E’ legittimo il sequestro per equivalente eseguito sul patrimonio dell’indagato se i beni sociali non garantiscono il debito verso l’Erario perché assoggettati alla procedura fallimentare.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 51462/2019 – depositata il 20.12.2019 resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione in materia cautelare reale, in esito al ricorso per cassazione proposto dal PM.
Nella fattispecie oggetto dello scrutinio di legittimità il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna aveva interposto ricorso ex art. 325 c.p.p. contro l’ordinanza del giudice della Libertà che accogliendo l’appello cautelare promosso dalla difesa della persona sottoposta ad indagine, aveva annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari in sede per l’omesso versamento Iva.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che il Tribunale per il Riesame aveva accolto la tesi della difesa che aveva eccepito la nullità del decreto di sequestro preventivo nella parte in cui aveva attinto il patrimonio personale dell’amministratore della società senza preventiva escussione del patrimonio sociale della persona giuridica che, nelle more tra la consumazione del reato e l’adozione della misura temporaneamente ablatoria, era stata fusa per incorporazione con altra società poi fallita.
La capienza del patrimonio sociale sul quale eseguire il sequestro diretto era stata accertata sulla base di una comunicazione del Curatore fallimentare relativa alla liquidità sui conti della società soggetta alla procedura concorsuale.
La Suprema Corte ha annullato con rinvio per nuovo esame l’ordinanza impugnata opinando diversamente dal Collegio cautelare bolognese, censurando la carenza di motivazione del provvedimento sul punto della ritenuta, sufficiente garanzia offerta per il recupero coattivo dell’imposta indiretta autoliquidata e non versata, attese le peculiarità della procedura concorsuale.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza di maggiore interesse che tracciano il perimetro dell’esecuzione della misura ablatoria tra sequestro diretto e per equivalente (o per valore) quando i beni risultati staggiti dal fallimento:
(i) …..Se è vero che la ratio essendi della confisca di valore o per equivalente, sta nella impossibilità di procedere alla confisca “diretta” della cosa che presenti un nesso di derivazione qualificata con il reato, di tale principio tuttavia i giudici della cautela non hanno fatto buon governo, non avendo valutato come la suddetta impossibilità fosse in concreto sussistente stante la dichiarazione di fallimento della società.
Siffatta evenienza, lungi dal costituire un fatto neutro così come sembra ritenere il Tribunale che menziona soltanto incidentalmente il fallimento, è invece gravida di conseguenze proprio in ordine all’attuazione del sequestro diretto dei beni nella titolarità della persona giuridica.
Va infatti rilevato che, così come dalla giurisprudenza di questa Corte più volte ribadito, lo strumento del sequestro per valore deve ritenersi praticabile quando risulti ex actis, anche in via genetica, l’impossibilità di esecuzione del sequestro in forma specifica (ex multis, Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Scognamiglio, Rv. 265028), impossibilità che ricorre non soltanto nell’ipotesi in cui il profitto o il prezzo del reato non è stato rintracciato, ma altresì allorquando non risulti, con l’uso della normale diligenza, prontamente rintracciabile o comunque aggredibile.
Oltre al fatto che viene del tutto tralasciata la questione afferente alla disponibilità dei beni che ove la persona giuridica sia stata, come nel caso di specie, dichiarata fallita passa ope legis direttamente in capo alla curatela che ai sensi dell’art. 42 I. fall. acquisisce automaticamente il potere di disporre e di amministrare il patrimonio del fallito e che l’attivo fallimentare, in cui confluisce il frutto delle attività recuperatorie poste in essere dal curatore e della contestuale attività di gestione, non si identifica perciò necessariamente con il patrimonio del fallito (Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018 – dep. 10/10/2018, E, Rv. 273951), in ogni caso osta all’eseguibilità del sequestro in forma specifica l’assenza di beni prontamente disponibili in capo alla società, tenuto conto dell’aggravio di oneri che consegue all’insinuazione dell’Agenzia delle Entrate nell’attivo fallimentare e dei tempi necessari al completamento della procedura, senza contare che fortemente dubbia appare la possibilità di recupero del credito alla luce del numero dei privilegi generali e speciali antecedenti a quello erariale, secondo l’ordine fissato dal codice civile”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA