Incidente sul lavoro e tenuità del fatto: l’applicabilità della causa di non punibilità al datore di lavoro obbliga il giudice di merito a motivare adeguatamente la scelta di non irrogare la sanzione penale.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 42892/2019 – depositata in cancelleria il 18.10.19 – con la quale la Suprema Corte, scrutinando una fattispecie di lesioni colpose connesse alla violazione della disciplina sulla sicurezza del lavoro, ha fatto applicazione del rigoroso orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice, per ritenere il fatto tenue deve esplicare le ragioni che depongono a favore della applicazione della causa di non punibilità, non essendo sufficiente il richiamo a mere clausole di stile.
L’imputazione ed il giudizio di merito.
Il caso oggetto della pronuncia in commento si riferisce ad un infortunio sul lavoro verificatosi a seguito di caduta del dipendente da un passaggio sopraelevato sprovvisto di parapetto fisso.
Il datore di lavoro tratto a giudizio per il delitto di lesioni colpose aggravate, veniva prosciolto dal Tribunale di Rovereto che dichiarava il non doversi procedere (ex art. 469, comma 1- bis, cod. proc. pen.) nei confronti dell’imputato per effetto della particolare tenuità del reato.
Il giudizio di legittimità e il principio di diritto
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Trento ricorreva avverso tale sentenza, lamentando, tra l’altro, violazione di legge e vizio di motivazione per erronea applicazione dei criteri di valutazione della particolare tenuità del fatto.
IL motivo di ricorso veniva accolto e, per l’effetto, la sentenza impugnata veniva annullata con rinvio.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale che affrontano il tema della carenza di motivazione in ordine alla esplicazione dei criteri che hanno condotto alla valutazione di particolare tenuità del fatto:
“In proposito va rammentato che, in tema di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il giudice è tenuto a motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018 – dep. 2019, Venezia, Rv. 27594001). Ai fini dell’apprezzamento circa l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen., occorre accertare, tra l’altro, che il fatto illecito non abbia generato un contesto concretamente e significativamente dannoso con riguardo al bene tutelato dalla norma incriminatrice. Il giudizio sulla tenuità del fatto richiede, dunque, una valutazione complessa in relazione alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo e richiede una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità del caso concreto (così, in motivazione, Sez. 4, n. 7675 del 06/02/2019, Prota).
Nel caso che occupa, il giudicante, da un lato si è limitato ad evidenziare elementi privi di particolare rilevanza rispetto alla valutazione richiesta ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., quali il concorso causale della vittima, la sopravvenuta ottemperanza all’adeguamento di sicurezza e l’intervenuto risarcimento del danno; dall’altro, ha apoditticamente affermato il permanere di conseguenze invalidanti “limitate” (8% tabella INAIL) e ritenuto “lieve” il grado della colpa (assumendo, genericamente, che la protezione contro la caduta fosse comunque presente, benché “insufficiente”), senza adeguatamente spiegare da quali elementi tratti dal caso concreto oggetto di giudizio derivassero valutazioni di questo tipo in ordine alla esiguità dell’offesa arrecata alla vittima in conseguenza dell’infortunio sul lavoro per cui è causa.”
*****
La norma incriminatrice: art. 590 cod. pen. (lesioni personali colpose)
Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima [c.p. 583], della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.
Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa [c.p. 120; c.p.p. 336], salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.
*****
La norma processuale: art. 469 co. 1-bis cod. proc. pen. (Proscioglimento prima del dibattimento)
- Salvo quanto previsto dall’articolo 129 comma 2, se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l’imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo.
1-bis. La sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l’imputato non è punibile ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare.
*****
La norma rilevante nel caso di specie: art. 131 bis codice penale (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto)
Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
*****
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. VI, 20/12/2018, (ud. 20/12/2018, dep. 02/05/2019), n.18180:
In tema di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il giudice è tenuto a motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che, in riforma della sentenza di prime cure, aveva escluso la tenuità del fatto, assumendo che le modalità del fatto risultavano “non irrilevanti”, che la pericolosità dell’imputato era desumibile dalla “spregiudicatezza” della condotta, e che gli elementi valorizzati dal primo giudice risultavano connotati da “non marginale disvalore penale”, senza sostanziare di contenuto tali predicati).
Cassazione penale sez. un., 25/02/2016, n.13681:
L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile a qualsiasi reato che rientri nell’ambito di previsione astratta della norma, comprese le fattispecie caratterizzate da soglie quantitative minime per indicare la rilevanza del fatto o determinare la gravità dell’offesa del bene giuridico.
by Claudio Ramelli @ Riproduzione Riservata