Reati tributari: le novità normative introdotte dal d.l. 124 del 2019, convertito in legge n.157 del 2019 e la rassegna della giurisprudenza di legittimità aggiornata al gennaio 2020.

Si segnala ai lettori del blog l’intervenuta modifica della disciplina dei reati tributari ex d.lgs.74/2000, aggiornata in seguito alla riforma operata dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, di conversione del decreto legge 26 ottobre 2019, intitolato “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”.

La ratio delle modifiche apportate dalla riforma si rinviene nella volontà di inasprire la disciplina sanzionatoria di segno penale per contrastare il fenomeno dell’economia sommersa.

A tal fine il legislatore è intervenuto sulla formulazione delle fattispecie incriminatrici di cui al d.lgs. 74/2000 (prevedendo innalzamenti delle pene edittali, nonché abbassamenti delle soglie di rilevanza penale delle imposte o degli elementi attivi, elementi costituitivi di tali reati); sulla disciplina delle misure cautelari reali, in particolare attraverso l’estensione ai reati fiscali della confisca ‘allargata’ ex art. 240 bis cod. pen; sulla disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti, introducendo i reati tributari nel novero dei reati presupposto, ex art.25 quinquiesdecies d.lgs. 231/2001.

Riservando la trattazione delle novità normative a più specifici contributi, di seguito si riporta la novellata formulazione delle fattispecie incriminatrici di cui al d.lgs. 74/2000, attualmente in vigore a seguito dall’intervento normativo sopra richiamato, nonché la rassegna giurisprudenziale aggiornata a gennaio 2020, riferita, chiaramente, alla pronunce di legittimità rese rispetto alla formulazione delle fattispecie incriminatrici  antecedente alla riforma ed alla confisca (e preventivo sequestro) che assume un ruolo centrale nella difesa tecnica per i reati tributari, segnatamente nella fase cautelare reale.

*****

 

Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

 

  1. E’ punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
  2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

2 bis. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

Cassazione penale sez. III, 23/11/2018, n.10801

In tema di delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, la causa di non punibilità, prevista dall’art. 5-quinquies d. l. 28 giugno 1990, n. 167, che opera per l’imputato che abbia prestato collaborazione volontaria ai sensi dell’art. 5-quater del medesimo decreto legge (cd. voluntary disclosure), determina, al completamento della procedura ed al pagamento delle somme dovute, il venir meno della natura di profitto del reato delle somme derivate dalla utilizzazione delle fatture emesse per operazioni inesistenti, precludendone la confiscabilità e rendendo, conseguentemente, illegittima la protrazione di un sequestro finalizzato unicamente a detta confisca.

Cassazione penale sez. III, 25/10/2018, n.6360

In tema di frodi fiscali, è configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 d.lgs.10 marzo 2000, n. 74 del 2000, ogni qualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni realmente non effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale. (In motivazione, la Corte ha escluso che il riferimento a talune ipotesi di fatturazione, contenuto nell’art. 3, comma 3, del medesimo decreto legislativo dopo la riforma di tale disposizione operata dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, abbia inciso sul rapporto di specialità reciproca esistente tra il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in quanto, accanto ad un nucleo comune costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, il primo presuppone l’utilizzazione di fatture o documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti, mentre il secondo, una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie nonché l’impiego di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e il raggiungimento della soglia di punibilità).

Cassazione penale sez. III, 20/07/2018, n.53318

In tema di reati tributari, il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tutela l’interesse dello Stato a riscuotere ciò che è dovuto nell’ambito e nei limiti del diritto tributario. (In motivazione la Corte ha precisato che l’utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti costituisce un ante factum meramente strumentale alla realizzazione dell’illecito).

Cassazione penale sez. III, 26/06/2018, n.53637

In tema di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, per la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa non assume rilievo la natura soggettiva o meno dell’operazione che ha portato all’emissione delle fatture, quanto, piuttosto, il principio generale dell'”effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”, che, se superato, inibisce l’operazione deduttiva, dei costi. Per l’effetto, devono considerarsi indeducibili i costi comunque “riconducibili” alla condotta criminosa, conseguendone che i costi sostenuti per la realizzazione della frode, essendo essi stessi lo strumento per i realizzare l’evasione di imposta, sono indeducibili e non possono essere considerati per ridurre il quantum dell’imposta evasa (la Corte ha precisato anche che sul principio affermato non esplica alcuna rilevanza la disposizione di cui all’ articolo 14, comma 4 bis della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dall’ articolo 8, comma 1, del Dl 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44,  perché trattasi di previsione che, nel prevedere l’indeducibilità dei soli componenti negativi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi, si limita a stabilire una regola per le sole procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, inapplicabile quindi per la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti).

Cassazione penale sez. III, 19/06/2018, n.52411

In tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.

Cassazione penale sez. III, 24/05/2018, n.46956

In tema di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture, la sussistenza a carico del cessionario, ai sensi dell’art. 60-bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, di un obbligo solidale di versamento dell’IVA gravante sul cedente, peraltro riguardante le sole cessioni reali effettuate a un prezzo inferiore al valore normale e non anche le operazioni inesistenti, non esclude che, a carico del primo, sia comunque ipotizzabile il dolo specifico di evasione, atteso che il meccanismo dell’IVA, basato sulla continuità della registrazione di debiti e crediti nelle contabilità dei soggetti operanti, ammette la possibilità che l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti sia finalizzata all’evasione.

Cassazione penale sez. IV, 20/03/2018, n.17401

I reati di dichiarazione fraudolenta ai fini Iva mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000 commessi in epoca precedente la pronuncia della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, Taricco, dell’8 settembre 2015, anche se non ancora prescritti a tale data, rimangono soggetti alla disciplina nazionale in materia di prescrizione, pur se questa risulti in contrasto con il diritto europeo, perché idonea a pregiudicare gli obblighi imposti a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea. Infatti, come del resto puntualizzato dalla successiva sentenza della stessa Corte di giustizia in data 5 dicembre 2017, il contrasto – quanto al regime di prescrizione – tra il diritto europeo e il diritto nazionale non può condurre alla disapplicazione della norma di diritto interno laddove essa comporti violazione del “principio di legalità” dei reati e delle pene, nei suoi aspetti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale (la Corte, anzi, ha ritenuto tale affermazione di principio in grado di superare il vincolo formale del giudicato e, per l’effetto, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione, nonostante che il procedimento provenisse da precedente annullamento con rinvio, dove la Corte si era limitata ad annullare la sentenza in ordine al profilo sanzionatorio, onde si sarebbe dovuto considerare formato il giudicato sulla responsabilità).

Cassazione penale sez. fer., 31/08/2017, n.47603

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), non è necessario che le fatture o gli altri documenti siano creati da terzi compiacenti, ben potendo essi essere creati dallo stesso utilizzatore.

Cassazione penale sez. V, 14/07/2017, n.43976

È configurabile il concorso tra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000) e quello di bancarotta impropria mediante operazioni dolose previsto dall’art. 223, comma 2, n. 2 l. fall. (Fattispecie in cui l’evasione dell’imposta aveva determinato l’insorgenza di consistenti debiti a carico della società amministrata dovuti a sanzioni, interessi ed oneri accessori, oltre all’IVA, con conseguente incapacità della predetta società di fare fronte alle proprie obbligazioni e conseguente fallimento della stessa).

Cassazione penale, sez. III, 09/06/2017, n. 39541

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche l’inesistenza soggettiva.

 

Cassazione penale, sez. III, 21/04/2017, n. 34534

Ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sprovvista di prova la mera allegazione difensiva circa l’esistenza di una delegazione di pagamento intercorsa fra l’intestatario delle fatture di vendita di alcune autovetture ed i diversi soggetti che avevano versato il relativo prezzo).

 

Cassazione penale sez. III, 29/03/2017, n.37848

In tema di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74/2000), qualora si deduca, a fronte dell’obiettiva, mancata effettuazione della prestazione fatturata, che la stessa era stata comunque pagata in anticipo, occorre, per attribuire valore a tale deduzione, che la mancata effettuazione risulti annotata, entro il prescritto termine, nel registro di cui all’art. 23 d.P.R. n. 633/1972.

Cassazione penale, sez. III, 19/01/2017, n. 24307

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Cassazione penale, sez. III, 30/11/2016, n. 14815

Risponde di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74 del 2000) il soggetto che, d’intesa con gli autori delle dichiarazioni, fornisca ai medesimi, nell’ambito dell’attività di “esperto contabile” prestata in loro favore, le fatture per operazioni inesistenti all’uopo fatte predisporre da terzi.

 Cassazione penale, sez. III, 19/05/2016, n. 7941

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 d.Lg. n. 74/2000, è integrati dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione di imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità.

 

Art. 3. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

 

  1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da tre a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:
  2. a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
  3. b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.
  4. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. 
  5. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.

Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.19672

Il rilascio, da parte di professionista abilitato, di un mendace visto di conformità o di un’infedele certificazione tributaria, di cui rispettivamente agli artt. 35 e 36 d.lgs. 9 luglio 1997 n. 241, ai fini degli studi di settore, costituisce un mezzo fraudolento, idoneo ad ostacolare l’accertamento e ad indurre l’amministrazione finanziaria in errore, tale da integrare il concorso del professionista nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. (In motivazione, la Corte ha precisato che, non trovando applicazione il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., il delitto indicato concorre con lo specifico reato previsto dall’art. 39 d.lgs. n. 241 del 1997).

Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.24799

Anche la normale attività professionale (di regola quella di commercialista, ma anche, come nella specie, quella di avvocato, specie se esperto nella materia), qualora realizzata, pur nella sua formale aderenza ai canoni della professione, con lo scopo di concorrere alla realizzazione di un’associazione per delinquere, configura condotta penalmente rilevante per la sussistenza dell’articolo 416 del codice penale, trattandosi di reato che per la sua realizzazione comporta una condotta a forma libera, sottoposta alle sole condizioni che l’agente intenda aderire all’accordo associativo e che il suo comportamento sia, anche se parzialmente, funzionale alla realizzazione del progetto criminoso perseguito dai consociati. Tale condotta, anzi, se essenziale per l’organizzazione della struttura associativa, qualifica detta partecipazione come quella di organizzatore dell’organismo criminoso (fattispecie in materia cautelare, dove la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un avvocato, indagato in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, segnatamente quelli di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e indebita compensazione, risultando spiegato in modo satisfattivo il ruolo strutturato svolto, tra l’altro, nella gestione di fatto nella gestione di crediti inesistenti della società e nell’individuazione di strategie utili al raggiungimento del fine fraudolento del gruppo e nell’occultamento del proventi illeciti).

Cassazione penale sez. fer., 31/08/2017, n.47603

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, poiché la “ratio” del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.

Cassazione penale sez. III, 11/04/2017, n.38185

In tema di reati finanziari e tributari, anche seguito della novella apportata dal d.lgs. n. 158 del 2015, che ha aggiunto la lett. g-bis) all’art. 1d.lg. n. 74 del 2000, la condotta di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non è assorbita in quella di compimento di operazioni simulate soggettivamente, in quanto in base alla immutata definizione contenuta nella lett. a) dello stesso art. 1 d.lgs. n. 74 del 2000, sono fatture per operazioni inesistenti anche quelle che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi; ne consegue che il discrimine tra i reati previsti, rispettivamente, dagli art. 2 e 3 d.lgs. n. 74 del 2000 non è dato dalla natura dell’operazione ma dal modo in cui essa è documentata.

 

Cassazione penale sez. II, 18/10/2016, n.1673

È configurabile il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, anche nell’ambito del regime fiscale del consolidato nazionale, introdotto con il d.lgs. n. 344 del 2003, sia pur solo con riferimento alla dichiarazione consolidata, in quanto unica rispetto alla quale può essere verificato il superamento della duplice soglia di punibilità richiesto dal primo comma dell’indicato articolo.

Cassazione penale sez. II, 18/10/2016, n.1673

Il reato di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) è configurabile anche con riferimento alla dichiarazione che, nel caso di società ammesse alla tassazione di gruppo ai sensi dell’art. 117 t.u. delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, venga presentata dalla società controllante ai sensi dell’art. 122 del medesimo d.P.R., ed è soltanto con riguardo alla detta dichiarazione che va verificato il superamento o meno della duplice soglia di rilevanza penale prevista dalla norma incriminatrice, nulla rilevando, quindi, l’eventualità che taluna delle dichiarazioni trasmesse dalle controllate alla controllante e da questa utilizzate per la formazione della dichiarazione del reddito consolidato di gruppo dia luogo al superamento di detta soglia, quando questo risulti neutralizzato per effetto delle perdite subite da altre controllate.

Cassazione penale sez. III, 15/10/2014, n.50308

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 3 d.lg. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), premesso che non è sufficiente la sola falsa rappresentazione (realizzabile anche in forma omissiva), nelle scritture contabili obbligatorie, degli elementi sulla base dei quali si determina l’obbligazione tributaria, ma occorre anche un “quid plurius” costituito dall’uso di “mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento”, deve ritenersi che siano tali tutti quegli accorgimenti la presenza dei quali imponga l’effettuazione di accertamenti fiscali e indagini penali che altrimenti non sarebbero stati necessari. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stato ravvisato l’uso di mezzi fraudolenti in un caso in cui era risultato che la società amministrata dall’imputato, avendo ricevuto pagamenti per servizi resi ad altra società, ne aveva contabilizzati solo una parte, dirottando l’altra, senza che di ciò risultasse traccia nelle proprie scritture contabili, sul conto corrente di una società fiduciaria facente capo ad un prossimo congiunto dell’imputato medesimo).

Cassazione penale , sez. III , 20/05/2014 , n. 52752

In tema di reati tributari, i delitti di dichiarazione fraudolenta previsti dagli art. 2 e 3, d.lg. n. 74 del 2000, si consumano nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromici tenuti dall’agente, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi ovvero di false rappresentazioni con l’uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, per verificare se a seguito dell’annotazione contabile del fittizio acquisto di un immobile tali elementi fossero poi confluiti nella dichiarazione dei redditi).

Cassazione penale , sez. III , 21/02/2013 , n. 32091

L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, sussiste se l’impresa abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi.

Cassazione penale , sez. III , 22/11/2012 , n. 2292

Affinché possa configurarsi il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000, di connotazione residuale rispetto alla fattispecie dell’art.2, è necessario che ricorrano essenzialmente, a fronte del chiaro dettato normativo, i requisiti della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, dell’impiego di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e, infine, a completamento della condotta, della presentazione di una dichiarazione falsa.

Cassazione penale , sez. III , 02/12/2011 , n. 1200

Integra il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3, D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) qualsiasi comportamento del contribuente, maliziosamente teso all’evasione delle imposte ed accompagnato da una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie. (Nella specie l’imputato, dopo aver costituito una società in accomandita semplice unitamente ad un correo, aveva conferito a quest’ultima un ramo di azienda della ditta di cui era titolare del valore di 2000 euro, avente però ad oggetto lavori relativi ad un contratto di appalto di oltre 9 mln. di euro, di cui più di 6 mln. spettanti alla ditta individuale, omettendo di indicare nella dichiarazione fiscale quest’ultima somma nonché il reddito di oltre 3 mln. di euro, pari alla differenza tra costi e ricavi, e provvedendo a sciogliere la società dopo soli otto mesi dalla sua costituzione).

 

Art. 4. Dichiarazione infedele.

  1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
  2. a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
  3. b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni.

1 bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

1 ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

 

Cassazione penale sez. III, 22/10/2019, n.48029

In tema di patteggiamento, non è illegale la pena su accordo delle parti, comminata dal giudice anche senza l’integrale pagamento del debito. Difatti, per i reati di infedele e omessa presentazione della dichiarazione, al pari dei delitti di omesso versamento, si può accedere al patteggiamento anche senza l’estinzione del debito tributario. A sostenerlo è la Cassazione, che cambia opinione rispetto a quanto stabilito in precedenza in casi analoghi. Per i giudici di legittimità, infatti, non vi è distinzione tra le citate fattispecie e quindi per esse non può valere, ai fini del patteggiamento, la regola dell’integrale pagamento, in quanto se l’imputato corrispondesse il dovuto, entro l’apertura del dibattimento, non sarebbe più punibile e non avrebbe senso il patteggiamento.

Cassazione penale sez. III, 02/10/2019, n.47287

Per i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, il rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. c.p.p., è ammissibile solo quando vi sia stato l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, deve affermarsi che la sentenza impugnata ha illegalmente determinato la pena, applicando la diminuente del rito in assenza dei presupposti necessari.

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.24152

In tema di reati tributari, il regime fiscale di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall’art. 2214 cod. civ., sicché, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può legittimamente tener conto della mancata tenuta della scritture contabili obbligatorie e della conseguente mancata tracciabilità delle movimentazioni finanziarie correlate alle operazioni economiche poste in essere.

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

La presentazione della dichiarazione integrativa non elide la responsabilità del contribuente per il reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000. Le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono solo la dichiarazione annuale in tema di imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche che i soggetti sono obbligati a presentare ai sensi degli artt. 1-6 d.P.R. n. 600/1973, e la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto disciplinata dall’art. 8 d.P.R. n. 322/1998.

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lgs. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 c.p., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la Corte ha considerato inapplicabile anche l’art. 47 c.p. nel caso di errore sulla efficacia sanante della dichiarazione integrativa rispetto a quanto riportato falsamente nella dichiarazione originaria annuale).

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

Il delitto di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, integra un reato istantaneo che si perfeziona al momento della presentazione della dichiarazione annuale, non rilevando l’eventuale presentazione di una successiva dichiarazione integrativa.

Cassazione penale sez. III, 27/03/2019, n.19228

Per la verifica della sussistenza del reato di dichiarazione infedele delle imposte sui redditi nei confronti di un amministratore di società di persone la quantificazione dell’imposta evasa va riferita all’intera somma non dichiarata dai soci e non soltanto dal sodo amministratore. Ad affermarlo è la Cassazione che scioglie il dubbio se il rappresentante legale risponda del reato di dichiarazione infedele quando la soglia di imposta evasa superi quella penalmente rilevante (150mila euro) calcolandola come somma dell’Irpef non dichiarata dai singoli soci ovvero soltanto considerando l’Irpef non dichiarata nella propria dichiarazione quale persona fisica/socio. Secondo i giudici per la dichiarazione infedele, presentata da chi amministri una società di persone, si impone una valutazione unitaria dell’imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità.

Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.19672

Il professionista, reo del rilascio di un mendace visto di conformità, vuoi leggero (cfr. articolo 35 del decreto legislativo n. 241 del 1997), vuoi pesante (cosiddetta “certificazione tributaria”) (articolo 36 dello stesso decreto legislativo), ovvero di un’infedele asseverazione dei dati ai fini degli studi di settore, risulta esposto anche a sanzioni penali in ragione dell’espressa previsione di cui all’articolo 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997 e del meccanismo del concorso di persone nel reato di cui all’articolo 110 del Cp, non trovando applicazione Il principio di specialità di cui all’articolo 15 del Cp, incorrendo peraltro questi nel reato di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, dal momento che l’apposizione di un visto mendace costituisce un mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indicando in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi.

Cassazione penale sez. III, 06/02/2019, n.17535

In tema di reati tributari, il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende anche le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione. (Fattispecie in tema di reato di omesso versamento dell’i.v.a. di cui all’art. 10-ter d.lg. 10 marzo 2000 n. 74).

Cassazione penale sez. III, 29/01/2019, n.11520

In tema di successione di leggi penali, la modificazione “in melius” della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se attiene a norma integratrice di quella penale. (Fattispecie, in tema di dichiarazione infedele, in cui la Corte ha affermato che il parametro di calcolo dell’imposta Ires, modificato dall’art. 1, comma 61, l. 28 dicembre 2015, n. 208, non è norma integratrice della fattispecie penale, lasciando del tutto immutati gli elementi costitutivi e la soglia di punibilità del reato previsto dall’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74).

Cassazione penale sez. III, 23/11/2018, n.10800

La previsione normativa che subordina, per i reati fiscali, l’applicazione del patteggiamento al pagamento del debito tributario (art. 13-bis, comma 2, d.lg. n. 74/2000) non si applica ai reati di dichiarazione infedele, omessa presentazione e occultamento o distruzione di scritture contabili.

È, pertanto, legittimo accedere a tale istituto – per i menzionati reati – anche senza estinzione del debito con il Fisco.

 

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

 

La ritenuta sussistenza del “fumus commissi delicti” ai fini dell’adozione di una misura cautelare reale in relazione al reato di dichiarazione infedele previsto dall’ art. 4 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 ben può fondarsi, ove trattisi di redditi derivanti dall’esercizio di professioni, sulla presunzione legale che costituiscano “ricavi”, ai sensi dell’ art. 32 d.P.R. n. 600/1973 , (pur dopo la modifica apportata dall’ art. 7 quater, comma 1, lett. a, d.l. n. 193/2016 , conv. con modif. in l. n. 225/2016 ), quelli risultanti da versamenti sui conti correnti del professionista che quest’ultimo non sia in grado di giustificare diversamente, nulla rilevando in contrario la parziale dichiarazione di incostituzionalità del citato art. 32, pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 , avendo essa avuto ad oggetto l’equiparazione tra attività imprenditoriale ed attività professionale solo limitatamente ai prelevamenti dai conti correnti e non ai versamenti.

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

I professionisti, ai fini dell’esclusione dal computo per la determinazione del reddito di imposta, devono dimostrare, con riferimento alle sole operazioni di versamento in conto corrente, che le stesse non rientrano tra i compensi riferibili alla loro attività, potendo diversamente costituire proventi utili ai fini dell’eventuale integrazione della fattispecie di dichiarazione infedele.

Cassazione penale sez. III  26/10/2017 n. 9378  

A seguito della introduzione dell’art. 10 bis l. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), ad opera del d.lg. n. 128/2015, che al comma 13 stabilisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto detta disposizione esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti. La portata dell’art. 4 d.lg. 74/2000, per effetto di tale innovazione, che ha sottratto all’area del penalmente rilevante le condotte costituenti mero abuso del diritto, è stata delimitata in negativo. Conseguentemente va revocata, ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna in tutti quei casi in cui le operazioni che hanno comportato l’infedeltà della dichiarazione siano state effettivamente realizzate, seppur con finalità elusive.

Cassazione penale sez. III  19/10/2017 n. 4733  

In tema di reati tributari, la confisca può essere adottata anche a fronte dell’impegno assunto dal contribuente di pagamento all’erario, producendo, tuttavia, effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Precisando ciò, la Cassazione ha accolto il ricorso contro l’applicazione della misura ablatoria su tutta la somma dovuta per dichiarazione infedele, malgrado la totale estinzione del debito fosse arrivata prima della sentenza di patteggiamento.

Cassazione penale sez. VII  13/07/2017 n. 44293  

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lg. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la condanna dall’imputato imprenditore, ritenendo non scusabile l’invocata mancata conoscenza delle prescrizioni contenute nell’art. 8 d.P.R. n. 633 del 1972 riguardanti le cessioni all’esportazione non imponibili).

 

Art. 5. Omessa dichiarazione.

  1. E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. 

1-bis. E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.

  1. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Cassazione penale sez. III, 12/06/2019, n.36387

In materia di reati tributari, il momento consumativo del delitto di omessa dichiarazione da parte del sostituto d’imposta cui all’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, va fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario.

Cassazione penale sez. III, 07/06/2019, n.36474

In materia di reati tributari – e, segnatamente, con riferimento al reato di omessa dichiarazione fiscale – per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, valgono i principi generali posti dagli artt. 42 e 43 c.p., per cui – attesa la natura di reato a dolo specifico-  ai fini della punibilità dell’autore del reato, nella specie l’amministratore di diritto/prestanome, non è sufficiente il dolo generico, ma si richiede invece il dolo specifico di evasione che necessita di rigorosa prova, che non può essere affidata alla semplice, quanto irrilevante, affermazione fondata sul precetto della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale contenuto nell’ art. 5 c.p.. La circostanza di essere il legale rappresentante della società, se di regola normalmente esclude che l’imprenditore possa difendersi evocando il disposto dell’art. 5, c.p., non è ex se sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi, a far ritenere provato il dolo specifico normativamente richiesto ai fini della perseguibilità penale del fatto di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74/2000.  Proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della società, il fatto gli può essere addebitato, a titolo di concorso con l’amministratore di fatto, a norma dell’art. 2392 c.c. e art. 40 cpv. c.p., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo proprio del singolo reato. Occorre, dunque, che il giudice di merito individui, al di là della mera assunzione della carica di amministratore di diritto, ulteriori elementi che corroborino, sotto il profilo soggettivo, la sussistenza del dolo specifico normativamente richiesto ai fini della perseguibilità penale della sua condotta.

Cassazione penale sez. III, 13/07/2018, n.50151

In tema di reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi di cui all’art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si configura la “stabile organizzazione”, da cui deriva l’obbligo fiscale di un soggetto non formalmente residente, nel caso in cui una società estera, con una sede fissa di affari nel territorio italiano, effettua in Italia la sua attività mediante un’organizzazione di persone e di mezzi (cd. estero-vestizione della residenza fiscale); si ha, invece, una “società-schermo”, nell’ipotesi in cui l’ente, anche se allocato formalmente all’estero, è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, che è la titolare effettiva dell’attività economica e che, di conseguenza, è tenuta agli adempimenti fiscali.

Cassazione penale , sez. III , 21/06/2018 , n. 43627

In tema di reati tributari, l’utilizzo in compensazione di un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa integra il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata sul caso di un legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, ex articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000 , per aver omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata. In particolare, con una interpretazione molto rigida della disciplina, la Corte ha affermato che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

Cassazione penale , sez. III , 06/06/2018 , n. 32500

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione a fini i.v.a. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione.

Cassazione penale sez. III  18/12/ 2017 n. 21639  

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di omessa presentazione di dichiarazione Iva (art. 5 d.lgs.30 ottobre 2000 n. 74 del 2000), qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nelle determinazione del debito imponibile il giudice penale deve accertare l’ammontare della imposta evasa tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi e oneri – che concorrono alla sua formazione.

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 7000  

Nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’ art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente.

Cassazione penale sez. III  07/11/2017 n. 20856  

In tema di reati tributari, il reato di cui all’ art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , come modificato dal d.lgs.24 settembre 2015, n. 158 , è configurabile con la sola omissione della presentazione della dichiarazione, non essendo necessaria la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

Cassazione penale sez. III  22/09/2017 n. 53137  

Integra il delitto previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’omessa presentazione della dichiarazione di redditi provenienti da attività illecita da parte del titolare di una ditta individuale determinata dall’esigenza di non fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli, giacché, salvo specifiche previsioni di legge di segno contrario, il principio processuale del “nemo tenetur se detegere” non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale e pertanto non giustifica la violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva.

Cassazione penale sez. III  29/03/2017 n. 37849  

Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).

Cassazione penale sez. III  24/02/2017 n. 19196  

In tema di reati tributari, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario).

 

Art. 8. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.     

   

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
  2. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.

2 bis. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a lire trecento milioni per periodo di imposta, si applica la reclusione da sei mesi a due anni.

Cassazione penale sez. III, 28/09/2018, n.53319

 

In tema di reati tributari, il delitto di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è configurabile esclusivamente in caso di fatturazione che presenta una diversità tra uno o entrambi i soggetti indicati nel documento e coloro che hanno posto in essere l’operazione oggetto di imposizione fiscale e, pertanto, ha rilievo penale la sola identità individuale del soggetto e non le diverse qualifiche, qualità o altri elementi che connotano il soggetto dell’operazione inesistente. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di merito che aveva ravvisato l’inesistenza soggettiva con riguardo alla mancanza nell’acquirente della qualità di soggetto esente IVA).

 

Cassazione penale sez. III, 28/09/2018, n.53319

Il reato di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è configurabile esclusivamente in presenza di fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, assumendo rilevanza penale solo la diversità tra uno o entrambi i soggetti indicati in fattura rispetto a coloro che hanno posto in essere l’operazione indicata. Ne consegue che tale diversità non riguarda qualifiche, qualità o altri elementi del soggetto o dei soggetti dell’operazione inesistente, bensì la sola identità individuale, che identifica il soggetto rispetto a terze parti (nella specie, la Corte ha ritenuto errata la tesi secondo cui l’inesistenza soggettiva potesse affermarsi con riguardo alla mera mancanza nell’acquirente commerciale della qualità di soggetto esente Iva).

Cassazione penale sez. III, 05/07/2018, n.47459

Il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 8 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, è reato istantaneo che si consuma nel momento di emissione della fattura ovvero, ove si abbiano plurimi episodi nel medesimo periodo di imposta, nel momento di emissione dell’ultima di esse, non essendo richiesto che il documento pervenga al destinatario, né che quest’ultimo lo utilizzi. (Fattispecie in cui la Suprema Corte, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione del reato, ha tenuto conto della data riportata sulla fattura, in assenza di altri elementi da cui desumere la data reale di emissione del documento).

 

Cassazione penale sez. II  07/06/ 2018  n. 30401  

In materia di reati tributari, ai fini del sequestro e successiva confisca, il prezzo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è identificabile nel compenso pattuito o riscosso per eseguire il delitto.

Cassazione penale sez. VI  13/10/ 2016 n. 52321  

Integra il reato di emissione di fatture inesistenti al fine di eludere le imposte dirette e l’IVA, previsto dall’art. 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’emissione di fatture aventi ad oggetto la prestazione di servizi di consulenza, al fine di “coprire” l’erogazione di somme di denaro in esecuzione di un accordo corruttivo, essendo tali operazioni riconducibili alla categoria delle “operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte” prevista dall’art. 1, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 74 del 2000.

 

Cassazione penale sez. III  20/09/2016 n. 47972  

L’amministratore condannato per il reato di cui all’art. 8 d.lg. n. 74/2000, relativo all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, per invocare l’esimente dello stato di necessità, ex art. 54 c.p., ha l’onere di allegare di aver agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile (nel caso di specie, l’amministratore di diritto sosteneva di essere una mera “testa di legno” e di aver sottoscritto le fatture sotto la minaccia di licenziamento da parte dell’amministratore di fatto).

Cassazione penale sez. III  15/10/2014 n. 50628  

In tema di reati tributari, non integra la fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 d.lg. n. 74 del 2000) la consegna di fattura priva dei requisiti di forma e contenuto indicati dall’art. 21, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, che costituiscono gli elementi necessari affinché si possa presumere la veridicità di quanto rappresentato nel documento, così da renderlo idoneo a costituire titolo per il contribuente ai fini della deduzione del costo relativo. (Fattispecie di rilascio a terzi di bollettari, in bianco, completi di partita i.v.a. e del timbro con la ragione sociale dell’impresa).

 

Art. 10. Occultamento o distruzione di documenti contabili.

  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. 

Cassazione penale sez. III, 29/10/2019, n.50350

In tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante.

Cassazione penale sez. III, 09/10/2019, n.166

Nel delitto previsto dal d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10, allorquando l’importo dell’evasione sia stato aliunde determinato, è configurabile il profitto del reato, suscettibile di confisca, anche per equivalente, e di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2 bis, con riguardo al tributo evaso e ad eventuali sanzioni ed interessi maturati sino al momento dell’occultamento o distruzione delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, trattandosi di risparmio di spesa che costituisce vantaggio economico immediato e diretto della condotta illecita tenuta.

Cassazione penale sez. III, 12/03/2019, n.37348

Il reato di occultamento delle scritture contabili obbligatorie sussiste anche nell’ipotesi in cui la loro mancata reperibilità, in sede di verifica fiscale, non impedisca la ricostruzione delle pregresse attività economiche del contribuente ma la renda soltanto più difficoltosa.

Cassazione penale sez. III, 12/03/2019, n.37348

Il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 è da considerare integrato in tutti i suoi elementi anche nella ipotesi in cui sia stato possibile egualmente ricostruire le operazioni compiute dal contribuente, posto che il legislatore ha inteso sanzionare anche il solo comportamento che abbia reso, sebbene non impossibile, anche soltanto più difficoltosa l’attività di verifica fiscale a causa dell’avvenuta distruzione ovvero occultamento delle scritture contabili obbligatorie (confermata la condanna per il legale rappresentante di una società che aveva trasferito, senza dichiararlo in sede di accertamento, in luogo diverso dalla sede legale della società la documentazione contabile, conservandone solo una parte).

Cassazione penale sez. III, 26/02/2019, n.14600

Per il reato di cui all’articolo 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (occultamento o sottrazione dì documenti contabili), la possibilità di richiedere il patteggiamento, giusta la disciplina dettata dall’articolo 13 bis, comma 2, dello stesso decreto, è necessariamente subordinata, laddove possibile, al ravvedimento operoso (nella specie, consistente nell’esibizione, sia pure tardiva, delle scritture contabili e dei documenti eventualmente occultati e tuttavia non distrutti) e, in ogni caso, all’integrale estinzione del debito per imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, compresi interessi e sanzioni amministrative, riferito alle annualità oggetto di accertamento e in relazione alle quali la condotta illecita è stata tenuta.

Cassazione penale sez. III, 15/01/2019, n.7051

In tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante.

Cassazione penale sez. III, 14/12/2018, n.15745

In tema di reati tributari, ai fatti di occultamento o distruzione di documenti contabili commessi fino al 20 ottobre 2015, data di entrata in vigore dell’art. 12 bis d.lg n.74 del 2000, non è applicabile la confisca per equivalente, né ai sensi dell’art. 1, comma 143, legge n. 244 del 2007, che non contemplava l’art. 10 d.lg. cit. tra i delitti per i quali poteva essere disposto il provvedimento ablativo, né a norma dell’art. 12-bis, in quanto detta confisca, avendo natura eminentemente sanzionatoria, non si applica ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge citata.

Cassazione penale sez. V, 10/12/2018, n.6548

In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni risultanti dagli ultimi documenti attendibili, anche risalenti nel tempo (nella specie, anteriori di tre anni rispetto alla dichiarazione di fallimento), redatti prima di interrompere l’esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili.

Cassazione penale sez. III, 23/11/2018, n. 10800

 La previsione normativa che subordina, per i reati fiscali, l’applicazione del patteggiamento al pagamento del debito tributario (art. 13-bis, comma 2, d.lg. n. 74/2000) non si applica ai reati di dichiarazione infedele, omessa presentazione e occultamento o distruzione di scritture contabili.

È, pertanto, legittimo accedere a tale istituto – per i menzionati reati – anche senza estinzione del debito con il Fisco.

 

Cassazione penale , sez. III , 03/10/2018 , n. 51836

In tema di reati tributari, l’accertamento del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all’ art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (occultamento o distruzione di documenti contabilità fine di evasione) presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l’agente sia titolare di un’attività commerciale.

Cassazione penale , sez. fer. , 09/08/2018 , n. 42897

In tema di reati tributari, del delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all’ art. 10del d.lgs. n. 74 del 2000 , risponde anche il mero amministratore di diritto, a titolo di concorso con l’amministratore di fatto per omesso impedimento dell’evento ex art. 40, cpv., cod. pen. , e art. 2932 cod.civ. , a condizione, tuttavia, che il prestanome abbia agito col fine specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione fiscale di terzi.

 

Cassazione penale sez. III  13/12/2017 n. 5079  

La disposizione di cui all’art. 10 d.lg. n. 74 del 2000 prevede una doppia alternativa condotta riferita ai documenti contabili (la distruzione e l’occultamento totale o parziale), un dolo specifico di evasione propria o di terzi e un evento costitutivo, rappresentato dalla sopravvenuta impossibilità di ricostruire, mediante i documenti i redditi o il volume degli affari al fine dell’imposta sul valore aggiunto. È evidente che si tratta di un reato a condotta vincolata commissiva con un evento di danno, rappresentato dalla perdita della funzione descrittiva dell’documentazione contabile. Ne consegue che la condotta del reato de quo non può sostanziarsi in un mero comportamento omissivo ossia il non avere tenuto le scritture in modo tale che sia stato obbiettivamente più difficoltosa – ancorché non impossibile – la ricostruzione ex aliunde ai fini fiscali della situazione contabile, ma richiede, per l’integrazione della fattispecie penale un quid pluris a contenuto commissivo consistente nell’occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture.

 

Cassazione penale sez. III  12/07/2017 n. 1441  

Non può essere ricondotta al reato di cui all’art. 10 d.lg. n. 74 del 2000 la condotta dell’imputato che abbia completamente omesso la tenuta delle scritture contabili obbligatorie.

 

Cassazione penale sez. V  20/06/2017 n. 35591  

È configurabile il concorso tra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, e quello di occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che sono tra loro in rapporto di specialità reciproca, in ragione: a) del differente oggetto materiale dell’illecito; b) dei diversi destinatari del precetto penale; c) del differente oggetto del dolo specifico; d) del divergente effetto lesivo delle condotte di reato.

 

Cassazione penale sez. III  24/02/2017 n. 18927  

Non è configurabile un rapporto di specialità tra il delitto di occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e quello di bancarotta fraudolenta documentale, previsto dall’art. 216, comma primo, n. 2), l. fall., atteso che le corrispondenti norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” ex art. 15 cod. pen., richiedendo quella penal-tributaria l’impossibilità di accertare il risultato economico delle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta, ed invece quella fallimentare – oltretutto caratterizzata dalla specifica volontà dell’agente di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recar pregiudizio ai creditori – la determinazione di un evento da cui discende la lesione degli interessi di questi ultimi, da valutarsi in rapporto all’intero corredo documentale, indipendentemente dall’obbligo normativo della relativa tenuta, di guisa che acquisisce rilievo anche la sottrazione di scritture meramente facoltative.

 

Cassazione penale sez. III  25/05/2016 n. 14461  

La condotta del reato previsto dall’art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, può consistere sia nella distruzione che nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione. (Nella fattispecie, relativa alla contestazione dell’occultamento “o comunque” della distruzione delle scritture contabili, la S.C., nel ritenere che detta contestazione concernesse in via principale l’occultamento, ha osservato che l’imputato, per avvalersi della dedotta maturazione della prescrizione in conseguenza della qualificazione della condotta come distruttiva, avrebbe dovuto dimostrare sia la circostanza che la documentazione contabile era stata distrutta, e non semplicemente occultata, sia l’epoca di tale distruzione).

 

Cassazione penale sez. III  02/03/2016 n. 19106  

Ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, che renda obiettivamente più difficoltosa, ma non impossibile, la ricostruzione della situazione contabile, ma è necessario un “quid pluris” a contenuto commissivo consistente nell’occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge.

 

Art. 10-bis. Omesso versamento di ritenute dovute o certificate.

 

  1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.

 

Cassazione penale sez. III, 05/07/2018, n.49705

In tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod.770.

 

Cassazione penale sez. III, 27/06/2018, n.52155

La modifica dell’art. 10-bis d.lg. n. 74 del 2000, intervenuta con l’art. 7, comma 1, lett. b), d.lg. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all’ammontare di E. 150.000,00, ha determinato una “abolitio criminis” parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente.

 

Cassazione penale sez. III, 07/06/2018, n.39211

In tema di omesso versamento di ritenute fiscali e IVA, l’inesigibilità di una condotta alternativa diversa da quella omissiva tenuta dall’imputato, in presenza di una grave situazione di crisi aziendale, richiede una prova specifica che va oltre quella della contingenza negativa in cui versava la società.

 

Cassazione penale , sez. un. , 22/03/2018 , n. 24782

Attesa la natura innovativa, e non interpretativa, delle modifiche apportate dal d.lg. n. 158/2015 all’art. 10bis d.lg. 74/2000 (che attualmente sanziona l’omesso versamento delle ritenute se indicate sia nella dichiarazione del sostituto, sia nelle certificazioni rilasciate ai sostituiti), ai fini della prova della responsabilità per il reato di omesso versamento delle ritenute, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore delle modifiche, non è di per sé sufficiente l’allegazione della attestazione (dichiarazione – c.d. modello 770) proveniente dal sostituto di imposta.

 

 Cassazione penale , sez. III , 28/11/2017 , n. 10810

Le nuove soglie di punibilità previste per i reati di omesso versamento delle ritenute e dell’Iva hanno comportato un’abrogazione parziale dei due precedenti delitti, restringendone l’ambito applicativo. Di conseguenza, anche le condanne divenute definitive devono essere revocate. Così si è espressa la Cassazione per la quale, dunque, il fenomeno della abolitio criminis ex articolo 2, comma 2, del codice penale si applica non solo all’ articolo 10-bis del decreto legislativo 74/2000 per le omesse ritenute, ma anche all’articolo 10-ter che ha escluso la configurabilità del reato per gli omessi versamenti dell’acconto Iva sotto i 250mila euro. Il giudice di merito, invece, aveva ritenuto che le modifiche configurassero una successione di leggi penali nel tempo con applicazione del trattamento più favorevole al reo solo in assenza del passaggio in giudicato.

 

Cassazione penale , sez. III , 23/11/2017 , n. 6737

Per integrare il reato di cui all’art. 10 bis D.Lvo n. 74 del 2000 è sufficiente il dolo generico. Quest’ultimo, tuttavia, “proprio in quanto dolo,  non  può essere scisso dalla consapevolezza della illiceità della condotta che viene investita dalla volontà”.

 

Cassazione penale , sez. III , 23/11/2017 , n. 55486

Va rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: se, ai fini dell’accertamento del reato di cui all’articolo 10 bis d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’articolo 7, primo comma, lettera b), d.lgs. 24 settembre 2015 n. 158, per integrare la prova dell’avvenuta consegna ai sostituti d’imposta delle certificazioni delle ritenute fiscali possa essere sufficiente la dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro oppure occorrano allo scopo ulteriori elementi probatori.

 

Cassazione penale sez. III  12/07/2017 n. 3647  

In tema di reati tributari, il delitto di omesso versamento di ritenute dovute o certificate di cui all’art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 differisce da quello previsto dall’art. 10-ter del medesimo d.lgs. per l’oggetto, che solo nel primo caso è costituito da somme già nella disponibilità del debitore; ne consegue che, in caso di carenza di liquidità di impresa, se l’omesso versamento dell’iva può astrattamente derivare dall’inadempimento altrui, l’impossibilità di adempiere all’obbligazione di versamento delle ritenute non può essere giustificata, ai sensi dell’ art. 45 cod. pen. , dalla insolvenza dei debitori, essendo di pertinenza del sostituto d’imposta la decisione di distrarre a scopi diversi le somme di denaro dovute all’erario.

 

Cassazione penale sez. III  11/05/2017 n. 34362  

La modifica dell’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 ad opera dell’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all’ammontare di E. 150.000,00, ha determinato una “abolitio criminis” parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente.

 

 Cassazione penale sez. III  16/12/2016 n. 23784  

In tema di reati tributari, la competenza per territorio per il delitto di omesso versamento delle certificate ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti (art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000) appartiene al giudice del luogo dove si compie, alla scadenza del termine previsto, l’omissione di cui al precetto normativo, luogo che di regola corrisponde, per le società, a quello in cui si trova la sede effettiva dell’impresa, intesa come centro della prevalente attività amministrativa e direttiva di organizzazione, coincidente o meno con la sede legale. (In motivazione, la S.C. – annullando la decisione di merito che, ritenendo erroneamente di dover applicare la regola fissata dall’art. 1182 cod. civ., aveva affermato la competenza del giudice del territorio ove era sita la Direzione provinciale della Agenzia delle Entrate destinataria del pagamento omesso – ha osservato che le fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, in quanto non comprese nei reati di cui al capo I del titolo II del D.Lgs. n. 74 del 2000, non partecipano della speciale disciplina della competenza a questi ultimi riservata dal secondo comma dell’art. 18 dello stesso decreto).

 

Cassazione penale sez. III  26/10/2016 n. 6591  

In tema di reati tributari, va esclusa la configurabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute d’imposta dovute e certificate, in presenza di una transazione fiscale concordata ai sensi dell’art. 182-ter legge fallimentare, ove omologata prima della consumazione del reato coincidente con la data di scadenza prevista per il versamento omesso. (In motivazione, la S.C. ha osservato che l’accordo transattivo tempestivamente omologato muta gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, incidendo sia sul termine di pagamento, che può essere dilazionato ovvero frazionato in più rate, sia sull’importo stesso del tributo che, nel caso di imposte diverse dall’Iva e di quelle armonizzate, può essere addirittura ridotto per effetto dell’accordo, con eventuale rimodulazione del debito al di sotto della soglia di punibilità; di modo che il titolo di pagamento non è più costituito dalla dichiarazione annuale di sostituto di imposta o dai certificati rilasciati ai sostituiti, bensì dalla transazione fiscale, il cui eventuale successivo inadempimento comporta la revoca della transazione stessa, ma non anche la reviviscenza del reato).

 

Cassazione penale sez. III  28 /04/2016 n. 21987  

In tema di reati tributari, il liquidatore di società risponde del delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non per il mero fatto del mancato pagamento, con le attività di liquidazione, delle imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, ma solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che tali conclusioni sono imposte dalle limitazioni fissate, dall’art.36 del d.P.R. 602 del 1973, alla responsabilità in proprio del liquidatore, che sussiste solo qualora egli non provi di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci e creditori ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari).

 

Art. 10-ter. Omesso versamento di IVA. 

  1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

 

Cassazione penale sez. III, 04/10/2019, n.50007

Il tentativo di preservare la continuità aziendale non autorizza l’imprenditore a non versare l’i.v.a. prediligendo il pagamento di altri creditori. (Nel caso di specie, la S.C. ha respinto il ricorso del rappresentante legale di una s.r.l. condannato per l’omesso versamento degli oltre 300mila euro indicati nella dichiarazione annuale. Sottolineando che non si configura l’esimente della forza maggiore se l’imprenditore, in crisi aziendale, ha utilizzato le risorse per pagare altri creditori).

 

Cassazione penale sez. III, 04/10/2019, n.50007

Il reato di omesso versamento i.v.a. è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, a nulla rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziare per fare fronte a pagamenti di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento della obbligazione contratta con l’Erario.

Cassazione penale sez. III, 01/10/2019, n.1431

In tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (nella specie, l’imputato aveva giustificato senza successo che l’inadempimento fosse dovuto a forza maggiore per l’aumento dei costi dell’attività di allevamento del bestiame, in particolare per i costi di alimentazione).

 

Cassazione penale sez. III, 16/09/2019, n.45694

Ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento IVA di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 non assume rilevanza, né sul piano dell’elemento soggettivo, né su quello della esigibilità della condotta, la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, la quale non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione, ma prima dell’adozione di provvedimenti da parte del Tribunale.

 

Cassazione penale sez. III, 12/09/2019, n.47101

L’esito positivo della messa alla prova blocca la confisca per equivalente disposta nei confronti dell’evasore fiscale. Sottolineando che la confisca per equivalente non è una sanzione amministrativa accessoria, la Cassazione ha accolto il ricorso contro la decisione del tribunale, che dava il via libera alla confisca per equivalente delle somme oggetto di sequestro preventivo, pur avendo dichiarato di non doversi procedere per il reato di omesso versamento dell’Iva perché estinto grazie all’esito positivo della messa alla prova. La Suprema corte ricorda che la confisca, prevista dalla legge sui reati tributari (articolo 12-bis del Dlgs 74/2000), può essere disposta solo in presenza di una sentenza di condanna o in caso di patteggiamento, non invece nell’ipotesi, come nella fattispecie, di estinzione del reato grazie al superamento della messa alla prova ex articolo 168-ter del codice penale.

 

Cassazione penale sez. III, 04/07/2019, n.36709

In tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’Iva cui al d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 c.c.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 c.c.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della “par condicio creditorum”.

 

Cassazione penale sez. III, 20/06/2019, n.38482

In tema di omesso versamento i.v.a., l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore a cui egli non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. Quindi, se l’omesso versamento è dovuto ad una libera scelta imprenditoriale, non può essere invocata la forza maggiore per escludere la sussistenza del dolo. (Fattispecie in cui l’imputato ha utilizzato il flusso finanziario derivante da una vendita sottocosto di un cespite immobiliare per far fronte alle spese correnti, invece che accantonarlo per il successivo versamento dell’imposta).

 

Cassazione penale sez. III, 18/06/2019, n.44293

Nel reato fiscale di omesso versamento IVA, l’elemento psicologico è escluso solo dalla impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità.

 

Cassazione penale sez. III, 18/06/2019, n.35193

In tema di delitto di omesso versamento dell’IVA, previsto e punito dall’art. 10-ter, d.lg. n. 74/2000, l’emissione della fattura, anche se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta, sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura, né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo.

 

Cassazione penale sez. III, 13/06/2019, n.36309

L’annullamento per vizio formale della cartella di pagamento deciso mediante sentenza non definitiva all’esito di giudizio tributario non esplica alcuna influenza sulla pretesa creditoria vantata dall’Amministrazione finanziaria (nella specie, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il diniego alla richiesta di revoca, totale o parziale, del sequestro preventivo per equivalente nei confronti di un indagato per omesso versamento di Iva).

 

Cassazione penale sez. III, 17/05/2019, n.39310     

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di IVA di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non assume rilevanza, né sul piano dell’elemento soggettivo, né su quello della esigibilità della condotta, la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, perché essa non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione ma prima dell’adozione di provvedimenti da parte del tribunale. (In motivazione la Corte ha affermato che il principio illustrato deve essere applicato a maggior ragione nel caso in cui la richiesta di ammissione alla procedura sia stata presentata dallo stesso imputato responsabile del dissesto, in quanto, diversamente opinando, questi potrebbe evitare di incorrere in responsabilità penale con il solo deposito del ricorso).

 

Cassazione penale sez. IV, 11/04/2019, n.18804

Per tutti i reati, tributari e non, che prevedano una soglia di punibilità, la sussistenza della particolare tenuità dell’offesa deve essere verificata attraverso una valutazione globale che tenga conto dell’importo complessivo dell’imposta o dei contributi non versati e della consistenza del superamento della soglia di punibilità (fattispecie relativa ad una ipotesi di omesso versamento di Iva).

 

Cassazione penale sez. V, 05/04/2019, n.30735

Integra il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose previsto dall’art. 223, secondo comma, n. 2), legge fall., l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto e dei contributi previdenziali e assistenziali che abbia causato il dissesto della società, potendo il reato fallimentare concorrere con quello tributario e con quello previdenziale in ragione della diversità sia dei beni tutelati sia della struttura dei reati.

Cassazione penale sez. III, 21/03/2019, n.23796

In tema di reato di omesso versamento dell’IVA, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo.

 

Cassazione penale sez. III, 26/02/2019, n.25734

Non sussiste violazione del principio del ne bis in idem, di cui all’art. 649 c.p.p., in caso di esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto relativamente al quale sia stata applicata una sanzione formalmente amministrativa, ma avente carattere “sostanzialmente penale”, qualora non vi sia coincidenza tra il soggetto sanzionato in via amministrativa e quello chiamato a rispondere in sede penale. (Nel caso di specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, condannato per il reato di cui all’art. 10-ter d.lg. n. 74/2000, che, in qualità di legale rappresentante di una società, aveva omesso il versamento dell’i.v.a. dovuta, fatto rispetto al quale era stata irrogata una sanzione amministrativa nei confronti della società).

Cassazione penale sez. III, 15/02/2019, n.29400

La definizione di reati “della stessa indole”, posta dall’art. 101 c.p. e rilevante per l’applicazione della recidiva ex art. 99 c.p., comma 2, n. 1, prescinde dalla identità della norma incriminatrice e fa riferimento ai criteri del bene giuridico violato o del movente delittuoso, che consentono di accertare, nei casi concreti, i caratteri fondamentali comuni fra i diversi reati, e conseguentemente deve ritenersi corretta la decisione che con accertamento in fatto ha ritenuto della stessa indole i reati di omesso versamento IVA e delle ritenute certificate con il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali.

 

Cassazione penale sez. III, 12/02/2019, n.25315

In tema di omesso versamento dell’i.v.a., non assume rilevanza, né sul piano dell’elemento soggettivo, né su quello della esigibilità della condotta, la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, la quale non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione; non può attribuirsi efficacia sostanzialmente scriminante ad una domanda presentata dallo stesso imputato che ha provocato il dissesto.

 

Cassazione penale sez. III, 06/02/2019, n.17535

In tema di reati tributari, il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende anche le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione. (Fattispecie in tema di reato di omesso versamento dell’i.v.a. di cui all’art. 10-ter d.lg. 10 marzo 2000 n. 74).

 

Cassazione penale sez. III, 10/01/2019, n.17060

In tema di delitto di omesso versamento dell’Iva, ai fini della individuazione della competenza per territorio, non può farsi riferimento al criterio del domicilio fiscale del contribuente, ma deve ricercarsi il luogo di consumazione del reato ai sensi dell’art. 8 cod. proc. pen.; ne consegue che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, considerato che l’obbligazione tributaria può essere adempiuta anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell’accertamento del reato, previsto dall’art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen.

 

Cassazione penale sez. III, 10/01/2019, n.17060

In tema di delitto di omesso versamento dell’IVA, ai fini della individuazione della competenza per territorio, non può farsi riferimento al criterio del domicilio fiscale del contribuente, ma deve ricercarsi il luogo di consumazione del reato ai sensi dell’art. 8 c.p.p.; ne consegue che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, siccome l’adempimento dell’obbligazione tributaria può essere effettuato anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell’accertamento del reato indicato dall’art. 18, comma 1, d.lg. 74/2000, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 c.p.p.

 

Art. 10-quater. Indebita compensazione. 

  1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.
  2. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.

 

Cassazione penale sez. III, 20/06/2019, n.44737

In tema di indebita compensazione, l’illecito si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto della compensazione, ai sensi dell’art. 17 d.lg. n. 241/1997, di crediti in realtà non spettanti o inesistenti. (Fattispecie in cui la prova dell’esecuzione di compensazioni indebite è stata desunta dalle annotazioni sul libro giornale e dalle dichiarazioni IVA).

 

Cassazione penale sez. III, 20/06/2019, n.44737

Il delitto di indebita compensazione si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale. L’indebita compensazione deve, dunque, risultare dal modello F24 mediante il quale la stessa è stata realizzata, indicandovi, appunto in compensazione, crediti inesistenti o non spettanti, trattandosi dello strumento imposto dal legislatore tributario per poter eseguire le compensazioni tra debiti e crediti tributari, che, quindi, non possono che essere realizzate attraverso la presentazione di tale modello debitamente compilato, in difetto del quale non può dirsi sussistente una compensazione.

Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.24799

Anche la normale attività professionale (di regola quella di commercialista, ma anche, come nella specie, quella di avvocato, specie se esperto nella materia), qualora realizzata, pur nella sua formale aderenza ai canoni della professione, con lo scopo di concorrere alla realizzazione di un’associazione per delinquere, configura condotta penalmente rilevante per la sussistenza dell’articolo 416 del codice penale, trattandosi di reato che per la sua realizzazione comporta una condotta a forma libera, sottoposta alle sole condizioni che l’agente intenda aderire all’accordo associativo e che il suo comportamento sia, anche se parzialmente, funzionale alla realizzazione del progetto criminoso perseguito dai consociati. Tale condotta, anzi, se essenziale per l’organizzazione della struttura associativa, qualifica detta partecipazione come quella di organizzatore dell’organismo criminoso (fattispecie in materia cautelare, dove la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un avvocato, indagato in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, segnatamente quelli di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e indebita compensazione, risultando spiegato in modo satisfattivo il ruolo strutturato svolto, tra l’altro, nella gestione di fatto nella gestione di crediti inesistenti della società e nell’individuazione di strategie utili al raggiungimento del fine fraudolento del gruppo e nell’occultamento del proventi illeciti).

 

Cassazione penale sez. III, 23/11/2018, n.10800

Relativamente ai delitti di cui agli articoli 10-bis10-ter10-quater, commi 1, 4 e 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, l’estinzione del debito tributario mediante pagamento ovvero il ravvedimento operoso non possono configurare una condizione per accedere al patteggiamento giacché tali evenienze integrano una causa di non punibilità del reato, come tale concettualmente incompatibile con la definibilità con il rito alternativo. Da ciò consegue che·l’ammissibilità al rito speciale non presuppone affatto la preventiva verifica dell’essersi realizzate le anzidette condizioni: non a caso l’articolo 13-bis,·comma·2,·del decreto legislativo n. 74 del 2000, che pone tale regola di verifica per gli altri delitti tributari, fa salvi i casi di cui ai commi 1 e 2 del precedente articolo 13, proprio relativi ai reati suddetti. Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche relativamente al reato di cui all’articolo 10 del decreto legislativo citato, sia pure per ragioni diverse. Infatti, l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili ivi sanzionati non sono correlati all’esistenza di un profitto o di un danno erariale quantificabili, per cui rispetto a tale fattispecie il preventivo accertamento dell’estinzione integrale del debito o del ravvedimento operoso risulta inesigibile, a meno che non si verifichi – e sia oggetto di contestazione – che nei confronti dell’imputato, in relazione alla peculiare condotta illecita descritta dal predetto articolo 10, sia eventualmente maturato uno specifico debito erariale che avrebbe potuto essere estinto dal contribuente con gli istituti all’uopo previsti dal sistema tributario.

 

Cassazione penale sez. III, 30/10/2018, n.8689

Il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, è configurabile, alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme tributarie disposto dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, sia nel caso di compensazione “verticale”, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa. (In motivazione la Corte ha precisato che la struttura “asimmetrica” del reato, in virtù della quale è incriminata l’artificiosa diminuzione dell’entità dell’imposta da versare, qualunque tributo o contributo sia opposto in compensazione, è del tutto compatibile con la ratio del d.lgs. n. 74 del 2000, che è diretto a sanzionare le violazioni, sia in materia di Iva, sia in tema di imposte sui redditi).

 

Cassazione penale sez. III, 11/10/2018, n.4958

In tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale. (In motivazione, la Corte ha precisato che il delitto di indebita compensazione non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’Iva).

Cassazione penale sez. III, 12/09/2018, n.5934

In tema di reato di indebita compensazione di crediti previsto dall’art. 10 quater d.lg. n. 74 del 2000, sotto il profilo soggettivo, l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco, mentre, nel caso in cui vengano dedotti crediti “non spettanti”, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa. (Fattispecie in cui era stata operata una compensazione “verticale”, ossia riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta, realizzata mediante il trascinamento del credito da una dichiarazione annuale all’altra, con un asserito credito di 146 milioni di euro, nella quale la Corte ha ritenuto adeguatamente dimostrato il dolo del reato sulla base della mancata richiesta di rimborso di tale credito, pur di elevatissimo importo, che avrebbe esposto la società a immediati controlli).

Cassazione penale sez. III, 21/06/2018, n.43627

In tema di reati tributari, l’utilizzo in compensazione di un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa integra il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata sul caso di un legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, ex articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000, per aver omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata. In particolare, con una interpretazione molto rigida della disciplina, la Corte ha affermato che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

Cassazione penale sez. III, 28/03/2018, n.46709

In tema di indebita compensazione di crediti di imposta, il profitto del reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, che può essere oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è costituito dall’importo corrispondente all’imposta evasa nella sua totalità. (In motivazione, la Corte ha precisato che, essendo il profitto costituito da denaro, la confisca delle somme deve essere qualificata come diretta).

Cassazione penale sez. II, 08/03/2018, n.12847

In tema di appropriazione indebita, non opera il principio della compensazione con credito preesistente, allorché si tratti di crediti non certi, né liquidi ed esigibili. Ciò in quanto la ritenzione, in compensazione o in garanzia, di merce non costituisce appropriazione indebita ex art. 646 c.p. solo quando il credito vantato dall’agente nei confronti del proprietario della merce medesima è certo, liquido ed esigibile, ossia determinato nel suo ammontare e non controverso nel titolo.

Cassazione penale sez. III, 12/04/2018, n.38684

Per i reati di cui agli artt. 10-bis10-ter e 10-quater, d.lgs. n. 74/2000, l’integrale pagamento del debito, delle sanzioni e degli interessi, nonché il ravvedimento operoso costituiscono presupposti per l’assoluzione, ferma restando, in assenza di tali adempimenti, la possibilità di richiedere l’applicazione della pena su patteggiamento.

 

Cassazione penale sez. III  14/11/2017 n. 1999  

In tema di reati tributari, integra il delitto di indebita compensazione di cui all’ art. 10-quater del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito di accollo fiscale compiuto attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, in quanto l’ art. 17 del d.lgs 9 luglio 1997 n. 241 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti del rapporto d’imposta.

 

Cassazione penale sez. III  04/02/2016 n. 7557  

L’art. 10-quater del d.lg. n. 74 del 2000 è riferibile anche alle compensazioni riguardanti crediti previdenziali. Tra la fattispecie di compensazione illecita di cui all’art. 10-quater d.lg. n. 74 del 2000 e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato esiste un rapporto di specialità, essendovi nella norma tributaria di parte speciale un elemento specializzante, che si individua nella natura dell’artificio consistente nella compensazione mediante crediti inesistenti o non dovuti e nella individuazione del soggetto passivo attraverso il rinvio recettizio ai soggetti creditori indicati nell’art. 17 d.lg. n. 241 del 1997.

 

Cassazione penale sez. III  22/01/2015 n. 48211  

In tema di indebita compensazione, non può ritenersi sussistente l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 10 quater d.lg n. 74 del 2000 (dolo generico) nel mero accertamento della condotta del contribuente che si limiti alla mancata vigilanza sull’operato del commercialista (che sarebbe incorso in un errore contabile) e non presti attenzione all’anomalo accrescimento del volume di affari, che lo avrebbe dovuto indurre a ritenere che tale evento era imputabile solo a quella erronea compensazione.

 

Cassazione penale sez. III  21/01/2015 n. 5177  

Integra il reato di indebita compensazione ex art. 10 quater d.lg. n. 74 del 2000, e non quello di truffa aggravata, il comportamento fraudolento di porre in compensazione, ex art. 17 d.lg. n. 241 del 1997, partite debitorie in favore dell’lnps con crediti inesistenti, sussistendo tra le fattispecie un rapporto di specialità unilaterale.

 

Cassazione penale sez. III  16/01/2015 n. 15236  

In tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente “giustificato” da una illegittima compensazione, ex art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all’erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in quanto l’imputato non aveva compilato alcun mod. F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione).

 

Cassazione penale sez. III, 12/12/2018, n.9

Per la configurabilità del reato di omesso versamento IVA in capo al legale rappresentante di un’impresa non rileva quale causa di forza maggiore lo stato di crisi finanziaria imputabile alla precedente gestione laddove l’agente, al momento della nomina, sia consapevole della crisi di liquidità.

 

Cassazione penale sez. III, 09/11/2018, n.54699

È configurabile il reato di omesso versamento dell’i.v.a. nei confronti di un soggetto che, subentrato nella carica di liquidatore di una società di capitali successivamente alla presentazione della dichiarazione annuale di imposta ma prima della scadenza del termine per il relativo versamento, abbia omesso di compiere le necessarie verifiche sugli ultimi adempimenti fiscali e non abbia versato all’erario le somme dovute in base alla dichiarazione. (Fattispecie nella quale la S.C., nel dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado per il reato di cui all’art. 10-ter d.lg. n. 74/2000, ha ritenuto non rilevante la circostanza che l’iscrizione alla camera di commercio della nomina alla carica di liquidatore della società fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per il versamento dell’imposta).

 

Cassazione penale sez. III, 08/06/2018, n.39696

È necessario operare un bilanciamento tra l’interesse dell’Erario e l’interesse degli altri creditori: secondo tale impostazione, in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non è configurabile il fumus commissi delicti del reato di omessoversamento dell’IVA nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il versamento del tributo, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d’imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative.

 

Cassazione penale sez. III  13/03/2018 n. 15172  

La nuova fattispecie di reato di cui all’ art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000 , come modificata dall’ art. 8, d.lgs. n. 158 del 2015 , che ha elevato a Euro 250.000,00 la soglia di punibilità, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell’abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma secondo, cod. pen. (e non il quarto comma dell’ art. 2, cod. pen. ), e 673, comma primo, cod. proc. pen.

 

Cassazione penale sez. III  23/01/2018 n. 6220  

In tema di omesso versamento dell’ IVA, il reato omissivo previsto dall’ art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate.

 

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 4750  

In caso di omesso versamento, la confisca va disposta anche se non risultano disponibilità di beni da parte dell’imputato. A ricordarlo è la Cassazione che ha accolto il ricorso della pubblica accusa contro la scelta del Tribunale di condannare l’imputato per violazione dell’ articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 , senza disporre, però, la confisca per insussistenza dei mezzi. Si tratta, infatti di un preciso obbligo di legge che sfugge a qualunque considerazione da parte del giudice, potendo essere colpiti anche beni futuri. L’applicazione di tale confisca, in sostanza, è sottratta alla discrezionalità del giudice.

 

Cassazione penale sez. IV  17/10/2017 n. 52542  

Non è corretto attribuire prevalenza alla norma penale che sanziona l’omesso versamento dell’IVA rispetto al contrapposto divieto di versamento dell’IVA, imposto da un legittimo ordine del giudice (divieto di eseguire pagamenti per crediti anteriori alla richiesta di ammissione alla procedura concorsuale di concordato), che deriva da precise norme giuridiche aventi pari valore ed efficacia rispetto alla normativa tributaria.

 

Cassazione penale sez. III  12/04/2017 n. 39503  

Deve essere confermata la condanna per omesso versamento di IVA se l’imputato non dimostra che la crisi finanziaria sia stata imprevedibile, repentina e che egli, da amministratore, abbia fatto tutto quanto nelle sue disponibilità per evitare l’omissione del versamento.

 

Cassazione penale sez. III  15/02/2017 n. 35786  

Solo l’omologazione, e non anche la semplice ammissione al concordato preventivo – sia pure intervenuta antecedentemente alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta -, può escludere il reato di omesso versamento i.v.a. ex art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000.

 

Cassazione penale sez. III  15/02/2017 n. 35786  

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rispettivamente in tema di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e dell’IVA, è sufficiente il consapevole inadempimento, da parte del contribuente, dell’obbligazione tributaria così come risultante dalle dichiarazioni annuali dal medesimo presentate, non essendo necessario che egli sia preventivamente messo a conoscenza della pretesa avanzata dagli organi accertatori in sede amministrativa né che detta pretesa abbia un positivo riconoscimento, attesa l’autonomia del procedimento penale dal procedimento e dal processo tributario.

 

Art. 11. Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

 

  1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
  2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.

 

Cassazione penale sez. V, 14/06/2019, n.37326

Seppure l’operazione di scissione è in se lecita ed ha portata neutrale, la sua eventuale natura fraudolenta può essere desunta dal concreto atteggiarsi della vicenda. Ai fini della individuazione del reato di sottrazione fraudolenta bisogna inoltre tenere conto del fatto che, in caso di cessione conforme a legge, la responsabilità del cessionario dell’azienda ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata, nel quantum, al valore della cessione e, nell’oggetto, alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto. In riferimento ai debiti tributari solo l’accertamento della natura simulata della cessione rende applicabile la responsabilità illimitata in solido, laddove, comunque, oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta non è il diritto di credito dell’Erario, bensì la garanzia generica rappresentata dai beni dell’obbligato.

Cassazione penale sez. V, 14/03/2019, n.32018

Il profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) è rappresentato dal valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti della Amministrazione finanziaria per le imposte evase e non già dal debito tributario rimasto inadempiuto.

Cassazione penale sez. V, 01/02/2019, n.8850

Il valore del sequestro per equivalente prodromico alla confisca d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 12 bis, in relazione al reato di cui all’art. 11, del medesimo decreto deve essere commisurato a quello dei beni fraudolentemente sottratti alle pretese tributarie dello Stato e non già al valore dell’intera pretesa fiscale.

Cassazione penale sez. III, 06/07/2018, n.52166

Nel reato di cui all’articolo 11 del decreto legislativo n. 74 del 2000, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, va individuato nel complesso dei beni sottratti alla garanzia patrimoniale, ossia con riferimento all’intero debito erariale, comprensivo delle sanzioni collegate e di tutti gli accessori esigibili.

Cassazione penale sez. III, 24/05/2018, n.46975

Il delitto previsto dall’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei – secondo un giudizio “ex ante” che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario – a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria. (Fattispecie di aumento del capitale sociale effettuato per consentire ad una società di acquistare l’unico cespite immobiliare di proprietà del contribuente in modo da far apparire, contrariamente al vero, che i beni del contribuente non potessero formare oggetto di soddisfazione della pretesa creditoria).

Cassazione penale sez. III, 08/05/2018, n.41704

Il conferimento nel fondo patrimoniale della nuda proprietà di due immobili può concretizzare il reato ex art. 11 d.lgs. 74/2000. La disposizione citata sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare superiore a 50mila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Cassazione penale sez. III, 02/03/2018, n.29636

Nella nozione di ‘atti fraudolenti’, rilevante ai fini della configurabilità del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, rientrano tutti quei comportamenti, anche se formalmente leciti, che siano connotati da elementi di inganno o di artificio dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.

 

Cassazione penale sez. III  17/11/2017 n. 15133 

Il delitto previsto dall’ art. 11, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , è reato di pericolo, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare – secondo un giudizio “ex ante” – l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria, anche se il valore dei beni sottratti alla garanzia patrimoniale dell’erario è inferiore alla soglia di punibilità di 50.000 euro di imposta evasa. (Nella fattispecie, la S.C. ha annullato l’ordinanza che, in sede cautelare, aveva disposto il dissequestro di un immobile ritenuto oggetto di cessione fraudolenta, per il solo fatto che il valore dello stesso era inferiore alla soglia di rilevanza penale del reato).

 

Cassazione penale sez. III  27/09/2017 n. 232 

In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, anche una singola operazione di scissione societaria può essere idonea, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione, a costituire quell’atto negoziale fraudolento e/o simulato idoneo ad integrare il reato in questione.

 

Cassazione penale sez. V  20/06/ 2017 n. 35591 

È configurabile il concorso tra delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, alla luce della diversità del soggetto- autore degli illeciti (nel primo caso, tutti i contribuenti, nel secondo, soltanto gli imprenditori falliti) e del differente elemento psicologico tra i reati (rispettivamente, dolo specifico e dolo generico) .

 

Cassazione penale sez. III  16/05/2017 n. 10161 

Se è ben vero che l’atto dispositivo di un bene tanto mobile quanto immobile rende di per sé maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione del credito, essendo il denaro bene fungibile per eccellenza e quindi più facilmente occultabile, tanto da legittimare l’esperibilità dell’azione revocatoria in sede civile, non può tuttavia perciò ritenersi integrata la finalità fraudolenta sul piano penale, dovendo l’atto dispositivo essere caratterizzato da un “quid pluris”, ovverossia dalla modalità ingannevole attraverso il quale viene realizzato.

 

Cassazione penale sez. III  28/02/2017 n. 29243 

Le operazioni compiute dall’amministratore di una società di capitali, nei cui confronti sia stato avviato un accertamento fiscale, consistenti nella cessione di quote e nel trasferimento immobiliare tramite conferimenti di rami d’azienda, possono integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte,  di cui all’art. 11 d.lg. n. 74 del 2000.

 

Cassazione penale sez. III  23/11/2016 n. 3095 

In tema di reati tributari, i beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell’art. 240, comma primo, cod. pen., in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo o profitto di tale delitto.

 

Art. 12 bis. Confisca

  1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
  2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta. 

 

Cassazione penale sez. III, 23/10/2019, n.47837

La confisca diretta o di valore dei beni costituenti il profitto o il prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro, quando viene assunto un impegno formale con le modalità previste per legge, permanendo, invece, per le parti residue.

Cassazione penale sez. III, 09/10/2019, n.166

Nel delitto previsto dal d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10, allorquando l’importo dell’evasione sia stato aliunde determinato, è configurabile il profitto del reato, suscettibile di confisca, anche per equivalente, e di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2 bis, con riguardo al tributo evaso e ad eventuali sanzioni ed interessi maturati sino al momento dell’occultamento o distruzione delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, trattandosi di risparmio di spesa che costituisce vantaggio economico immediato e diretto della condotta illecita tenuta.

Cassazione penale sez. III, 02/10/2019, n.47104

In tema di reati tributari, in caso di pronuncia di estinzione del reato fiscale per esito positivo della messa alla prova disposta nei confronti dell’imputato, non essendo tale declaratoria estintiva del reato equiparabile alla pronuncia di una sentenza di condanna, alla adozione della stessa non può seguire la confisca del profitto nella forma per equivalente.

Cassazione penale sez. III, 02/10/2019, n.47103

In tema di reati tributari, l’onere di indicare l’ammontare delle utilità esistenti al momento della consumazione del reato nel patrimonio del soggetto nei cui confronti si intende procedere a sequestro finalizzato alla confisca, che costituiscono il “risparmio di spesa” determinato dalla violazione dell’obbligo fiscale, grava sul pubblico ministero, secondo le regole generali in tema di ripartizione dell’onere della prova e secondo quanto dispone, anche per la determinazione della misura di sicurezza, l’ art. 187 cod. proc. pen.

Cassazione penale sez. III, 12/09/2019, n.47101

L’esito positivo della messa alla prova blocca la confisca per equivalente disposta nei confronti dell’evasore fiscale. Sottolineando che la confisca per equivalente non è una sanzione amministrativa accessoria, la Cassazione ha accolto il ricorso contro la decisione del tribunale, che dava il via libera alla confisca per equivalente delle somme oggetto di sequestro preventivo, pur avendo dichiarato di non doversi procedere per il reato di omesso versamento dell’Iva perché estinto grazie all’esito positivo della messa alla prova. La Suprema corte ricorda che la confisca, prevista dalla legge sui reati tributari (art. 12 bis D.lgs. 74/2000), può essere disposta solo in presenza di una sentenza di condanna o in caso di patteggiamento, non invece nell’ipotesi, come nella fattispecie, di estinzione del reato grazie al superamento della messa alla prova ex articolo 168-ter del codice penale.

Cassazione penale sez. III, 16/07/2019, n.40072

Il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente o diretta eseguito in relazione a un reato tributario, non esclude un ulteriore sequestro volto a impedire un successivo delitto. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata favorevolmente al sequestro preventivo impeditivo dell’unità produttiva della società utilizzata per l’emissione di fatture inesistenti, anche se era già stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta o per equivalente. Per la Corte, infatti, il sequestro già disposto del profitto dei reati tributari o del valore equivalente ha oggetto e finalità differenti da quello impeditivo.

Cassazione penale sez. III, 15/07/2019, n.42946

Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta.    

Cassazione penale sez. III, 26/06/2019, n.40793

In tema di reati tributari, la disposizione di cui all’art. 12-bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000 – secondo la quale la confisca, diretta o per equivalente, a seguito di condanna o applicazione della pena per uno dei delitti previsti dal citato d.lgs., «non opera per la parte del profitto o del prezzo del reato che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro» – va intesa nel senso che il raggiungimento dell’accordo con il Fisco non preclude l’adozione (ed il mantenimento) del sequestro preventivo funzionale alla successiva ablazione del profitto, da determinarsi nella misura concordata su base negoziale fra contribuente ed Agenzia delle entrate, ma nel senso che esso ne sospende la possibilità di esecuzione fino al verificarsi del mancato pagamento del debito; solo l’avvenuto adempimento dell’obbligazione tributaria da parte del contribuente, secondo i termini ed i modi convenuti, ha effetto impeditivo della confisca.

Cassazione penale sez. III, 24/05/2019, n.28583

In tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’ art. 12 bis d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento.

Cassazione penale sez. III, 18/04/2019, n.38608

La previsione dell’art. 52 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, secondo cui la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi e i diritti reali di garanzia anteriori al sequestro, sebbene riferita alla cd. confisca di prevenzione, esprime un principio generale, valido anche per gli altri tipi di confisca, diretta o per equivalente, per i quali venga in rilievo la posizione del terzo titolare di diritti di credito o di garanzia, ivi compresa quella in ambito tributario di cui all’art. 12 bis D.lgs. 74 del 10 marzo 2000.

Cassazione penale sez. IV, 11/04/2019, n.31002

È legittimo il sequestro per equivalente sull’intero ammontare dell’imposta evasa, comprese le somme oggetto di procedure conciliative. Difatti, il giudice penale ben può discostarsi dall’ammontare dell’imposta evasa per l’adozione e il mantenimento del provvedimento cautelare in funzione della confisca, anche nei casi di raggiunti accordi conciliativi con l’erario, quali la rateazione del debito e l’accertamento con adesione. Ad affermarlo è la Cassazione che sottolinea come, sulla scorta di elementi di fatto, il giudice può assolutamente discostarsi dalla quantificazione del profitto come risultante dalla conclusione di accordi conciliativi con le Entrate, poiché diversamente ragionando si sarebbe pervenuti all’Introduzione di una pregiudiziale tributarla non prevista nell’ordinamento giuridico.

Cassazione penale sez. V, 01/02/2019, n.8850

Il valore del sequestro per equivalente prodromico alla confisca d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 12 bis, in relazione al reato di cui all’art. 11, del medesimo decreto deve essere commisurato a quello dei beni fraudolentemente sottratti alle pretese tributarie dello Stato e non già al valore dell’intera pretesa fiscale.

Cassazione penale sez. III, 14/12/2018, n.15745

In tema di reati tributari, ai fatti di occultamento o distruzione di documenti contabili commessi fino al 20 ottobre 2015, data di entrata in vigore dell’art. 12 bis d.lg n.74 del 2000, non è applicabile la confisca per equivalente, né ai sensi dell’art. 1, comma 143, legge n. 244 del 2007, che non contemplava l’art. 10 d.lg. cit. tra i delitti per i quali poteva essere disposto il provvedimento ablativo, né a norma dell’art. 12-bis, in quanto detta confisca, avendo natura eminentemente sanzionatoria, non si applica ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge citata.

Cassazione penale sez. III, 11/12/2018, n.25536

L’art. 12 bis d.lg. n. 74 del 2000 prevede che in caso di condanna ovvero di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per uno dei delitti previsti dal medesimo decreto legislativo, è sempre ordinata la confisca, eventualmente anche per equivalente, dei beni che abbiano formato il profitto ovvero ne abbiano costituito il prezzo, salvo che essi non siano di proprietà di persona estranea al reato. Tale disposizione, avente certamente contenuto sanzionatorio, è stata introdotta per effetto della entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015; la stessa è comunque applicabile anche alle condotte poste in essere anteriormente alla sua introduzione stante il pacifico regime di continuità normativa, tale da non porre in discussione alcun profilo inerente alla possibile successione di leggi nel tempo ed alla eventuale inapplicabilità della sopravvenuta lex durior, fra tale disposizione e quella precedentemente oggetto della l. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, la quale già prevedeva il generale regime di confisca per equivalente dei beni costituenti profitto o prezzo della commissione di reati tributari, sicché la misura di sicurezza patrimoniale deve ritenersi applicabile a tutti i reati previsti dal d.lg. n. 74 del 2000 ove commessi in epoca successiva alla entrata in vigore della citata l. n. 244 del 2007, cioè successivamente al 1° gennaio 2008.

Cassazione penale sez. III, 05/12/2018, n.17840

In tema di reati tributari, ai fini della valutazione della legittimità del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, l’ente che trae profitto dall’altrui condotta illecita non può mai essere considerato terzo “estraneo” al reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento di sequestro in vista della confisca diretta delle somme di denaro costituenti il profitto conseguito dalla persona giuridica beneficiaria del reato posto in essere dal commercialista dell’ente).

Cassazione penale sez. III, 11/10/2018, n. 6246

In tema di reati tributari, la previsione di cui all’art. 12-bis, comma 2, d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, secondo la quale la confisca, diretta o per equivalente, non opera per la parte del profitto o del prezzo del reato che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro, va intesa nel senso che, per la parte coperta da tale impegno, la confisca può comunque essere adottata nonostante l’accordo rateale intervenuto, ma non è eseguibile, producendo i suoi effetti solo al verificarsi del mancato pagamento del debito.

Cassazione penale sez. III, 04/10/2018, n.6348

In tema di reati tributari, può essere oggetto di confisca c.d. diretta il saldo positivo del conto corrente nella disponibilità dell’imputato alla scadenza del termine per l’adempimento dell’obbligazione fiscale fino alla concorrenza dell’esborso che sarebbe stato necessario per il pagamento dell’imposta, in quanto queste somme costituiscono il profitto del reato di omesso versamento, rappresentando il “risparmio di spesa” conseguito grazie al mancato pagamento dell’imposta.

Cassazione penale sez. III, 27/09/2018, n.1657

In tema di reati tributari, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca anche per equivalente, il profitto è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, essendo indifferente se l’imposta evasa, in concreto, sia stata non pagata o portata a credito dal contribuente.

Cassazione penale sez. III, 27/09/2018, n.50157

In tema di reati tributari, la disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 12-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, introdotta dal decreto legislativo n. 158 del 2015, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, deve essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo a essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito. La locuzione “non opera”, infatti, non significa affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata: la norma, invece, è nel senso che la confisca non diviene, più semplicemente, “efficace” con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno, salvo a essere “disposta” allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento “promesso” non si verifichi.

Cassazione penale sez. III, 21/09/2018, n.8075

La persistente natura obbligatoria (e sanzionatoria) della confisca per equivalente comporta che, ai fini dell’adozione del sequestro preventivo, il giudice è tenuto esclusivamente ad accertare la astratta confiscabilità del bene, esulando dal suo orizzonte decisorio la volontà del contribuente di estinguere il debito, il fatto che lo stia pagando e la positiva prognosi di adempimento. Il fatto che il d.lg. n. 158 del 2015 abbia introdotto nuove cause di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis10-ter e 10-quater, d.lg. n. 74 del 2000 e rigide scansioni procedurali per il pagamento del debito tributario, non muta, infatti,  la natura del sequestro, né della confisca in funzione della quale esso viene disposto, non essendo il giudice dotato al riguardo di alcuna discrezionalità, atteso che la natura e finalità del provvedimento da adottare non gliela attribuiscono.

Cassazione penale sez. III, 20/09/2018, n.3591

In tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto nei confronti del legale rappresentate di una società solo nel caso in cui, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo necessaria, tuttavia, ai fini dell’accertamento di tale impossibilità, l’inutile escussione del patrimonio sociale se già vi sono elementi sintomatici dell’inesistenza di beni in capo all’ente.

Cassazione penale sez. VI, 13/09/2018, n.26255

La confisca del profitto non può essere disposta solo nel caso di restituzione integrale all’erario della somma anticipata dallo Stato, giacché tale comportamento elimina in radice l’oggetto della misura ablatoria. Va quindi escluso che un adempimento parziale possa autorizzare a non disporre la confisca del profitto. L’elisione del profitto illecito può avvenire soltanto come conseguenza di ‘integrale pagamento del profitto realizzato’ e non in presenza di un programma di rateizzazione delle somme dovute, dall’esito incerto fino all’ultima rata. A tale applicazione dell’istituto non potrebbe conseguire una duplicazione dei versamenti, atteso che la stessa confisca sarà interamente operativa solo con il verificarsi delle condizioni del mancato pagamento dei ratei e quindi, dopo il passaggio in giudicato della decisione, il Pubblico Ministero potrà mettere in esecuzione la misura qualora sia stato accertato l’inadempimento dell’accordo ed il mancato versamento dei ratei previsti.

Cassazione penale sez. III, 12/09/2018, n.54191

In caso di sentenza di condanna, laddove il giudice debba procedere alla confisca per equivalente del profitto conseguito a seguito della perpetrazione del reato di cui al capo di imputazione, egli non è tenuto ad individuare concretamente i beni da sottoporre alla misura ablatoria, ma può limitarsi a determinare la somma di denaro che costituisce il profitto o, a seconda dei casi, il prezzo del reato o il valore ad essi corrispondente, posto che la individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del valore di questi all’importo del profitto o del prezzo del reato è operazione riservata alla fase esecutiva della sentenza, spettante all’organo del Pubblico Ministero.

Cassazione penale sez. II, 07/06/2018, n.30401

In materia di reati tributari, ai fini del sequestro e successiva confisca, il prezzo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è identificabile nel compenso pattuito o riscosso per eseguire il delitto.

Cassazione penale sez. III, 18/05/2018, n.49199

In tema di reati tributari, il profitto, suscettibile di sequestro a fini di confisca, si identifica con il vantaggio economico direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario: con la conseguenza che il mancato pagamento delle imposte (per omessa dichiarazione ex art. 5 d.lg. n. 74 del 2000) comportando un vantaggio economico, derivante dal risparmio delle somme non versate all’erario, costituisce il profitto del reato suscettibile di sequestro e, poi, di confisca.

By Claudio Ramelli@riproduzione riservata.