta del professionista incaricato e alla connessa eventuale culpa in eligendo anche quella di controllarne l’operato (Sez. 5, n. 24297 del 11/03/2015, Cutrera, Rv. 265138). Del tutto infondate risultano le ulteriori doglianze, avendo la Corte distrettuale richiamato le notevoli difficoltà incontrate dalla curatela (specificamente indicate richiamando la sentenza di primo grado).”
(iii) L’errata determinazione delle pene accessorie per il reato di bancarotta semplice documentale ascritto all’imputato:
“Il terzo motivo, invece, deve essere accolto. Invero, la sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui dispone: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni». Si verte in ipotesi di pena illegale rilevabile d’ufficio dal giudice di legittimità, in quanto, indipendentemente dal fatto che le pene concretamente irrogate rientrino nella cornice edittale della norma così come manipolata dal giudice delle leggi, il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale (cfr. Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857). Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, sono intervenute, a chiarirne la portata, le Sezioni unite, che, hanno affermato il principio in forza del quale le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. U., n. 28910 del 28/02/2019, Suraci).”
*****
La norma incriminatrice
Art. 216 legge fallimentare, bancarotta fraudolenta:
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa
*****
Quadro giurisprudenziale in materia di bancarotta fraudolenta in ordine ai profili di culpa in eligendo per il mancato controllo sull’operato del professionista commercialista:
Cassazione penale sez. II, 21/06/2019, n.37503:
Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale consistente nell’illecito ed ingiustificato trasferimento di beni aziendali della società fallita a vantaggio di altre imprese gestite dal medesimo amministratore può concorrere con il delitto di autoriciclaggio purché nella vicenda sia rinvenibile un quid pluris di condotta riferibile in via esclusiva al reato di autoriciclaggio (in particolare, tale profilo di reato è rinvenibile quando non vi sia mero trasferimento di beni da un’azienda all’altra, ma la nuova azienda sia operativa e gestendo il patrimonio ricevuto illecitamente lo immetta nel circuito economico).
Corte appello Trento, 15/06/2017, n.106:
In tema di bancarotta semplice, non va esente da responsabilità penale l’amministratore di una società per il fatto di non essersi occupato personalmente di contabilità, giacché in capo all’amministratore di diritto incombe il diretto e personale obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili, nonché di controllo su tale adempimento, qualora quest’ultimo risulti delegato ad altro soggetto. (Nella specie, la Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’imputata, amministratrice di una società, non si fosse mai occupata di contabilità, non avesse scelto il commercialista né avesse trattato con lo stesso questioni inerenti alla società, reputando tale condotta gravemente imprudente e negligente, inidonea in quanto tale a mandare esente la predetta dalla conseguente responsabilità).
Tribunale Nola, 21/12/2017, n.2854:
La condotta di bancarotta fraudolenta documentale per l’omessa tenuta della contabilità non può essere scriminata dal fatto che l’imprenditore abbia delegato il commercialista della tenuta della stessa poiché il delegante ha sempre l’obbligo di controllo del delegato.
Cassazione penale sez. V, 04/05/2016, n.39681:
L’amministratore di fatto di una società risponde del reato di bancarotta documentale per la semplice omissione dei doveri discendenti da tale ruolo, non essendo invece necessaria la prova di un suo contributo effettivo alla consumazione dell’illecito penale, richiesta solamente per affermare la responsabilità di un concorrente extraneus. A tal fine, amministratore di fatto è colui che esercitata un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non occasionale.
Cassazione penale sez. III, 20/11/2015, n.3539:
Non è configurarabile l’assorbimento tra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dall’art. 11, d.lg. n. 74 del 2000 ed il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale previsto dall’art. 216, primo comma, n. 1, legge fallimentare, atteso che le due fattispecie riguardano distinti beni giuridici; la prima condotta è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, la seconda l’interesse dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti.
Tribunale Rovereto, 18/07/2013, n.13:
Ai fini della dichiarazione di responsabilità dell’ “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non è sufficiente la prova della dimostrazione della conoscenza dello stato di dissesto della società ma che egli abbia aderito al disegno fraudolento dell’imprenditore nei confronti del creditore. (Nel caso di specie si trattava di un commercialista che aveva compiuto singoli atti di gestione della società fallita, quali ordini ai dipendenti sulla fatturazione con la società che aveva incassato sulla base di un simulato e/o insussistente rapporto di agenzia, che dimostravano la condivisione del disegno fraudolento dell’imprenditore).
Cassazione penale sez. V, 28/11/2012, n.7556:
In tema di bancarotta per distrazione, non è configurabile la responsabilità dell’amministratore di una società diversa da quella fallita nel reato proprio, ex art. 40, comma 2, c.p., la quale, integrata dalla posizione di garanzia, ex art. 2392 c.c., è invocabile solo con riferimento agli atti di gestione della società amministrata e non può invece estendersi ad atti compiuti da amministratori di società terze. Ne consegue che l’amministratore di una società diversa da quella fallita può concorrere quale “extraneus” nel reato solo mediante una partecipazione attiva.
Cassazione penale sez. V, 15/12/1993:
In tema di bancarotta fraudolenta documentale l’imprenditore e – nel caso di bancarotta c.d. impropria – gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, non vanno esenti da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità.
By Claudio Ramelli @Riproduzione Riservata