Va annullata la sentenza di merito che condanna l’Ente senza la prova della prassi di lavoro contra legem e del conseguente vantaggio che avrebbe conseguito la persona giuridica.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n.49775/2019, depositata il 09.12.2019, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione in materia di responsabilità ex d.lgs. n.231/2001, che affronta il tema della prova che l’Autorità giudiziaria deve acquisire nel corso del processo di merito per giustificare la condanna dell’ente attinto dall’indagine penale a seguito di un incidente sul lavoro.

L’imputazione e lo svolgimento del processo di merito.

A seguito di incidente sul lavoro la cui dinamica è bene descritta nella allegata sentenza alla cui lettura si rimanda, veniva tratto a giudizio il delegato alla sicurezza per rispondere del reato di lesioni colpose aggravate, cui veniva addebitato di aver omesso di indicare alle ditte di autotrasporto le corrette procedure di lavoro idonee ad evitare incidenti e ciò anche in relazione rischi interferenziali, nonché la società ex art. 25-septies, comma 3, d.lgs n.231/2001, per aver agito in assenza di modello organizzativo avallando modalità operative non corrette in guisa tale da far conseguire all’ente un vantaggio economico.

Il Tribunale di Gorizia affermava la penale responsabilità del prevenuto per il reato p. e p. dall’art. 590, comma 3, cod. pen. e quella della società per la responsabilità amministrativa ascritta; in grado di appello, la Corte territoriale di Trieste, dichiarava estinto il reato per intervenuta prescrizione confermando nel resto la sentenza impugnata.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza di secondo grado venivano interposte due distinte impugnazioni da parte dell’imputato e della società; il ricorso dell’imputato veniva dichiarato inammissibile per carenza di interesse, mentre veniva accolto quello della società e, per l’effetto, annullata con rinvio per il relativo capo la sentenza di appello.

Di seguito si riportano i passaggi della motivazione di interesse per il presente commento perché affrontano il nodo della responsabilità amministrativa per i reati colposi di evento connessi alla violazione della disciplina sulla sicurezza del lavoro:

(i) La carenza di motivazione sulla prassi di lavoro contra legem.

“Vi é, infatti, da registrare l’evidente carenza motivazionale in ordine alla consistenza probatoria dell’ipotesi – apoditticamente accreditata nella sentenza impugnata, ma confutata nel ricorso della società suddetta sulla scorta di numerosi richiami probatori – che presso la omissis srl si fosse univocamente instaurata una prassi contra legem, la cui sussistenza chiama in causa la vigilanza del datore di lavoro (e soprattutto postula, comunque, l’effettiva conoscenza o conoscibilità della prassi medesima da parte sua): è sufficiente qui ricordare che é il datore di lavoro ad essere tenuto a dominare ed evitare l’instaurarsi, presso gli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, Sentenza n. 22813 del 21/04/2015, Palazzolo, Rv. 263497); e, nella specie, ad essere chiamato in causa é un soggetto che viene qualificato come “delegato” dal datore di lavoro, in assenza tuttavia di elementi comprovanti l’esistenza di tale delega (e, con essa, del dovere di vigilanza sulle prassi contra legem)”.

A parte tale considerazione, risulta del tutto carente e apodittico il percorso argomentativo della Corte di merito in ordine all’effettivo instaurarsi della prassi denunciata e alla conoscenza o conoscibilità della stessa da parte dei soggetti responsabili; tale prassi, peraltro, anche dalla lettura delle motivazioni della sentenza di primo grado, risulta non univocamente acclarata (si parla piuttosto di una modalità residuale, talvolta adottata in passato, ma ciò viene riferito solo da alcuni fra i testimoni); così come non risulta in alcun modo affrontato, neppure nella pronunzia del Tribunale, il tema della conoscenza o della conoscibilità di siffatta prassi da parte del vertice aziendale.

(ii) La carenza di motivazione sul presupposto del vantaggio o dell’interesse perseguito dalla società.

“Anche sotto il profilo della violazione dell’art. 5, d.lgs. n.231/2001 la sentenza impugnata si appalesa del tutto lacunosa, non essendo stato in alcun modo argomentato in che cosa sarebbe esattamente consistito l'”interesse” o il “vantaggio” della società perseguito attraverso la condotta criminosa, se non con un sommario rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado (la quale a sua volta, a pag. 16, si limita a un breve accenno a un non meglio precisato risparmio sui tempi di lavoro e sulle spese di smaltimento del bitume non conforme all’ordine).

Orbene, é noto che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (Sez. 4, Sentenza n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda, Rv. 274320); ma nella specie, né l’uno, né l’altro criterio di imputazione risultano osservati; e, con particolare riguardo all’assunto della violazione sistematica di norme antinfortunistiche, vale quanto si é osservato a proposito della carenza motivazionale circa l’instaurarsi della prassi contra legem”.

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