È autoriciclaggio il reimpiego del profitto del reato derivante da reati fallimentari realizzato mediante il trasferimento di risorse dalla società decotta ad altre persone giuridiche.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 01203.2020, depositata il 14 gennaio 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte Suprema di Cassazione, con la quale, il Collegio del diritto, decidendo in materia cautelare reale, ha chiarito l’estensione del perimetro punitivo dell’autoriciclaggio quando il reato presupposto è la bancarotta fraudolenta.

Nel caso di specie, la difesa dell’indagato, aveva interposto ricorso ex art. 325 c.p.p. contro l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Palermo che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Termini Imerese.

La provvisoria incolpazione contestata nel provvedimento cautelare genetico faceva riferimento ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (art. 216 co. 1, nn. 1,2 L. fall); sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.lgs. 74/2000) ed autoriciclaggio (art. 648 ter.1 cod. pen.).

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso condividendo l’iter argomentativo del Collegio cautelare palermitano.

L’aspetto di maggiore interesse della pronuncia in esame è rappresentato dalla ricostruzione della fattispecie di cui all’art. 648 ter 1 cod. pen. ritenuta sussistente nella fattispecie oggetto di scrutinio  a dispetto della tesi difensiva che aveva censurato la insussistenza del  fumus commissi delicti mancando la condotta di dissimulazione in capo all’indagato.

Sul punto la Cassazione chiarisce che il delitto contro il patrimonio  risulta integrato da condotte di impiego, sostituzione, o, come nel caso di specie, trasferimento di risorse ad altre società, che non necessariamente siano idonee ad impedire in maniera assoluta l’individuazione della provenienza delittuosa dei proventi, risultando sufficiente che ne ostacolino concretamente la individuazione.

Ciò è quanto emerge nella fattispecie oggetto di disamina, considerato che la condotta di sottrazione e distrazione di beni della fallita poi confluiti nel patrimonio di distinte società all’uopo costituite, costituisce azione di riciclaggio perché diversa ed ulteriore rispetto al mero utilizzo e godimento personale del profitto del reato (i quali costituirebbero causa di esclusione della punibilità ex art. 648ter1 co. 4 c.p.), e come tale idonea a dissimulare l’identificazione delle cause del dissesto della società.

Si legga, in tal senso, il seguente passaggio della motivazione della sentenza: <La ratio di colpire le condotte successive a quelle costituenti il delitto presupposto, attraverso le quali il reo reimmette il provento del precedente reato in attività economiche, deve coniugarsi necessariamente con gli ulteriori elementi caratterizzanti la fattispecie e segnatamente con la clausola modale, che figura immediatamente accanto alle condotte, “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”, e con la causa di non punibilità espressa al comma 4 della norma citata>. […] <La sottrazione ed il trasferimento dei beni della fallita sono stati dissimulati attraverso la “polverizzazione del patrimonio”, impiegato appunto nella progressiva creazione di nuove società, senza dar modo alla curatela di ricostruire le cause del dissesto>.

La Corte di Cassazione, inoltre, dando continuità ad un orientamento giurisprudenziale già consolidato, riconosce, la configurabilità del delitto di autoriciclaggio anche nel caso in cui la condotta dissimulatoria è posta in essere dall’agente quando ancora non risulta emessa sentenza dichiarativa di fallimento, potendosi comunque astrattamente configurare  – quale reato presupposto, il delitto di appropriazione indebita aggravata (ex artt. 646 c.p., 61 n. 11 c.p.), che resta assorbito in quello di bancarotta fraudolenta a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento.

La norma incriminatrice

Art. 648 ter 1 codice penale, autoriciclaggio:

Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.

Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

Si applica l’ultimo comma dell’ art. 648.

Il quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale, sez. II, 07/03/2019, n.13795:

La causa di non punibilità prevista nel comma 4 dell’articolo 648-ter.l del c.p. (“fuori dei casi di cui ai commi precedenti”), va intesa e interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio delle suddette parole e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti. Di conseguenza, l’agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta a ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Cassazione penale, sez. V, 05/07/2019, n.38919:

Non integra la condotta di autoriciclaggio il mero trasferimento di somme, oggetto di distrazione fallimentare, a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un “quid pluris” che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene. (Fattispecie relativa alla stipulazione di un contratto di affitto d’azienda in previsione del fallimento, nella quale la Corte ha osservato che, in assenza della verifica della concreta idoneità dell’operazione distrattiva ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, si determinerebbe “un’ingiustificata sovrapposizione punitiva tra la norma sulla bancarotta e quella ex art. 648-ter.1 cod. pen.“).

Cassazione penale, sez. V, 19/03/2014, n. 26548:

Il reato di bancarotta preferenziale prefallimentare si consuma nel momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA