Controllo a distanza dell’attività dei lavoratori: il consenso espresso dai lavoratori alla installazione delle telecamere non esclude la punibilità del datore di lavoro.

Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n.50919/2019 – depositata il 17/12/2019, resa in materia di diritto penale del lavoro, con la quale la Suprema Corte ha confermato la penale responsabilità del datore di lavoro affermata dal Giudice di merito per aver installato nella sua azienda impianti di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori senza il rispetto delle procedure di legge.

L’imputazione ed il giudizio.

Il Tribunale di Milano condannava un imputato, alla pena ritenuta di giustizia, per avere installato all’interno della propria azienda n.16 telecamere di un impianto di videosorveglianza – al dichiarato scopo di controllare l’accesso al locale e fungere da deterrente per eventi criminosi, ma – in grado di controllare i lavoratori nell’atto di espletare le loro mansioni, in assenza di un preventivo accordo sindacale ovvero della autorizzazione della sede locale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, cui si era rivolto senza attendere relativa risposta.

Il ricorso per cassazione.

L’imputato, ritenendo che il fatto da lui compiuto non fosse penalmente rilevante in quanto l’installazione delle telecamere era stata autorizzata dagli stessi lavoratori per iscritto, interponeva appello avverso la suddetta decisione.

L’impugnazione era convertita ipso iure in ricorso per Cassazione non risultando appellabile la sentenza di primo grado perché aveva inflitto la sola pena dell’ammenda.

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Il Collegio di legittimità  dichiarava inammissibile il ricorso perché manifestamente infondato.

Nello specifico la Corte riteneva irrilevante sia la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo la quale l’impianto di registrazione visiva era stato installato onde garantire la sicurezza degli stessi dipendenti, posto che questo è solo uno dei fattori richiesti dalla legge non di per sé sufficiente a giustificare la condotta, sia la circostanza che lo stesso datore non avesse diretto accesso alle videoriprese, elemento ininfluente secondo la legge.

Con riferimento alla terza censura mossa dalla parte, relativa al predetto consenso prestato dai lavoratori al datore, la Corte ha sviluppato invece un più ampio e complesso ragionamento che, partendo dall’analisi della giurisprudenza che sul punto non si è sempre mostrata uniforme, ha ritenuto di dare continuità ai principi espressi con la sentenza n. 22148/2017

Si riportano di seguito i passaggi motivazionali di maggiore interesse per il presente commento:

Da tutto ciò deriva come non abbia alcuna rilevanza il consenso scritto o orale concesso dai singoli lavoratori, in quanto la tutela penale è apprestata dalla disposizione ora violata per la salvaguardia di interessi collettivi di cui, nel caso di specie, le rappresentanze sindacali, per espressa disposizione di legge, sono esclusive portatrici, in luogo dei lavoratori che, a causa della posizione di svantaggio nella quale versano rispetto al datore di lavoro, potrebbero rendere un consenso viziato.

La protezione di siffatti interessi collettivi, riconducibili nel caso di specie alla tutela della dignità dei lavoratori sul luogo di lavoro in costanza di adempimento della prestazione lavorativa, non viene meno in caso di mancato accordo tra rappresentanze sindacali e datore di lavoro né determina uno sbilanciamento eccessivo dei rapporti di forza in favore dell’organismo sindacale, potendo il datore di lavoro comunque adoperarsi per rimuovere l’impedimento alla installazione degli impianti attraverso il rilascio di un’autorizzazione che rientra nelle competenze di un organo pubblico, cui, in regime di imparzialità ed indipendenza, spetta di controllare la meritevolezza dell’interesse datoriale alla collocazione degli impianti nei luoghi di lavoro per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.

Da quanto sopra deve farsi discendere che il consenso o l’acquiescenza che il lavoratore potrebbe, in ipotesi, prestare o avere prestato, non svolge alcuna funzione esimente, atteso che, in tal caso, l’interesse collettivo tutelato, quale bene di cui il lavoratore non può validamente disporne, rimane fuori della teoria del consenso dell’avente diritto, non essendo nel caso descritto la condotta del lavoratore riconducibile al paradigma generale dell’esercizio di un diritto, trattandosi della disposizione di una posizione soggettiva a lui non spettante in termini di esclusività (sostanzialmente nel condiviso senso, qui ampiamente e spesso testualmente riportato, oltre alla citata sentenza n. 22148 del 2017, anche, ancora più recentemente, Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 agosto 2018, n. 38882).”

*****

Riferimenti normativi:

Art.114. del D.lgs. n.196 del 2003, Controllo a distanza:

  1. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio1970, n. 300.

Art. 4. L. n. 300 del 1970, Impianti audiovisivi:

  1. È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
  2. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.
  3. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.
  4. Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.

Art. 15 D.lgs. n. 101 del 2018 l. f), Modifiche alla parte III, titolo III, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196:

  1. f) l’articolo 171 è sostituito dal seguente: «Art. 171 (Violazioni delle disposizioni in materia di controlli a distanza e indagini sulle opinioni dei lavoratori). – 1. La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 4, comma 1, e 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della medesima legge.»

*****

Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di installazione in azienda di impianti audiovisivi.

Pronunce conformi:

Cassazione penale sez. III, 08/05/2017, n.22148:

Integra il reato previsto dall’art. 4 st. lav. (l. 20 maggio 1970, n. 300) l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti. (In motivazione, la Corte ha osservato che la tutela penale è rivolta alla salvaguardia di interessi collettivi, la cui regolamentazione è affidata alle rappresentanze sindacali o, in subordine, ad un organo pubblico, in luogo dei lavoratori “uti singuli”, il cui consenso, a causa della posizione di svantaggio rivestita quali soggetti deboli del rapporto di lavoro, non assume alcun rilievo esimente).

In senso difforme:

Cassazione penale sez. III, 17/04/2012, n.22611:

Non costituisce violazione dell’art. 4 legge n. 300/70 la condotta del datore di lavoro che installa un sistema di videosorveglianza, che prevede anche telecamere inquadranti direttamente postazioni di lavoro fisse occupate da dipendenti, allorchè egli acquisisca l’assenso di tutti i lavoratori attraverso la sottoscrizione da parte loro di un documento esplicito.

by Claudio Ramelli @ Riproduzione Riservata