L’utilizzo degli indirizzi mail contenuti in una data base proprietario da parte di soggetto non autorizzato assume disvalore penale solo se l’imputato è consapevole della illecita sottrazione e riutilizzo dei dati.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 220.2020, depositata l’08.01.2020, con la quale la Suprema Corte, investita del giudizio di legittimità per scrutinare una presunta ipotesi di reato connessa alla violazione del diritto di autore, ha escluso la penale responsabilità dell’imputata condividendo l’iter logico- giuridico seguito dai giudici di merito le cui pronunce assolutorie risultavano scevre dai lamentati vizi di legittimità.
Nel caso di specie all’imputata era stato contestato in concorso con altri il reato previsto e punito dall’art 171-bis, comma 2, I. n. 633 del 1941, per avere trasferito, al fine di trarne profitto, su altro supporto il contenuto della banca dati appartenente alla società presso la quale lavorava contenente gli indirizzi da utilizzare per l’invio di comunicazioni elettroniche di Direct e-mail marketing (invio di oroscopi personalizzati e di altre comunicazioni commerciali) in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 64-quinquies e 64-sexies, e per averne eseguito l’estrazione e il reimpiego in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 102-bis e 102-ter della medesima legge.
Tratta a giudizio dalla Procura milanese con l’imputazione suddetta giudicabile veniva assolta dal Tribunale di Milano all’esito di giudizio abbreviato.
La Corte di appello di Milano confermava la decisione resa dal primo Giudice pur avendo acquisto e valutato nuovi elementi di prova a carico della prevenuta prodotti dalle parti civili appellanti (unitamente al PM).
Contro la sentenza emessa dalla Corte distrettuale interponevano ricorso per cassazione le parti civili costituite titolari dei diritti di proprietà intellettuale sui dati contenuti nel data base violato, articolando plurimi motivi di impugnazione per l’apprezzamento dei quali si rimanda alla lettura della sentenza in commento.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi perché fondati su motivi proponenti deduzioni tese ad diversa lettura del fatto già apprezzato nelle sentenze conformi di merito.
Tuttavia, incidentalmente, il Collegio di legittimità con la pronuncia 220.2020 affronta il tema della colpevolezza nel reato di cui all’art. 171-bis della legge 633/1941, per statuire il principio che l’uso della banca dati senza l’assenso del suo autore costituisce condotta penalmente sanzionata se unitamente alla condotta materiale consistita nel trafugamento e nella successiva utilizzazione dei dati risulta provato a carico del reato anche l’indefettibile componente psicologica dell’azione cosciente e volontaria realizzata in danno della persona offesa dal reato.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA