La diagnosi tardiva del pediatra è condizione sufficiente per affermare la responsabilità del sanitario per omicidio colposo se la condotta attendista impedisce il tempestivo intervento chirurgico salvifico.
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n. 39724/2019 resa in materia responsabilità penale del medico per condotta omissiva in fase diagnostica, con la quale, la Suprema Corte, dando continuità ai principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza Franzese (Sez. Un, n. 30328 del 10/7/2002), ha ritenuto condivisibile il percorso logico – giuridico seguito dai Giudici di merito che aveva portato alla affermazione di penale responsabilità dell’imputata.
Il caso clinico, l’imputazione e il doppio grado di giudizio.
La Corte di appello di Catania confermava la sentenza di primo grado che aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato tratto a giudizio in qualità di medico specialista pediatrico in servizio presso il reparto di pediatria del locale nosocomio per colpa consistita in negligenza e imperizia, in particolare per essersi limitato a monitorare le condizioni cliniche del paziente (soggetto già affetto da grave patologia intestinale) ricoverato alle 2.30 con diagnosi di ingresso “colica addominale”, pur in presenza di progressivo peggioramento del quadro sintomatico, ometteva fino alle successive ore 5,35 di prescrivere esami di laboratorio e indagini strumentali, attendendo sino alle 7.10 per richiedere la necessaria consulenza chirurgica la quale evidenziava una gravissima occlusione intestinale, poi rivelatasi interessare già il 90% dell’apparato intestinale gravemente ischemico, così cagionando il decesso del paziente per compromissione multiorgano con grave squilibrio metabolico ed idroelettrico secondaria ad infarto intestinale.
Il principio di diritto e il giudizio di legittimità.
Il Supremo Collegio ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per intervenuta prescrizione del reato rigettando il ricorso agli effetti civili confermando, per l’effetto, le statuizioni civili della sentenza di merito.
Di seguito si riportano i passaggi di maggiore interesse per gli operatori di diritto e della sanità estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento.
(i) Quando l’errore diagnostico assume disvalore penale:
“La sentenza impugnata è pervenuta all’affermazione della colpa dell’omissis per errore diagnostico con ragionamento coerente e immune da vizi logici, offrendo altresì una soluzione giuridicamente corretta ala luce dei consolidati principi di questa Corte in tema di causalità della colpa.
In materia di errore diagnostico, la Suprema Corte ha chiarite. – e va qui ribadito- che questo si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione delia diagnosi [Sez. 4, n. 21243 del 18/12/2014 dep. 21/05/2015), Pulcini, Rv. 263492; Sez. 4, n. 46412 del 28/10/2008, Calò, Rv. 242250, fattispecie nella quale una diagnosi errata e superficiale, formulata senza disporre ed eseguire tempestivamente accertamenti assolutamente necessari, era risultata esiziale).
Nel solco di tale giurisprudenza si è quindi ritenuto che rispondesse di lesioni personali colpose il medico ospedaliero che, omettendo di effettuare i dovuti esami clinici, aveva dimesso con le diagnosi errate di gastrite un paziente affetto la patologia tumorale così prolungando per un tempo significativo le riscontrate alterazioni (nella specie, vomito, acuti dolori gastrici ed intestinali) ed uno stato di complessiva sofferenza, di natura fisica e morale, che favorivano un processo patologico che se tempestivamente curato, sarebbe stato evitato o, quanto meno, contenuto [Sez. 4, n. 2474 del 14/10/2009 (dep. 20/01/2010), Vancheri e altri, Rv. 246161).
(ii) Il perimetro del giudizio controfattuale ed il nesso causale tra condotta omissiva ed evento avverso:
“Si è altresì con divisibilmente evidenziato che, in tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del medico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. 4, n. 18573 dei 14/02/2013, Pleiona .Rv. 256338, fattispecie nella quale il sanitario di turno presso il Pronto Soccorso non aveva disposto gli accertamenti clinici idonei ad individuare una malattia cardiaca in corso e, di conseguenza, non era intervenuto con una efficace terapia farmacologica di contrasto che avrebbe rallentato significativamente il decorso della malattia, così da rendere utilmente possibile il trasporto presso struttura ospedaliera specializzata e l’intervento chirurgico risolutivo).
In conformità ai principi espressi dalle Sezioni Unite (Sez. Un, n. 30328 del 10/7/2002, Franzese, R.v. 222138), che hanno ritenuto legittimamente affermata la responsabilità di un sanitario per omicidio colposo dipendente dall’omissione di una corretta diagnosi, dovuta a negligenza e imperizia, e del conseguente intervento che, se effettuato tempestivamente, avrebbe potuto salvare la vita del paziente), su cui si tornerà più ampiamente è configurabile quando sarebbe stata doverosa, scongiurato.”
“In tema di nesso causale nei reati omissivi, in altri termini non può escludersi la responsabilità dei medico il quale colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico all’aggravamento delle condizioni ad paziente, sino all’esito mortale, laddove nel giudizio controfattuale, vi è l’alta probabilità logica e razionale che gli accertamenti omessi, se tempestivamente disposti, avrebbero evitato l’evento.
Punto di riferimento rimane la già ricordata sentenza Franzese, per cui nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in- epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (così Sez. Un. n. 30328 del 10/7/2002, cit.).
“Nel solco di tale pronuncia, è stato anche affermato che il nesso di causalità deve essere accertato non sulla base dei soli coefficienti di probabilità statistica, bensì mediante l’utilizzo degli strumenti di cui il giudice penale ordinariamente dispone per le valutazioni probatorie, e può ritenersi sussistente quando, considerare tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di “certezza processuale”, ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare evento lesivo (Sez. 4, n. 38334 del /10/2002, Albissini„ Rv. 222862, fattispecie di colpa professionale medica per omessa, precoce, diagnosi di neoplasia polmonare determinata da superficiale o errata lettura del referto radiologico, per la quale la Corte ha ritenuto sussistente il nesso di causalità pure in mancanza di indagine autoptica).”
(iii) L’applicazione del paradigma del giudizio “contro i fatti” al caso di specie:
Nel caso di specie, la sentenza impugnata, ha fatto buon governo delle indicazioni che provengono dalla citata giurisprudenza delle Sezioni Unite Franzese.
Essa, come quella di primo grado, ha sostenuto, sulla base dee risultanze peritali e della consulenza disposta dal pubblico ministero, che già all’ingresso in reparto era evidente l’iniziale distensione dell’addome, emergente alla sua percussione, la quale avrebbe tempestivamente richiesto un esame radiologico, configurandosi, già da quel momento, una prevedibilità dell’occlusione, in ragione dell’intervento chirurgico cui il minore era stato sottoposto l’anno precedente, dell’assenza di alternative patologiche in diagnosi differenziale, del quadro clinico riconducibile all’addome, del progressivo peggioramento delle condizioni cliniche del bambino.
La condotta doverosa omessa avrebbe, invece, imposto all’imputato – di fronte alla menzionata difficoltà a reperire un accesso venoso periferico, a compulsare in tempi brevi i rianimatori, per eseguire en accesso venoso centrale, senza attendere le ore 05:35, dopo un’inerzia di tre ore: ciò avrebbe consentito adeguati idratazione e sostegno elettrolitico, atteso che costituisce dato di comune sapere medico che relative alterazioni sono di grave nocumento per i piccoli pazienti.
Pur mostrato dal medico, appalesandosi quella effettuata del tutto insufficiente, occorreva assicurare un’adeguata idratazione del paziente il quale continuava a perdere liquidi, così determinandosi gli squilibri circolatori.
Egli avrebbe dovuto richiedere immediatamente una consulenza chirurgica (cui provvide molto tardi, ore 07.10, quando la situazione era irrimediabilmente compromessa).
Secondo norma, i canoni di diligenza, di prudenza e di perizia, si imponeva che [omissis] quanto meno dalle ore 03:30, allorché il quadro clinico assunse connotati di estrema gravità ed evidenza, considerasse la probabile occlusione intestinale con soluzione chirurgica.
Costituisce principio pacifico che, in tema di responsabilità del sanitario per condotte omissive in fase diagnostica, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità, occorre far ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico, ai fini di accertare, dando per verificato il comportamento invece omesso, se quest’ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento o comunque ridotto l’intensità lesiva dello stesso (Sez. F, n. 41158 del 25/08/2015, P.G. in proc. e altri, P.v. 264383).
Al riguardo, la sentenza impugnata rileva, sulla scorta delle valutazioni peritali, che un’immediata ed adeguata gestione del paziente (iter diagnostico immediato, Corte intervento chirurgico eseguito in emergenza), posta in essere all’ingresso in reparto avrebbe comportato, per lo stesso apprezzabili possibilità di salvezza. Sentito in dibattimento, su specifica domanda del Giudice, il perito affermava, infatti, che, con una corretta gestione medica, il piccolo [omissis]avrebbe potuto quasi certamente salvarsi.
Nel medesimo senso, ricorda la Corte territoriale, depone anche la richiamata letteratura scientifica che valorizza come fondamentale la tempestività della diagnosi.
Se poi si considera che la briglia era la causa dello strozzamento vascolare, appare evidente, continua la sentenza di appello, che intervenire chirurgicamente nel più breve tempo, ai fine di sezionare la briglia aderenziale avrebbe posto fine sia ai disturbi circolatori che all’arresto del transito intestinale.
Sul punto, dunque, la sentenza impugnata, integralmente condividendo le risultanze della perizia, concludeva nel senso che, nel caso di specie, alla luce di una valutazione ex ante, tenuto conto dei dati anamnestici (pregresso intervento chirurgico), obiettivi (dolore addominale, addome trattabile ma già meteorico, agitazione psicomotoria„ obnubilamento del sensorio), di laboratorio (iperglicemia ingravescente) e in assenza di alternative patologiche in diagnosi differenziale (assenza cil diarrea e vomito profusi), l’imputato non pose in essere un condotta professionale corretta.
(iv) L’elemento psicologico del reato e la colpa del pediatra imperito e negligente.
Quanto al grado della colpa, a sentenza impugnata ha condiviso la valutazione dei primo giudice che ravvisava una grave colga professionale per negligenza e imprudenza, tale da escludere in radice l’applicabilità dell’art. 3 L n.fr 139/2012 (cede Legge Baldazzi) che afferisce alla sola ipotesi di colpa lieve, sub specie della sola perizia, del sanitario, il quale si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate.
Ha evidenziato, in particolare, come l’evento si sia verificato per colpa grave sotto il duplice profilo della grave imperizia e della grave negligenza: grave imperizia «perché il [omissis] non riusciva a formulare una corretta diagnosi malgrado la pluralità di dati obiettivi e di laboratorio e benché fosse reso edotto dell’importante trascorso clinico del paziente, il che avrebbe dovuto indurlo, se non a privilegiare la possibilità della occlusione intestinale, quanto meno a prenderla in seria considerazione»; grave negligenza perché la condotta dell’imputato si esauriva in un atteggiamento meramente attendista, consistito nell’omettere le dovute iniziative o nell’attivarsi con grave ritardo (di tre ore prima di eseguire un accesso venoso centrale ai fini dell’idratazione dei paziente; di cinque ore prima di richiedere la necessaria consulenza chirurgica), temporeggiando in attesa dell’evolversi della situazione.
Osserva condivisibilmente la Corte del merito che un’eventuale difficoltà della diagnosi non autorizza scelte meramente attendiste, imponendo, al contrario, accertamenti in varie direzioni, onde provare a restringere il cerchio delle ipotesi, e che «tanto maggiore appare il grado della colpa, quanto più – la si rapporti all’urgenza della situazione».
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La norma incriminatrice
Art. 589 c.p. omicidio colposo:
Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.
Se il fatto e’ commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena e’della reclusione da tre a dieci anni .
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici
Art. 40 c.p., rapporto di causalità:
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
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Rassegna giurisprudenziale in tema di nesso eziologico fra la condotta omissiva contestata al sanitario e l’evento avverso.
Cassazione penale sez. IV, 10/10/2017, n.50038
L’errore nella trasfusione di sangue di gruppo diverso al paziente è un errore di gravità tale da dover essere considerato come dotato di “esclusiva forza propria nella determinazione dell’evento” anche rispetto ad un precedente errore medico, conseguendone che il processo causale innescato dalla consegna di sangue di un particolare gruppo destinato ad un paziente diverso dalla vittima è caratterizzato esclusivamente da errori che rappresentano lo sviluppo ulteriore dell’originario iter eziologico.
Cassazione penale sez. fer., 25/08/2015, n.41158
In tema di responsabilità del sanitario per condotte omissive in fase diagnostica, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità, occorre far ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico, al fine di accertare, dando per verificato il comportamento invece omesso, se quest’ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento o comunque ridotto l’intensità lesiva dello stesso. (Fattispecie in cui è stata esclusa la responsabilità degli imputati, non essendo stata raggiunta la prova che, ove questi avessero ripetuto determinati esami strumentali, sarebbero pervenuti con certezza od elevata probabilità od una diagnosi differenziale di quella formulata, che avrebbe consentito di compiere l’intervento chirurgico necessario per impedire il decesso del paziente).
Cassazione penale sez. IV, 14/02/2013, n.9170
Il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con un elevato grado di credibilità razionale – che poggi su un compendio fattuale idoneo, adeguatamente esposto dal decidente – non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (esclusa, nella specie, la responsabilità di due infermieri che, dopo aver posto su di un letto un paziente ricoverato in stato di ubriachezza e presunta crisi asmatica, a seguito della caduta dell’uomo, lo avevano nuovamente collocato sul medesimo letto con una sponda metallica di contenimento da un lato e poggiando l’altro lato al muro; ciononostante, il paziente, muovendosi, era caduto ancora una volta, morendo poco dopo).
Cassazione penale sez. IV, 15/11/2005, n.3380
In caso di comportamento omissivo, l’accertamento della responsabilità e, in particolare, la verifica della sussistenza del nesso di causalità sono sottoposti a regole identiche a quelle applicabili in caso di comportamento commissivo, essendo i due tipi di comportamento strettamente connessi, dato che, nella condotta omissiva, nel violare le regole cautelari, il soggetto non sempre è assolutamente inerte, ma non infrequentemente pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, cioè da quello che sarebbe stato doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia, attenzione. L’unica distinzione attiene soltanto alla necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso, per verificare la sussistenza del nesso di causalità, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziché fondato sui dati della realtà; infatti, nel caso di comportamento omissivo, è solo con riferimento alle regole cautelari inosservate che può formularsi un concreto rimprovero nei confronti del soggetto e verificarsi, con giudizio controfattuale ipotetico, la sussistenza del nesso di causalità.
Cassazione penale sez. IV, 15/11/2005, n.3380
La causalità omissiva ha la medesima struttura della causalità attiva e ne differisce esclusivamente per la necessità di far ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico anziché fondato sui dati della realtà. È di natura omissiva il comportamento del medico che, in forza di un errore diagnostico, causa un evento lesivo ponendo in essere una condotta diversa da quella doverosa secondo le regole della comune prudenza, perizia e diligenza. (La Corte ha nella specie ritenuto omissivo il comportamento del medico che, in presenza di un esame mammografico dal quale risultavano sintomi di probabile patologia neoplastica, non dispose l’esame istologico ma prescrisse un ulteriore controllo mammografico da effettuarsi a distanza di un anno, così contribuendo alla progressione del male).
Cassazione penale sez. IV, 03/10/2002, n.38334
In tema di responsabilità per colpa medica di tipo omissivo, il riconoscimento del necessario nesso di causalità tra condotta ed evento, se da una parte non può basarsi su dati meramente statistici in ordine alle ipotetiche probabilità di successo dei mancati interventi diagnostici o terapeutici, non può, d’altra parte, neppure postulare il conseguimento di una certezza oggettiva risultante da elementi probatori assolutamente inconfutabili, dovendosi invece ritenere necessaria e sufficiente una certezza processuale, che il giudice può conseguire valorizzando tutte le circostanze del caso concreto, secondo un procedimento logico analogo a quello che presiede alla valutazione della prova indiziaria, prevista dall’art. 192 comma 2 c.p.p., si da poter affermare la validità del proprio convincimento “al di là di ogni ragionevole dubbio”. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la sussistenza del nesso di causalità tra la ritardata diagnosi di una formulazione tumorale e la morte del paziente che, pur se inevitabile, sarebbe stata apprezzabilmente ritardata da una diagnosi tempestiva, seguita dagli opportuni interventi terapeutici).
By Claudio Ramelli @Riproduzione Riservata