Legittimo il sequestro preventivo dei beni intestati fittiziamente ai familiari senza necessità di provarne il collegamento con il profitto ricavato dalla bancarotta e dal riciclaggio.

Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n. 51935.2019, depositata il 23.12.2019  resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione in materia cautelare reale, con la quale il Collegio del diritto ha ritenuto legittimo il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona per il reato di intestazione fittizia di beni, che non richiede la prova del nesso di pertinenzialità tra il profitto dei reati di bancarotta fraudolenta e riciclaggio commessi dal soggetto disponente e la intestazione di immobili e quote societarie avvenuta in favore dei familiari del primo

Secondo la Suprema Corte, infatti, nell’ipotesi prevista e punita dall’art. 512 bis codice penale, la misura temporaneamente ablatoria può essere emessa ed eseguita sui beni fittiziamente intestati a terzi soggetti  purché gli atti di disposizione patrimoniale eseguito dalla persona astrattamente assoggettabile alla misura di prevenzione integrino la condotta di trasferimento fraudolento di valori prevista dalla norma incriminatrice.

Si riporta di seguito il passaggio estratto dal compendio motivazionale della sentenza in commento:

“..In primo luogo, occorre precisare che il delitto di trasferimento di valori, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi integrato anche in presenza di condotte aventi ad oggetto beni non provenienti da delitto, in accordo con la ratio dell’incriminazione che persegue unicamente l’obiettivo di evitare manovre dei soggetti assoggettabili a misure di prevenzione, dirette a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi (Sez. 2, n. 13488 del 16/12/2015, dep. 2016, Zummo, Rv. 266438).

Ne consegue che oggetto del sequestro operato in relazione a beni che abbiano formato oggetto di intestazione fittizia possono essere anche cespiti non rivenienti a loro volta da reato, purché destinati ad integrare la condotta oggi prevista dall’art. 512-bis cod.pen..

Pertanto, quando il ricorso fa riferimento all’inesistenza di un collegamento tra il profitto del reato di riciclaggio – per il quale il ricorrente [omissis] è stato condannato con le sentenze che risultano agli atti e sono state ripetutamente citate nell’atto di impugnazione – ed i beni in sequestro, confonde i presupposti per il sequestro di beni inerente al reato di riciclaggio (ex art. 648-quater cod.pen.), con i presupposti per il sequestro di beni inerente al reato di intestazione fittizia ex art. 240-bis cod. pen..

Si osservi, ancora, che tale “collegamento”, tra i beni in sequestro e quelli che avevano formato oggetto del profitto del reato per il quale il ricorrente è stato condannato in precedenza, non è un requisito richiesto da tale ultima disposizione normativa, che consente la confisca (ed il sequestro a ciò finalizzato) “dei beni di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria disponibilità economica”.

Da ciò discende che risultano incongrui tutti i riferimenti al contenuto delle sentenze emesse nel procedimento conclusosi con la sentenza di condanna dell’imputato per il reato di riciclaggio”.

 

 

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA