Commette reato di trattamento illecito di dati personali chi, in assenza di autorizzazione, inserisca il numero di telefono di un soggetto per la registrazione su chat erotica.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 46376/2019, depositata il 14.11.2019, con la quale la Suprema Corte chiamata a pronunciarsi in materia di tutela penale del diritto alla privacy ha confermato la penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato di trattamento illecito di dati di cui ricorrevano tutti gli elementi costitutivi in ragione del nocumento arrecato alla persona offesa.
L’imputazione e la doppia conforme di merito.
La Corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza di condanna inflitta in primo grado all’imputata, tratta a giudizio per aver registrato l’utenza cellulare della madre su una piattaforma internet di chat erotiche mediante la quali i frequentatori della chat potevano contattare la persona offesa.
Nel caso di specie al giudicabile veniva contestato il reato di trattamento illecito dei dati personali previsto e punito dall’art. 167, comma 1, D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice della privacy).
Il principio di diritto e il giudizio di legittimità.
Il Supremo Collegio ha annullato la sentenza senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio disposto con l’impugnato provvedimento rideterminando la pena e dichiarando inammissibile nel resto il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento che affrontano il tema della configurabilità del reato di illecito trattamento dei dati.
(i) La qualificazione giuridica delle condotte e la sussumibilità nella norma incriminatrice di cui all’art 167 comma 1 del GDPR:
“L’affermazione della responsabilità penale dell’imputata, oggetto di doppio conforme accertamento di merito, poggia su una pluralità di elementi probatori tra cui la confessione resa dell’imputata di avere registrato il numero di utenza cellulare della persona offesa sulla chat erotica, attraverso tre collegamenti tramite internet, i primi due in data omissis, il terzo in data omissis, con il nickname “omissis” e “omissis”, successivamente ritrattata per ben due volte (secondo la prima ritrattazione si era determinata ad ammettere il fatto con l’intento di indurre la persona offesa a rimettere la querela, versione modificata nel corso dell’esame, durante il quale dichiarava di essersi assunta la responsabilità per scongiurare un comportamento violento del convivente della madre, persona dal carattere aggressivo), nonché l’accertamento che il collegamento, del omissis, alla rete internet era avvenuto da un indirizzo IP collegato dall’utenza fissa installata presso l’abitazione della madre.”
“La Corte distrettuale ha disatteso la ritrattazione, con motivazione che non appare né manifestamente illogica né contraddittoria, argomentando che la stessa era un mero espediente per sottrarsi alla responsabilità, evidenziando, quanto all’ultima versione resa, che all’epoca della denuncia la relazione tra il compagno della madre e quest’ultima era già terminata da tempo, sicché destituita di fondamento era la versione resa dall’imputata che si sarebbe autoaccusata ingiustamente per difendersi da un uomo che era già uscito dalla vita famigliare, uomo con il quale l’imputata era risultata avere un normale rapporto di frequentazione.”
“Nel caso in esame, la condotta ascritta all’imputata, come accertata in punto di fatto nelle conformi sentenze di merito, di avere registrato l’utenza cellulare di altra persona, senza il suo consenso, su chat erotiche con invito a contattarla per le prestazioni sessuali, integrava pacificamente, secondo la legge in vigore al momento del fatto, una ipotesi di trattamento dei dati personali, essendo l’utenza telefonica uno di questi.
Tale condotta, in assenza di consenso del titolare del dato, era sussumibile entro la cornice tipica di cui al citato art. 167 comma 1 del d.lgs n. 169 del 2003, in relazione all’art 23 comma 1 cit., secondo la configurazione ratione temporis, che così prevedeva: “ Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articolo 18,19,23,123,126 e 130, ovvero in applicazione dell’art 129 è punito, se dal fatto ne deriva nocumento, con la reclusione da sei mesi a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.”
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Art. 167 d.lgs. n. 196/2003 , Trattamento illecito di dati.
- Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’articolo 129 arreca nocumento all’interessato, e’ punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi.
- Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-sexies e 2-octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2-septies ovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell’articolo 2-quinquiesdecies arreca nocumento all’interessato, e’ punito con la reclusione da uno a tre anni.
- Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresi’ a chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli articoli 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all’interessato.
- Il Pubblico ministero, quando ha notizia dei reati di cui ai commi 1, 2 e 3, ne informa senza ritardo il Garante (2) .
- Il Garante trasmette al pubblico ministero, con una relazione motivata, la documentazione raccolta nello svolgimento dell’attivita’ di accertamento nel caso in cui emergano elementi che facciano presumere la esistenza di un reato. La trasmissione degli atti al pubblico ministero avviene al piu’ tardi al termine dell’attivita’ di accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto.
- Quando per lo stesso fatto e’ stata applicata a norma del presente codice o del Regolamento a carico dell’imputato o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria dal Garante e questa e’ stata riscossa, la pena e’ diminuita.
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Giurisprudenza di legittimità.
Quadro giurisprudenziale in ordine al reato di trattamento illecito dei dati personali in materia di violazione delle disposizioni del Codice della privacy (GDPR):
Cassazione penale sez. III, 19/06/2019, n.43534:
È configurabile il trattamento illecito di dati personali nell’ipotesi in cui taluno, anche solo per un breve lasso di tempo, posta su siti porno fotomontaggi realizzati a partire da foto di sue conoscenti, prelevate da Facebook, a nulla rilevando che si è trattato di una “bravata”. La Cassazione ha confermato la condanna per l’imputato per violazione della privacy di ben 17 ragazze, nonostante avessero tutte rimesso la querela per diffamazione a seguito di uno spontaneo risarcimento di 1.300 euro ciascuna da parte del ricorrente. Per la Corte l’indiscutibile attentato all’onorabilità delle persone inconsapevolmente interessate dal fotomontaggio e l’assenza del loro consenso all’utilizzo della propria immagine sono alla base del reato previsto dall’articolo 167 del codice Privacy.
Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.20013:
L’art. 167, comma 2, d.lg. n. 196/2003 punisce colui che, al fine di trarre per sé o per altri profitto o arrechi danno all’interessato, procede all’illecito trattamento di dati personali.. Quanto al danno della persona offesa, la disposizione normativa non pone alcuna precisazione, potendo quindi concretizzarsi in qualsiasi pregiudizio giuridicamente rilevante per il soggetto passivo (nella specie, l’imputato, nella qualità di dipendente bancario, aveva proceduto al trattamento dei dati personali di un soggetto, concernenti la situazione patrimoniale in relazione al suo indebitamento con la banca e la divulgazione dei dati sarebbe stata finalizzata a reperire sul mercato possibili acquirenti per una tenuta, evidenziandosi così il profitto, vòlto a consentire alla banca stessa di soddisfare il credito vantato nei confronti del suddetto soggetto e recuperare così la situazione di scoperto. Nel caso in esame, il danno si era sostanziato non solo nel ‘vulnus’ al nome dell’azienda in cui il colpevole lavorava, ma anche nella rappresentazione ad altri soggetti, terzi, della possibilità di acquisto ad un prezzo inferiore al suo valore commerciale della tenuta a fronte dell’indebitamento del proprietario).
Cassazione penale sez. III, 07/02/2017, n.29549:
Nel reato di trattamento illecito di dati personali previsto dall’art. 167 del D.Lgs. n. 196 del 2003 il nocumento è costituito dal pregiudizio, anche di natura non patrimoniale subito dalla persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dell’illecito trattamento. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto “nocumento” la propalazione da parte dell’indagato di informazioni relative alla vita sessuale della persona offesa alla sua nuova compagna).
Ufficio Indagini preliminari Milano, 01/02/2016, n.2982:
Il delitto di cui all’art. 167 D.lvo 196/2003 presuppone che i dati violati siano corrispondenti al vero e che la circolazione, in violazione delle disposizioni del codice della privacy, sia idonea a violare il diritto individuale alla protezione della vita privata e al controllo dei dati personali. (Nel caso di specie, vi era stato un fotomontaggio di immagini fotografiche attraverso cui si attribuivano qualità e abitudini di sono oranti alla vittima non corrispondenti al vero e pertanto non rientranti nel novero dei dati sensibili tutelati dalla norma incriminatrice).
Tribunale Perugia, 26/06/2015, n.1100:
In tema di trattamento illecito di dati personali, il concetto di nocumento cui fa riferimento l’art. 167, d.lg. n. 196/2003 ricomprende tutte quelle forme di fastidio e turbamento subito dalla persona offesa, senza che sia necessario dimostrare una vera e propria lesione di un diritto autonomo e diverso rispetto al diritto di controllare l’uso che si fa dei propri dati personali. (Nella specie, l’imputato è stato condannato per aver pubblicato, senza il preventivo consenso degli aventi diritto, un necrologio su un sito internet dallo stesso gestito).
Cassazione penale sez. III, 05/02/2015, n.40103:
In tema di illecito trattamento di dati personali, il nocumento deve essere previsto e voluto come conseguenza della propria azione, indipendentemente dal fatto che costituisca o si identifichi con il fine dell’azione stessa; è sufficiente, quando ciò non accada (quando cioè il fine sia quello di trarre profitto dall’illecito trattamento dei dati o di recare danno a persona diversa da quella oggetto di trattamento), che il nocumento sia anche solo previsto e accettato come conseguenza della condotta. Non è perciò sufficiente che esso costituisca conseguenza non voluta (ancorché prevista o prevedibile) dell’illecito trattamento dei dati personali.
Cassazione penale sez. III, 28/05/2004, n.30134:
L’art. 167 d.lg. 30 giugno 2003 n. 196 (che punisce la condotta di chi procede al trattamento di dati personali in violazione delle norme di “privacy” al fine di trarne profitto per sè o per altri o di recare ad altri un danno) sanziona le violazioni che determinano un danno direttamente ed immediatamente collegabile e documentabile nei confronti di soggetti cui i dati raccolti sono riferiti e non anche le semplici violazioni formali ed irregolarità procedimentali e quelle inosservanze che producano un “vulnus” minimo all’identità personale del soggetto ed alla sua “privacy” e non determinino alcun danno patrimoniale apprezzabile.
By Claudio Ramelli @Riproduzione Riservata